Luca Puglia nasce a Roma il 3 gennaio 1972: ho avuto occasione di intervistarlo in un’occasione piacevole, un momento intimo e fondamentale per conoscere completamente la passione e l’emozione che l’artista pone nel realizzare le proprie opere. Questo passaggio sublime e coinvolgente ha potuto permettere di addentrarmi nella produzione di Luca, uno stile che vede nel binomio "espressione romantica", una sintesi altra e che porta la propria arte su ulteriori prospettive, superando la sterile, e ormai arcaica, distinzione tra figurativo e astratto. Luca vede molti follower sui social network e riceve quotidianamente feedback da persone che lo seguono e che sono sollevate nell’animo dai suoi post e dalle sue opere, una comunione tra scritto e visione unica e universale.
Luca utilizza una tecnica particolare, il sangue, parte fisiologica di se stesso, tanto da permeare l’opera e tanto da vederne rappresentata la propria interiorità, i propri sentimenti, le proprie emozioni: effetti estetici, la suggestione cromatica e chiaroscurale, emotivi, la poesia che ci porta a vivere della stessa intensità di cui vive l’autore, in modo spontaneo e diretto, nella fase compositiva, fisiologici, una parte viva dell’autore riportata sulla tela. Riceve nel 2015 il celeberrimo Oscar della pittura di Montecarlo. Luca iniziamo a parlare della tua formazione? La mia è una formazione autodidatta: da quando ero piccolo ho sempre amato disegnare e scrivere, scrivendo poesie e poemi. Ho continuato, poi, nella pittura: ho aperto un locale, un lounge bar dove si faceva anche arte, esposizioni, personali e collettive. Ho iniziato a dipingere all’età di 17 anni. Le opere che esponevo nel mio locale, ho iniziato quella attività all’età di 24 anni, venivano subito comprate. Ho fatto 400 opere in sette anni, continuando con la pittura, una volta chiuso il locale. La scelta della tecnica, maggiormente utilizzata, il sangue, combinata con altri elementi, per esempio l’olio: da che cosa è dovuta? Nell’evoluzione del tempo, come accade a tutti gli imprenditori e a tutti gli artisti che evolvono, ho condotto un accurato studio sulla tecnica fino a giungere a scoprire il sangue come elemento. Tutto è avvenuto casualmente: mi son tagliato un dito e l’ho asciugato sulla tela. Il giorno dopo ho potuto scorgere l’effetto potente, a livello estetico e materico, del sangue rappreso. Uso il sangue arterioso e il sangue venoso per calibrare i chiaroscuri: l’uno porta ossigeno, l’altro l’anidride carbonica. Diversi sono gli effetti cromatici. Uso una tecnica, che non svelerò mai, forte di consulenze scientifiche e della mia conoscenza infermieristica, utile a conservare il sangue, mantenendolo vivo senza farlo scurire: è, questo, un approdo importante nella mia ricerca. Vorrei citare a proposito un concetto espresso da un’ottima critica d’arte, Mattea Macelli: il sangue è elemento organico e l’opera si nutre della materia stessa per oltrepassare lo stato materico e divenire un linguaggio concettuale. Questa tecnica comporta una mia sofferenza, dato che estraendomi il sangue devo utilizzare un ago, una siringa e questi sono pratiche che comportano dolore. Ma mi chiedo che cosa sarebbe un artista se non componesse e dipingesse senza sofferenza? Le mie opere, realizzate, non sono macabre, esprimono una visione di un mondo sotterraneo, concepite col sangue: sono convinto di questo nel momento in cui ricevo commenti di spettatori che sottolineano la solarità e la lucentezza delle mie opere, alcuni mi definiscono “angelo della luce”. Perché utilizzi il sangue, quindi: scelta che trova una corrispondenza con la poetica e l’estetica nella tua arte? Utilizzando il sangue, in definitiva, posso dire che nella mia opera ci sia anche il mio Dna, quindi c’è tutta la mia anima. L’utilizzo del sangue è dovuta a una scelta spirituale, estetica, mi piace l’effetto cromatico del sangue, e fisiologica. Il Dna presente, poi, nell’opera può ricondurre, come una vera banca dati, al suo autore, direttamente. Nella mia opera ci sono io, sia a livello emotivo, le sensazioni e le forti emozioni che esprimo con naturalezza e immediatezza sulla tela, sia a livello fisiologico, ponendo sulla tela, lavorandoci, un elemento che appartiene fisiologicamente a me. Ho anche una nuova idea: coinvolgere amici per una emotiva e fisiologica partecipazione alla realizzazione dell’opera, un’armonia e un forte equilibrio, nell’utilizzo del sangue, sia per opere su commissione, sia per opere la cui fase di composizione abbia visto la presenza di altre persone. Utilizzi anche l’olio, insieme al sangue: perché questa scelta? Ritengo l’olio essere un elemento molto prezioso. Nelle mie opere ho anche utilizzato diversi pigmenti, come in Eutanasia di un amore, un trittico. Voglio sottolineare come nelle mie opere figurative risulti ogni cosa rappresentata essere centrata: tutto questo riesco a ottenerlo senza alcun calcolo, fancendolo e agendo istintivamente. Riesco a comprendere lo spazio che c’è a disposizione e riesco a capire le giuste proporzioni esistenti su cui lavorare. Spesso utilizzo anche lo scotch. Parli della tua arte come di arte figurativa, anche quando, solo apparentemente, sembrerebbe astratta e concettuale: perché? La mia pittura nasce come arte un po figurativa. Ho condotto studi umanistici, filosofia e teologia, e sono un ontologico. Sono un metafisico. Cerco, attraverso la mia forma mentis, la verità ontologica e quelle molteplici verità che ci conducono a una verità unica. Posso spiegarmi con un esempio: il bicchiere può avere diversi significati, ma si arriva, comunque, alla sua composizione chimica che pone in essere una verità unica e ontologica. È questo il concetto che imprimo nelle mie opere. Vado avanti per verità ontologiche. Non ho mai copiato nulla nella mia produzione: né una fotografia, né autori del passato. Quando dipingo mi metto nudo davanti alla tela e non so mai cosa ne uscirà: questo avveniva anche quando facevo solo figurativo. Cerco di rendere visibile quello che è invisibile. Vivo delle emozioni che sono dentro di me e che sono invisibili. Come si può rappresentare l’amore, la paura, la cattiveria? Mi carico di molte emozioni e cerco di rendere visibili le stesse che sono necessariamente invisibili. La mia forma mentis è istintiva. Io sono un istintivo nell’arte. Se mi impongo di voler rappresentare il fuoco, mi risulta difficile farlo. Una volta recepita, invece, l’informazione, il concetto di fuoco, una volta metabolizzata la stessa informazione dentro di me, vado a scegliere quei colori che sono legati al fuoco come elemento, concependo, cosi, l’opera stessa. Sono spontaneo. Le mie emozioni prendono forma nel momento in cui dipingo. Non c’è nelle mie opere e nella mia produzione una netta linea di confine tra astratto e figurativo. Possiamo vedere le tue opere basarsi anche su una valenza di materico? Sono materiche le mie opere, e questa caratteristica è visibile. Vengo spesso definito come cavaliere della luce: nelle mie opere trasmetto pace, serenità e allegria, le luci dell’anima. Nelle mie opere si vede la purezza dell’anima. Quello che compongo e quello che esprimo risultano essere in perfetta sintonia. I miei dipinti sono profondi, frutto della mia anima. C’è molta positività nelle mie opere. Come avviene la fase di ispirazione e concepimento dell’opera, atto precedente l’impulso creativo, molto forte e incisivo nella tua produzione artistica? Sintetizzo le emozioni che provo attraverso la pittura: l’emozione fuoriesce al momento della mia composizione e, una volta liberatomi, sono pronto a riempirmi di nuove emozioni per, poi, produrre ancora altre opere. L’opera che ritieni più rappresentativa, o alcune opere che ritieni tali, quale è e perché per avere un quadro antologico? L’uomo gentile torturato è il titolo di un’opera alta due metri e quando l’ho realizzata non avevo prefigurato, ideato con anticipo, l’immagine che ho rappresentato: qui il sangue vibra e palpita sulla tela. Compare dal nulla la figura di un uomo torturato, che si propone in modo gentile e che, nonostante la tortura subita, evidenzia un distacco della sua anima dal corpo fisico, permettendogli di non avvertire più l’insopportabile dolore. In questa opera alcuni vedono, per esempio, tornando a prima, accenni a Mondrian: ma il mio impeto compositivo non è consapevole di possibili citazioni che potrebbero proporsi. Passiamo a Uomo e trans, opera in cui un uomo mette la mano nel costato della transgender perché vorrebbe aiutarla a diventare donna, togliendole, qui la portata simbolica, quella costola in più. Cito Il canto del cigno, che non significa la morte del cigno, ma che vede la presenza di due cigni che circolarmente si toccano, baciandosi, un inno all’amore: nell’opera ho utilizzato anche lo sperma, e questo diventa la testimonianza di uno stile tra l’astratto e il figurativo. Molti asseriscono che l’utilizzo del nero come cromia, nelle mie opere utilizzo molto questo colore, possa essere la distruzione o l’esaltazione di un’opera. Nelle mie opere il nero risalta la tela. Quando dipingo non prendo mai le misure, soprattutto quando propongo figure: molti, tecnicamente, tendono a calcolare tutte le proporzioni anatomiche, prima di stendere l’opera; io non calcolo nulla ma, una volta davanti alla tela, ho la pienezza totale dello spazio e dell’equilibrio in esso presente. Non c’è nessuna mia opera in cui lo spazio determini la presenza di uno squilibrio: le misure sono tutte equilibrate, senza esserci stato un calcolo precedente, come ne L’angelo nero, colore nero intenso, figura con mani e membro insanguinati, cosi come la bocca di colore rosso, quasi da presupporre che abbia fatto un atto di violenza. Questa opera esemplifica l’equilibrio delle misure. Ho avuto una fase minimalista, dove l’equilibrio compositivo era tale per cui con sole quattro linee riuscivo a comunicare un’emozione. Un’opera, Punto cosmico, sarà donata a Fabiola Gianotti, la ricercatrice del Cerm di Ginevra, citata nel discorso di fine anno del Presidente Mattarella, attraverso una conferenza stampa in cui lei stessa sarà presente. Molte mie opere hanno avuto anche un valore di "arte sociale", come il tavolo realizzato con una mia opera: il tavolo è simbolo di convivialità, su di esso si mangia, si beve, si dialoga e la tavola è una mia opera, diventando essa stessa confronto. Alcuni, coloro che vogliono dimostrare sempre presenze di citazioni nelle opere di artisti, definiscono alcuni tuoi lavori come una ripresa di un Munch: fin quanto è reale questa definizione? Molti vedono nei miei lavori figurativi, quelli palesemente tali, una ripresa di canoni estetici e compositivi di un Modigliani, di un Picasso e del cubismo: si parla anche di una sintesi altra ed elevata che ho saputo condurre tra questi due autori. Io non cito autori del passato volutamente, ma mi viene naturale e istintiva la fase compositiva, senza pensare, ponderare, riflettere, ma andando con immediatezza a lavorare sulla tela. Che aggettivi dare alla tua arte? Possiamo utilizzare un binomio, che esprime al meglio la mia arte: espressioni romantiche. Ho fatto una sintesi, vera, superandole, di quelle categorie, figurativo e astratto, che sono state inventate. Picasso diceva che un punto nero su una tela è già figura. La distinzione esisteva solamente nei tempi remoti dell’arte: figurativo e astratto sono termini vecchi, superati, usati solo per definire degli stereotipi. Ora non c’è più distinzione. Le mie opere non sono ne astratte ne figurative, ma sono e vanno oltre: le emozioni si vivono davanti a una mia opera e si vivono a prescindere dal genere o dalla categoria che si vuole dare all’opera stessa. In questo si verificano i sentimenti, forti e incontenibili, che io provo e che esprimo attraverso la mia arte, facendoli uscire dalla mia interiorità. Proprio per questo ho usato il termine “espressione romantica”. In queste espressioni romantiche si possono percepire sulla tela figure non create ne ipotizzate, ideate dal sottoscritto, ma comparse, semplicemente, dal nulla. Non sono immagini che vedo solo io o che vede solamente il singolo spettatore, ma sono visibili a chiunque, oggettivamente. Non sono interpretazioni soggettive e non sono casuali. Alessandro Rizzo
Scrivono in PASSPARnous: k
Aldo Pardi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo. |
Fotografia
Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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