Psychodream Review
Sezione diretta da Enrico Pastore e Francesco Panizzo |
Imaginary landscapes: tale on invisible cities
di Enrico Pastore
per il Moving Bodies Festival di Torino
di Enrico Pastore
per il Moving Bodies Festival di Torino
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Articolo di Francesco Panizzo
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Giovedì 14, al Moving Bodies Festival di Torino, al Teatro Espace è andato in scena Imaginary landscapes: tale on invisible cities.
Spettacolo difficile da descrivere Imaginary landscapes. Immaginate tre zone distinte sul palcoscenico. Nella zona centrale si sviluppa una vicenda tra un uomo e una donna. Hanno diversi scatoloni con cui provano a costruire delle forme, le azioni in scena ci portano costantemente a elaborare situazioni che oscillano ondivaghe tra conflitto e collaborazione di intenti, ma i tentativi degli attori non sono per loro mai soddisfacenti. Sembra che instaurino rapporti che in seguito assumono la miglior forma di relazioni per poi ritornare a maturare altro conflitto, quasi necessario per una nuova complicità.
Ma anche questo, per fortuna, non è chiaro. Uno spettatore sensibile e attento dovrebbe essersi sbarazzato di quella necessità di avere sempre un messaggio impacchettato, frutto di quegli spettacoli che danno sempre in mano una comprensione razionale di un racconto. Per questo, interpreto, dopo un paio di tentativi di costruzione decidono di aprire gli scatoloni e trovano degli oggetti. Decidono di usarli, sembra quasi a volte consapevolmente, a volte a caso; per fortuna ancora non si capisce ma è così che la loro relazione si intensifica. Tra i vari oggetti arriva il turno dei chiodi, a cui si sottopongono come a un test attori e pubblico, per il gesto quasi fontaniano ma, pare, tutto animale nel suo artificioso farsi umano, di trafiggere con chiodi gli scatoloni mentre si scatena una forte carica erotica tra i due. Poi trovano dei fili con cui cominciano a intessere relazioni tra gli elementi ma questo alla fine li intrappola, siamo di fronte a una metafora della vita sociale? Trovano quindi delle forbici e tagliano rabbiosi i fili, questa scelta li allontana ancora e dunque la denuncia: costruiscono un muro.
Decidono di abbatterlo, di superare le divisione ma sono ancora legati all’oggettuale, così dispongono gli scatoloni in un cerchio. Trovano negli scatoloni gli elementi per costruire un albero, lo fanno insieme. Sembra un momento felice.
L’oggetto pare aver messo in accordo le parti. Ciò che è dentro il loro cerchio diventa un giardino. Decidono di abitarlo. Ma questa pace non dura molto. La noia li porta alla distruzione, la distruzione allo scarto, così si instaura quel processo naturale delle “cose”: dalla discarica alla morte. Tutto questo accade al centro della scena. Ai lati, come per osmosi, nascono piccole performance. Altri linguaggi artistici.
Due artisti sviluppano piccole azioni che sembra non abbiamo relazione diretta con la vicenda al centro o forse sono solo una conseguenza dell’agire del centro. Nascono giardini di croci rosa, fili spinati con piccoli vestitini da bambola appesi come a stendini, un uomo con un grosso cuore vero si trafigge con siringhe e il cuore diventa uno strano cuore di Gesù come quelli sulle candele da due soldi dei super mercati, un barbone diventa il Cristo del Mantegna, due malati danzano con le sopravvesti da operazione chirurgica con un asta da flebo e un deambulatore, poi i due uomini portano in scena due vasche, le riempiono d’acqua e danno fuoco a due barchette di alluminio. C’è altro ma non tutto si può vedere. Perché sullo sfondo ci sono anche dei video. Paesaggi di danza urbana che fanno contrappunto con quanto avviene in scena dal vivo. E poi le poesie che fanno da transizione tra una scena e l’altra e che con grande lirismo ritraggono piccoli paesaggi urbani. E infine la musica che non è mai paesaggio sonoro ma è un ulteriore messaggio, come quando di fronte alla devastazione del giardino salgono possenti e dolcissime le parole del corale di Orlando di Lasso: Trisitis est anima mea. O come quando l’accordo nel costruire l’albero è sottolineato dal pezzo di Arvo Part Fratres. Non si può vedere tutto, qualcosa sfugge fatalmente ma credo questo sia proprio nell’intenzione: il pubblico viene lasciato libero di vedere cosa vuole, di scegliere la visione che preferisce di quello strano mondo complesso che nasce sulla scena. Come in una piazza dove diversi accadimenti accadono simultanei mentre noi ne cogliamo solo una parte, quella che ci attrae dapprima e colpisce poi, quella che, più o meno casualmente, accade davanti ai nostri occhi. Imaginary Landscapes è una composizione di linguaggi artistici rigorosa, elegante e coraggiosa. È il convivere di visioni, mondi e linguaggi nello stesso tempo e nello stesso spazio. Un’orchestra di mondi che si creano e si distruggono come nell’eterna danza di Shiva. Imaginary landscapes è uno spettacolo che si può rivedere più volte e non vederlo mai uguale, un luogo in cui scoprire sempre nuove visioni e relazioni. Un viaggio sempre diverso che non apre mai a un messaggio univoco. C’è chi ci ha visto una triste storia d’amore, chi una favola ecologista, chi una forma di denuncia politica, chi una forma di riflessione metafisica. Fuor dalle interpretazioni si manifestano le sensazioni o le emozioni, ecco che allora si può provare angoscia, come tristezza, come meraviglia. Dipende da cosa si sceglie di vedere, e che relazione o rapporto si vuole instaurare con la scena che attrae l’occhio. La certezza è che Imaginary landscapes, nonostante un piccolo sgambetto dato da una poca attenzione per la lumino tecnica generale, è un lavoro di coraggiosa ricerca, affrontato da un cluster di artisti di grande livello, diretti da un regista, Enrico Pastore, di altrettanto grande livello, il quale ha il merito di aver lasciato parlare diversi linguaggi artistici senza sottoporli alla tirannia del teatro stesso. E soprattutto, l’opera esposta non è rappresentazione. Ciò che avviene sulla scena, accade davanti a noi, vive, ci attrae nel suo vortice invitandoci a creare simultaneamente un parallelismo con la proposta: relazione o rapporto? A te la scelta..
Francesco Panizzo
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