Risulta alquanto impossibile, e si potrebbe osare anche dire non concepibile, non contestualizzare il percorso artistico di un autore nell’ambito della propria evoluzione esistenziale ed esperienziale. Nicolas Daniel Schiraldi inizia a disegnare fin dai primi anni di vita in un ambito, quale quello del villaggio argentino Willaldea, città dove nasce l’11 febbraio 1987, fondato da una compagnia teatrale che poneva l’antropologia e la sociologia come basi fondanti di una ricerca testuale, il cosidetto “teatro dell’oppresso”.
L’esigenza innegabile e incommensurabile di esprimere la propria personalità e il proprio pensiero attraverso un linguaggio a lui confacente e familiare è viva e pulsante nella figura di Daniel: una tensione continua trasbordante porta l’autore a espilicarsi come artista e a trovare nei segni dell’illustrazione e nelle tinte, le delicate e decise pennellate, dell’arte pittorica le sintassi ideali per poter meglio esprimere la propria poetica e rielaborazione della realtà. Parliamo di realtà rielaborata in Daniel Schiraldi in quanto l’autore si stacca, seppure con consapevolezza, da un solco tradizionale e formale accademico per procedere in un percorso proprio, sia a livello compositivo, la tecnica, sia a livello estetico, quella sintassi pura e istintuale usata per raccogliere lo sguardo interprete dello spettatore. Daniel presenta una produzione molto complessa e articolata per stile e per genere affrontato, ma unificata da un minimo comune denominatore poetico e lirico. Si passa, cosi, lungo la proposta artistica di Schiraldi, da un ritrattismo, che accoglie e recepisce sia alcuni dati caratteristici di un espressionismo, la rielaborazione attraverso gli occhi dell’artista della visione del reale, sia alcuni dati fondativi di un impressionismo puro, la riproposizione cromatica particolareggiata e puntuale della dimensione oggettiva circostante, a un paesaggismo quasi onirico, astratto e concettuale nella propria dimensione surreale con componenti forti di un grafismo caricaturale. In tutta questa visione artistica si apprezza in Daniel Schiraldi la presenza, discreta e allo stesso momento prevalente, dell’autore come persona: si intravede un’introspezione genuina e senza nessuna pretesa velleitaria in quegli sguardi che diventano figurativamente penetranti e che coinvolgono lo sguardo dell’osservatore chiamandolo in causa in una riflessione viva e accesa. Una certa facilità nell’effettuare rimandi con autori precedenti della storia e della letteratura artistica può profilarsi nel momento in cui certe tendenze chiaroscurali, certa impostazione espressionista concettuale, certa ritrattistica che assapora la caratteristica quasi caricaturale di esagerazione di alcuni elementi distintivi del viso, occhi molto grandi, ci possono portare alla memoria visioni di un Egon Schiele, oppure di un Ernst Kirchner per non dimenticare, infine, il sommo Francis Bacon. Cercare di determinare un filone culturale compositivo all’interno del quale Daniel si manterrebbe diventa alquanto soffocante e restrittivo, in quanto la caratteristica compositiva dell’artista risulta libera ed emancipata nel delineare l’aspetto costitutivo ed estetico dell’opera. La visione complessiva di un’infanzia vissuta in un contesto ricco di creatività e di autodeterminazione della propria espressività, il villaggio della Comuna Baires in cui il senso di comunità si univa a un’esperienza collettiva, e individuale, di crescita artistica ed emancipatoria, si ripercuote in una produzione che non lascia margini a incertezze né sintattiche, la definzione della tecnica da utilizzare e il tratto da concedere alla tinta adagiata sulla tela, né di contenuto, quell’estetica che si eleva a significante. Si rivive, cosi, quella visione onirica e di fantasia che si registra e si apprende in alcuni paesaggi comunitari che Daniel ripropone, affermandosi sotto un taglio espressionista e, allo stesso momento, concettuale e astratto, testimoniando, pertanto, una conoscenza molto approfondita del grafismo e dell’illustrazione, dati connotativi delle prime esperienze compositive di Daniel, all’interno di un contesto visivo in cui si evince una forte e sostenuta dose di immaginazione figurativa. Nella produzione artistica di Daniel si avverte quel senso di disagio, di irrequietezza e di forte soffocamento che l’autore ha vissuto e avvertito nel momento in cui ha affrontato il passaggio da una dimensione più umana e familiare, libera espressività delle personalità e delle creatività, a una dimensione più metropolitana, cittadina, costrittiva e fortemente convenzionale. Sono le convenzioni che Daniel vuole indicare come elementi da affrontare di petto e da superare, rompere, attraverso un tratto che esplica in modo sincero e senza esitazione il moto del proprio animo, il flusso di coscienza e una propria espressività senza nessun tipo di costrizione formalistica. Si avverte, quasi, in questa dimensione un assaggio surrealista dell’impatto pittorico di Daniel: si intravede prevalere, quindi, una versione autobiografica diventando ancor più simbiotico il rapporto tra esistenza ed espressione artistica. Il linguaggio cromatico è composto da vivaci tinte e da brillanti colori, soprattutto in quelle opere in cui si intravede centrale un folto gruppo di persone, che popolano diversi quadri dell’autore, risaltando in essi la sfumatura e la degradazione sulla tela dei contorni delle figure, quasi fossimo posti difronte a un vetro o, meglio, a un elemento oggettivo che porta a deformare la visione reale paesaggistica, dandone un contenuto onirico. Il colore gioca una parte importante e di protagonismo nelle opere di Daniel Schiraldi: si oltrepassano, cosi, le dimensioni figurative classiche e le definizioni lineari delle figure espresse in esse. In questa espressione artistica l’autore traduce le cromie in alfabeti di una produzione visionaria e dal sapore surrealista, conducendo lo spettatore in un’ipotesi di lavoro, consistente nell’apprezzare e nell’accogliere quella caratteristica istintuale che non manca nel percorso artistico dell’autore, definibile a pieno titolo come artista di una serie di opere dalla natura tribale, fatta di segni quasi simbolici e primitivi, ancestrali quanto antichi nella propria e intrinseca definizione sostanziale ed estetica. Alessandro Rizzo
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Fotografia
Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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