Trovare una sintesi e una sintonia che non sia solo di genere, ma che comprenda anche il lato poetico e compositivo tra due artisti risulta essere singolare quanto particolare: Ivano Boselli e Paola Gatti offrono, invece, due produzioni che trovano ponti di comunanza.
I due autori hanno formazione diversa, canali di esperienza artistica differente, culture dissimili, ma ci accompagnano attraverso la loro sapienza descrittiva, precisa e puntuale dellʼobiettivo della macchina fotografica, a riprendere i dettagli che la realtà ci pone nella sua crudezza, nella sua superficialità, nellʼimpossibilità di indagarne le pieghe che costituiscono gli oggetti e gli elementi che fanno parte di essa. Partiamo proprio dagli elementi che, nelle produzioni esposte di Ivano Boselli e di Paola Gatti, raccolte nella collettiva “Estetiche narrative iperreali tra passato e futuro”, in esposizione presso lo Spazio Emmaus di Milano in una collettiva organizzata e curata da Factory Art, diventano le parti principali di una narrazione temporale quanto spaziale in una concezione iperreale nel senso stretto del termine. Le forme geometriche di una città in trasformazione, che ancora presenta strutture e oggetti urbani che rimandano la nostra mente a una memoria passata e che presenta nuove evoluzione del suo concepirsi come luogo collettivo e da abitare, cosi come quelle di una paesaggio di campagna o un rudere di un antico cascinale, diventano alfabeti di visioni che ci chiamano in causa come spettatori, non solo per la sapienza tecnica, raffinata quanto attenta, ma anche per lʼabilità di dettagliare e di utilizzare per questo scopo la luce nella sua purezza e nelle sue vibrazioni naturali, quanto incisive. Le estetiche diventano, cosi, dinamiche di visioni iperreali che ci donano, affidandosi nella propria portata allo spettatore, immagini particolari che ci addentrano in chiavi interpretative che vanno oltre al tangibile, che ci rappresentano quasi una storia che nella sua dinamica ci revoca la rappresentazione di un fotogramma, parte integrante di una serie di scene che potrebbero dare vita a unʼopera cinematografica. In questi scorci, in questi giochi di forme e di linee spaziali, in questa rielaborazione delle figure che, appartenendo a una dimensione tangibile, presente, esistente, la superano e la ripropongono sotto una prospettiva inattesa, si aprono dinamiche ulteriori, non previste, non ipotizzabili. La fotografia dei due autori risulta essere mera descrizione, se ci si sofferma a un primo approccio con essa, ma diventa ed evolve in uno sguardo imprevisto, raccogliendo su di essa quella potenza suggestiva che si evidenzia in una successione di significanti che si fondano su significati certi ed evidenti, conseguenza di una sintesi e di una sintonia che può solo esprimersi attraverso una sapienza tecnica compositiva e a unʼidea, una poetica, che muove lʼispirazione verso una composizione dal forte e unico impatto estetico. Ivano e Paola usano con abilità e perizia lʼobiettivo della macchina fotografica, andando a lavorare sui tempi di esposizione, sullʼapertura del diaframma, sullʼesposizione luminosa, dettaglio fondamentale quando gli unici strumenti risultano essere le sfumature chiaroscurali, sulla saturazione, sempre completa e piena. Non possiamo rimanere attratti e coinvolti da uno scorcio di scala, opera di Paola Gatti, che, come in una dinamica cinematografica, un esterno giorno cittadino, ci lancia nella prospettiva, e nellʼattesa, di unʼipotetica scena successiva, immaginando con la memoria, qui la definizione di evocazione che promana dallʼopera, che si esplica in uno scorcio prospettico tale da darci il senso di infinito, tale da attrarre la nostra attenzione e interrogarci, avanzando ipotesi fantastiche e immaginifiche, su cosa si celi oltre quellʼindefinito e incompleto elemento, quella scala che avanza in discesa, solitaria e unica, centrale nellʼopera stessa. Non possiamo rimanere coinvolti e quasi rapiti da quellʼintreccio di forme e di geometrie, parti strutturali di una facciata di un edificio moderno, immortalate nellʼopera di Ivano Boselli, specchi e controspecchi di altrettante visioni, non esplicite, ma che, quasi, dato il gioco che lʼautore intraprende attraverso le luci che si riflettono sulle vetrate, si ripetono infinitamente, senza limiti, suggerendoci una rassegna di idee e di ipotesi di immagini. Moderno e antico, dicevamo, si confrontano in uno stile e in una tecnica che trova i due autori molto collimanti: lʼiperrealismo diventa in Ivano Boselli e in Paola Gatti lʼinno di unʼestetica che unisce precisione descrittiva e narrazioni immaginifiche suggestive, il bianco e nero e la tonalità chiaroscurali con le sue molteplici ondulazioni e gradazioni che accompagnano il dato esistente rendendolo quasi apparizione onirica: la poetica in questo unisce i due autori e li rende accomunati da unʼispirazione che invita loro ad andare oltre alla mera ripresa del reale, sorretti e corroborati da ricerca e impegno sperimentale che li rende unici, riconoscibili, identificabili con un proprio tratto distintivo e certo, convincente quanto indifferibile, soprattutto se si pensa quanto poca prevalenza abbia la fase post produzione e quanto, invece, ci sia di iniziativa fotografica immediata, quella capacita di saper, come si suole dire, cogliere lʼattimo, rapirlo, anticipandolo, magari, attendendolo nel suo manifestarsi. Alessandro Rizzo
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