Esiste una propria autonomia compositiva quando si avverte come ferme, e basilari, non solo una certa formazione, una conoscenza e una selezione di artisti del passato, o anche contemporanei, divenendo anche, come artista, figli dell’epoca in cui sci si inserisce, ma, anche, una convinzione dei riferimenti estetici, delle fondamenta teoriche, delle ispirazioni poetiche e descrittive che vanno a delineare un’idea e un concetto interpretativo di arte. Pietro Gandetto è autodidatta, si forma studiando e praticando, non certo senza ormai passate difficoltà, necessarie in un cammino esperienziale, non certo privo di ormai largamente superati tentennamenti, che stanno nella cronistoria del naturale itinerario fatto di ricerca, continua, e sperimentazione di un qualsiasi autore: da questi passaggi, oggi, l’artista ha assunto, facendoli propri, una propria ferma, solida, salda, autonomia compositiva e una sicurezza nel giocare, occorre dirlo e farlo, con i colori, osando a volte in modo convincente affinché l’alfabeto interiore si possa esplicare in figure, dal sapore astratto e concettuale intenso.
Pietro Gandetto ha visto, e vede tutt’oggi, il consolidarsi di una propria base autonoma, non dipendente, né passivo rifacimento di citazioni di un passato storico artistico e di una letteratura artistica: elabora, si è pur sicuri, certi percorsi artistici di illustri autori, lui stesso li cita come “riferimenti” più culturali, quali Modigliani, Pollock, Renoir, Cassinari, De Pisis, Richter e il contemporaneo vivente Luiso Sturla, ma non in una pedissequa ripetizione, ma confrontandosi attivamente con essi e creando una sintesi di un’arte, complessa e completa, quale quella che Pietro Gandetto va a definire e proporre. Si può percepire, proprio per l’impetuoso flusso visionario che cresce nell’interiorità dell’autore per, poi, esplicarsi attraverso una gestualità della mano e delle pennellate, sicura e convinta, una dose di transavanguardia pura, sorretta da un’interpretazione dell’autore, tale da dare una continuità, una coerenza e una costanza nell’espressionismo astratto che va ad accennare forme e figure inattese sulla tela, interpretabile come l’informale, esplicativo di un’istintualità dell’artista. Come fosse in preda a un sogno, come fosse cosciente di sensazioni che sgorgano nel proprio intimo, come fosse evidente un’esplosione di visioni che destrutturano un reale, percepito, avvertito, destrutturato, reso simbolico, accentuandone elementi suggestivi e provocanti che lo compongono, Pietro Gandetto procede con sicurezza nella stesura delle pennellate in un gioco estetico e compositivo che, non solo lo rende riconoscibile come autore, ma lo conferma nella propria poetica, nel proprio interpretare l’arte come mezzo, fatto di alfabeti cromatici e immaginifici, di espressione, appunto, di codici intimi e incisivi. Ci colpiscono nelle tele di Pietro una certa assunzione di volume da parte dei colori e delle tinte, tutte a olio, che assumono una propria dimensione, tangibile e tale da esemplificare, in modo diretto, le parole dell’anima dell’autore: quelle raffigurazioni di volti accennati in un minimalismo dei dettagli che tendono a renderli quasi velati, sfregiati in alcune accezioni, eccedenti in alcuni propri particolari, rendendoli prevalenti e quasi essenziali; oppure di soli linguaggi cromatici che vedono interagire le tonalità in modo naturale, quasi l’opera assumesse un proprio percorso elaborativo autonomo, quasi gli stessi colori, posti con determinazione dalla mano dell’autore, andassero ad adagiarsi naturalmente, interagendo tra essi, in un’armonia estetico compositiva molto coinvolgente, interessante e intrigante. Pietro cita Van Gogh per spiegare e introdurci la sua arte: “Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno”. L’autore non poteva meglio rappresentare con una simile e breve frase il significante, ne sono ricche le sue opere, che si impone e si pone alle nostre visioni, non potendo fare a meno, come spettatori, di lasciarci condurre nell’interpretazione, quasi magica e onirica, di un sogno dell’anima tradotto in cromature vive, intense, piene di energia e di lucentezza, luminosità, in cui prevale, quasi spesso, un minuscolo punto più sobbalzante rispetto alla superficie della tela, presenza metafisica, quasi guida, in un contesto aspaziale, atemporale, universale quanto surreale. Diverse, tra le ultime produzioni, le tele che hanno un contesto cromatico omogeneo di sfumature, caleidoscopi di tinte e di tonalità, in blu, tanto amato in certa letteratura moderna artistica, colore dalle mille intensità e dalle suggestive vibrazioni: Pietro non finisce, non sente di aver esaurito, quel percorso di sperimentazione e ricerca continua, questo rende di qualità la sua produzione che risulta essere convincente, e prosegue con determinazione a trovare degli elementi nuovi nel punto di relazione e interrelazione tra le lettere visive fondamentali e basilari, possiamo dire l’abbecedario estetico compositivo, della composizione artistica: la luce e il colore, appunto. Tutto questo richiede uno studio approfondito per poter tradurre l’esito immaginario del gioco di interazione luce e colore sulla tela, la tempera a olio richiede molto tempo, soprattutto nella fase di raffreddamento delle pennellate, esigendo riflessione, ponderazione e molta attenzione. L’autore riesce a equilibrare i vari momenti di stesura e composizione, senza abbandonare l’immagine, la visione, iniziale, che rende l’impeto di una pittura senza freni e disinibita. Pietro, scrive, “interpreta” le tracce e le ‘presenze’ che caratterizzano le nostre emozioni cosi come le luci e le ombre interferiscono nella percezione dei colori”: la parte di indagine reale e scientifica delle interazioni tra colori e luci sono gli unici alfabeti in cui tradurre le visioni oniriche interiori e i sentimenti, le emozioni, le sensazioni che hanno maturato nella parte intima del flusso d’anima dell’autore, irrefrenabile. In tutto questo notiamo un esperanto estetico e compositivo di forte armonia e compattezza, un informale che diventa, quindi mezzo di comunicazione più adatto per declinare le emozioni e gli stati d’animo interiori che Pietro avverte e che li ripropone con impeto e fermezza sulle proprie tele, senza limiti, senza porsi canoni etero-imposti, senza osservare nessun tipo di formalismo compositivo: è la traduzione e la trasposizione nel visivo di ciò che lui definisce “cura dell’anima”, ossia “depurare la propria interiorità” attraverso il linguaggio cromatico, forme e linee che decompongono il reale suggerendo panorami altri ed elevati, astratti quanto nostri, in quanto interiori. Alessandro Rizzo
Scrivono in PASSPARnous: k
Aldo Pardi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo. |
Fotografia
Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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