La produzione artistica di Daniele Bongiovanni ci porta a concepire in modo fermo e deciso che si può riuscire a comporre opere appostandosi all’interno di uno stile che possiamo definire ibrido, in quanto ibrida ne risulta la ricerca che sorregge l’autore, quel percorso sperimentale unico e universale che rende il tratto della mano sempre attento e originale nella propria unicità inconfondibile, all’interno della definizione pittorica del contesto, ponendosi e interponendosi tra il classico e il post moderno, tra il formale e l’informale, tra un espressionismo concettuale e suggestivo, intimo e interpretativo, e una rivisitazione in chiave moderna di tratti e lineamenti che diventano espressioni di altre prospettive e di altri panorami descrittivi, le narrazioni dell’animo. Daniele Bongiovanni studia e interpreta il ritratto del viso tramite la sapienza delle cromie adagiate sulla tela, ora tecnica a olio, tanto da rendere l’opera ricca di una luminosità e lucentezza interiore, ora tecnica mista, donando caleidoscopi visivi utili a decomporre la figura e a ricomporla sotto una dimensione immaginaria e psicologica interiore di indagine delle contraddizioni e delle finitudini dell’essere umano.
I contrasti, molto accesi, di colori, che si confondono e che interagiscono, esaltano e risaltano le figure rappresentate e donano a esse quella giusta definizione indefinita, quella giusta composizione decomponente, quella particolare pluralità di punti di vista che si sintetizzano e si riassumono in una poliedrica rappresentazione, quasi dal sapore cubista. Daniele Bongiovanni ama donare dinamicità alla figura rappresentata e a darne un aspetto di introspezione e di confusione tra due macro concetti che si pongono e che si impongono nella visione manichea esistenziale quotidiana, ossia il contrasto tra bene e male, tra buono e cattivo, tra istinto e ragione: nei visi e nei ritratti di Daniele Bongiovanni tali confini, che appaiono come evidenti dall’immaginario comune, risultano, invece, messi in discussione, risultano essere superati, risultano essere inesistenti rompendo, in questo modo, preconcetti e offrendo una dimensione rinnovata, inattesa e riconoscibile come parte integrante di un’umanità vera e indiscutibile. Le sensazioni, i sentimenti e gli stati d’animo sono resi tali da deformare il viso e il ritratto e a costituire con fermezza e, allo stesso tempo, con delicatezza un concetto intimo del personaggio, da un lato sicuro della propria esistenza, ma rappresentante la propria fragilità e la propria limitatezza, la propria intramontabile vulnerabilità e la propria sofferenza esistenziale, dovuta a un contrasto tra l’anelito di emancipazione e di libertà e una subordinazione, soggezione, alle regole costrittive e prestabilite di una società. I contrasti e le contraddizioni dell’essere umano vengono raffigurate nell’essenzialità e nell’essenza del tratto dell’autore, in un variegato moto e movimento di colori e di linee, di lineamenti e di contorni facciali che creano un movimento, una dinamica e un vortice che traduce il pensiero, l’ideazione e il sentimento introspettivo in una chiave visionaria, suggestiva quanto interrogante lo spettatore sulle identità del volto ripreso dall’autore, che si eleva a metafora e allegoria di una condizione collettiva e anche individuale. Si possono trovare, lungo la serie delle opere di Daniele Bongiovanni, citazioni, fatte proprie come lati distintivi di una produzione, a un Francis Bacon, la deformazione del volto e l’esasperazione dei tratti dei visi, peggiorando e alterando una parte di essi a discapito del tutto, donando, cosi, quella centralità concettuale e sostanziale di un messaggio introspettivo interiore; citazioni a un Lucien Freud, la centralità del soggetto all’interno di una dimensione aspaziale attraverso l’illuminazione e la lucentezza delle cromie; cosi come, infine, citazioni a un Munch, dove prevalgono il tratto e la pennellata che vengono gettati con forza e sicurezza sulla tela, trasformando, cosi, il proprio canovaccio cromatico di tinte in un alfabeto di simboli e di segni. Daniele Bongiovanni parte da un punto oggettivo, si presume che sia tale osservando i volti e i ritratti di persone reali e fisiche immortalati nei propri quadri, per, poi, agire sul reale, sull’iperreale frazionato, in quanto solo alcuni lati di questa dimensione ottica interpretativa e visiva vengono esaltati e risaltati con particolare attenzione da quel flusso di coscienza che promana dall’autore e che influenza la propria interpretazione del soggetto, reale appunto. In questo flusso interpretativo si inseriscono ciò che vogliamo considerare essere il pensiero dell’artista e la concezione, nonché comprensione, dell’individuo, che lo stesso autore analizza, scruta e osserva penetrando in esso e trasportandone l’animo nel reale, riportandolo nel reale, in una concezione totalmente differente da quella realista e in una dimensione espressionista. La presenza dell’autore nella fase compositiva estetica è presente, ma in modo tale da non invadere quel percorso di riflessione e di conoscenza lasciato libero all’osservatore. Daniele Bongiovanni studia con attenzione la forma, studia in modo approfondito i volti e le anatomie, è fortemente consapevole dei percorsi che definiscono una figura, è conoscente delle qualità fisiche e chimiche dei materiali utilizzati che vanno a interagire tra di loro: questi sono i presupposti funzionali a donare una certa plasticità ai concetti e ai pensieri, quel flusso di pensiero che promana dalla coscienza, moto continuo e perpetuo che si rappresenta tramite giochi di luce e contrasti chiaroscurali, in cui il colore e la materia diventano protagonisti principali della narrazione visiva. La produzione artistica di Daniele Bongiovanni ci porta a concepire in modo fermo e deciso che si può riuscire a comporre opere appostandosi all’interno di uno stile che possiamo definire ibrido, in quanto ibrida ne risulta la ricerca che sorregge l’autore, quel percorso sperimentale unico e universale che rende il tratto della mano sempre attento e originale nella propria unicità inconfondibile, all’interno della definizione pittorica del contesto, ponendosi e interponendosi tra il classico e il post moderno, tra il formale e l’informale, tra un espressionismo concettuale e suggestivo, intimo e interpretativo, e una rivisitazione in chiave moderna di tratti e lineamenti che diventano espressioni di altre prospettive e di altri panorami descrittivi, le narrazioni dell’animo. Daniele Bongiovanni studia e interpreta il ritratto del viso tramite la sapienza delle cromie adagiate sulla tela, ora tecnica a olio, tanto da rendere l’opera ricca di una luminosità e lucentezza interiore, ora tecnica mista, donando caleidoscopi visivi utili a decomporre la figura e a ricomporla sotto una dimensione immaginaria e psicologica interiore di indagine delle contraddizioni e delle finitudini dell’essere umano. I contrasti, molto accesi, di colori, che si confondono e che interagiscono, esaltano e risaltano le figure rappresentate e donano a esse quella giusta definizione indefinita, quella giusta composizione decomponente, quella particolare pluralità di punti di vista che si sintetizzano e si riassumono in una poliedrica rappresentazione, quasi dal sapore cubista. Daniele Bongiovanni ama donare dinamicità alla figura rappresentata e a darne un aspetto di introspezione e di confusione tra due macro concetti che si pongono e che si impongono nella visione manichea esistenziale quotidiana, ossia il contrasto tra bene e male, tra buono e cattivo, tra istinto e ragione: nei visi e nei ritratti di Daniele Bongiovanni tali confini, che appaiono come evidenti dall’immaginario comune, risultano, invece, messi in discussione, risultano essere superati, risultano essere inesistenti rompendo, in questo modo, preconcetti e offrendo una dimensione rinnovata, inattesa e riconoscibile come parte integrante di un’umanità vera e indiscutibile. Le sensazioni, i sentimenti e gli stati d’animo sono resi tali da deformare il viso e il ritratto e a costituire con fermezza e, allo stesso tempo, con delicatezza un concetto intimo del personaggio, da un lato sicuro della propria esistenza, ma rappresentante la propria fragilità e la propria limitatezza, la propria intramontabile vulnerabilità e la propria sofferenza esistenziale, dovuta a un contrasto tra l’anelito di emancipazione e di libertà e una subordinazione, soggezione, alle regole costrittive e prestabilite di una società. I contrasti e le contraddizioni dell’essere umano vengono raffigurate nell’essenzialità e nell’essenza del tratto dell’autore, in un variegato moto e movimento di colori e di linee, di lineamenti e di contorni facciali che creano un movimento, una dinamica e un vortice che traduce il pensiero, l’ideazione e il sentimento introspettivo in una chiave visionaria, suggestiva quanto interrogante lo spettatore sulle identità del volto ripreso dall’autore, che si eleva a metafora e allegoria di una condizione collettiva e anche individuale. Si possono trovare, lungo la serie delle opere di Daniele Bongiovanni, citazioni, fatte proprie come lati distintivi di una produzione, a un Francis Bacon, la deformazione del volto e l’esasperazione dei tratti dei visi, peggiorando e alterando una parte di essi a discapito del tutto, donando, cosi, quella centralità concettuale e sostanziale di un messaggio introspettivo interiore; citazioni a un Lucien Freud, la centralità del soggetto all’interno di una dimensione aspaziale attraverso l’illuminazione e la lucentezza delle cromie; cosi come, infine, citazioni a un Munch, dove prevalgono il tratto e la pennellata che vengono gettati con forza e sicurezza sulla tela, trasformando, cosi, il proprio canovaccio cromatico di tinte in un alfabeto di simboli e di segni. Daniele Bongiovanni parte da un punto oggettivo, si presume che sia tale osservando i volti e i ritratti di persone reali e fisiche immortalati nei propri quadri, per, poi, agire sul reale, sull’iperreale frazionato, in quanto solo alcuni lati di questa dimensione ottica interpretativa e visiva vengono esaltati e risaltati con particolare attenzione da quel flusso di coscienza che promana dall’autore e che influenza la propria interpretazione del soggetto, reale appunto. In questo flusso interpretativo si inseriscono ciò che vogliamo considerare essere il pensiero dell’artista e la concezione, nonché comprensione, dell’individuo, che lo stesso autore analizza, scruta e osserva penetrando in esso e trasportandone l’animo nel reale, riportandolo nel reale, in una concezione totalmente differente da quella realista e in una dimensione espressionista. La presenza dell’autore nella fase compositiva estetica è presente, ma in modo tale da non invadere quel percorso di riflessione e di conoscenza lasciato libero all’osservatore. Daniele Bongiovanni studia con attenzione la forma, studia in modo approfondito i volti e le anatomie, è fortemente consapevole dei percorsi che definiscono una figura, è conoscente delle qualità fisiche e chimiche dei materiali utilizzati che vanno a interagire tra di loro: questi sono i presupposti funzionali a donare una certa plasticità ai concetti e ai pensieri, quel flusso di pensiero che promana dalla coscienza, moto continuo e perpetuo che si rappresenta tramite giochi di luce e contrasti chiaroscurali, in cui il colore e la materia diventano protagonisti principali della narrazione visiva. Alessandro Rizzo
Scrivono in PASSPARnous:
Aldo Pardi, Claudia Landolfi, Enrico Pastore, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Francesco Panizzo. |
Fotografia
Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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