La fotografia può lasciare margini compositivi allʼautore quando riesce a dettare nel suggerimento di ispirazioni e di idee quella gamma di possibilità di elaborazione di immagini e scenari inattesi: la forza suggestiva ed evocativa del bianco e nero ci dona, infine, quella patina di visionario e onirico che ci proietta nellʼinfinito dellʼorizzonte della mente. Kim Talacay è un artista giovane, autodidatta nella formazione e, per questo, libero nel poter esprimere prassi esecutive di produzioni inattese e inaspettate, lasciando un segno chiaro del solco in cui agisce, quello cittadino e urbano, con una chiara fermezza e coerenza stilistica. Le opere di Kim sono successioni di narrative di una metropoli, non identificabile, in cui soggetti agiscono e si muovono, donando ad alcune opere una certa dinamicità. Lʼautore gioca molto con i tempi di esposizione, lʼapertura del diaframma e, soprattutto, la saturazione, i vari e diversificati livelli di piani compositivi utili a donarci profondità, nel proiettare centralità al momento e al dettaglio che lo stesso artista vuole imprimere e vuole definire nel rapporto di contemplazione intercorrente tra se e lo spettatore. La magia del bianco e nero si esplica, qui la sapienza descrittiva di un certo iperrealismo che tende a proporre scenari altri e ulteriori, suggeriti dalla sola capacità evocativa delle figure riprese, il campo di immaginazione concesso, in quanto spontaneamente derivante dalla visione dellʼopera, in unʼabilità del fotografo a lavorare solamente con le varie calibrature delle luci. Ombre e illuminazioni si intervallano nel descrivere le geometrie e le linee, quasi fossero state disegnate da un delicato tratteggio di matita che va a proporre i contorni delle figure riprese in un contesto spesso caratterizzato da sfumature e da intersezioni tra oggetti, celebre la dimensione quasi vorticosa e leggera dellʼindefinitezza dei profili che si apprezza nella fotografia che riprende lʼinterno di unʼedicola, ottenuti attraverso una certa capacità dellʼautore di lavorare, consapevolezza di quella prassi estetica ben chiara caratterizzata dagli essenziali alfabeti armoniosi ed equilibrati che il reale ci offre. La mano di Kim risulta essere ferma e decisa nel momento in cui va a scattare la fotografia: non ci sono tentennamenti e incertezze nellʼatto tanto da trasmettere con sicurezza il significante poetico dellʼimmagine che lʼautore vuole immortalare. La fotografia richiede attenzione, prefigurazione della rappresentazione che si vuole rappresentare, attesa dellʼistante opportuno in cui andare a riprendere lʼazione giusta, in quanto cosi configurata dallʼautore: i margini di errore sono fortemente ridotti in questa prassi, non è concesso recuperare in fase di post produzione, praticamente assente e non distorcente nella produzione di Kim, pena la perdita di quellʼattimo in cui il prefigurato si realizza e, pertanto, il venir meno dellʼidea stessa e irripetibile, immaginata e aspettata dallo stesso autore. La leggerezza delle immagini, che sembrano avvicinare lʼopera, apparentemente statica essendo una fotografia, al fotogramma interno a una successione filmica, ci porta a immergerci in unʼintrospezione e in un viaggio dettati dalla semplice visione di una sagoma di uomo al telefono davanti a una vetrata, oppure della schiena, centrale nella stessa opera, di un ragazzo, postato dietro a una grata e che mira lʼorizzonte, infinito e incerto, che gli si apre davanti. Scene di vita cittadina, di pedoni che vivono la strada trafficata urbana in pieno giorno, infine, ci danno lʼoccasione di fare rimandi e riferimenti evocativi funzionali a garantire allʼopera stessa di Kim unʼuniversalità e un senso di infinito, spaziale quanto temporale. Le opere di Kim Talacay sono esposte in una personale presso il cocktail bar “da Luca e Andrea” in Alzaia Naviglio Grande, 34 a Milano a partire da lunedì 20 aprile.
Alessandro Rizzo
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