Cromie e forme nellʼarte di Piero Bagolini:
la città diventa spazio di suggestione e memoria Articolo di Alessandro Rizzo
Davanti a unʼopera, se unʼidea e una poetica ne hanno caratterizzato la fase compositiva dellʼautore, non si può rimanere senza formularsi domande o questioni, in cui la memoria, il gioco spesso beffardo che promana da questa in un circuito vorticoso di immagini e rimandi mentali sollecitati da esperienze visive, definisce una parte importante. Lʼimpatto estetico nella produzione di Piero Bagolini rende omaggio ai classici scorci di megalopoli, molte sue tele sono dedicate ad ambientazioni newyorchesi, fatte di ponti, di banchine portuali, di angoli delle intricate strade urbane, con un tratto deciso e, allo stesso tempo delicato, leggero, quasi lasciasse alla nostra percezione una certa patina del ricordo. Gli accenni delle forme geometriche che si innestano nel panorama della metropoli, in preda alla frenesia quotidiana, sono elementi oggettivi di prospettive altre che si aprono come squarci nella tela, in senso figurato intellettivo, e che non possono fare altro che porci domande, quesiti, questioni sul concetto di evocazione. In questo lato compositivo si percepisce tutto il respiro post impressionista di Bagolini: lʼautore non si è accontetato di perseguire le tracce dei grandi artisti che dipingevano en plein air, riproponendo pedissequamente il reale sotto lʼimpeto delle pennellate e delle tinte, ma ha voluto osare con i colori, riformularli in una narrazione complessa e complessiva di una metropoli fatta di luoghi e spazi, in cui lasciare disponibili gli spiragli, gli spazi aperti di cui si parlava, che portano lo spettatore verso prospettive altre, diverse, inattese, inaspettate, ma pregne di significanti intellettivi, risultati di sensazioni puramente estetiche che derivano dalla visione dellʼopera. Possiamo domandarci il motivo che ha portato lʼautore a scegliere la tecnica a olio come strumento di lavoro e realizzazione delle proprie opere: si può dare una risposta a questa domanda prendendo in considerazione la volontà dellʼautore di invitare lo spettatore in un viaggio dellʼimmaginazione; quellʼimmaginazione che si alimenta e si nutre di colori e cromie varie, di luci e indicazioni chiaroscurali, di illuminazioni delicate quanto velate, che accennano, rendendo volutamente incompleti i perimetri degli elementi impressi, abbozzi di ponti o di edifici che si stagliano sullo sfondo, immergendoci nel tratto infinito della narrazione, in una complessità di architetture, di stili e di generi artistici urbanistici. Le tele di Bagolini si rendono disponibili a ogni spettatore: è la semplicità elaborata di una produzione sincera e convincente di un autore che idea, immagina, studia con consapevolezza, realizza e produce lʼopera nella sua completezza. Bagolini non si accontenta della sola percezione dellʼelemento visivo, ma vuole giocare, con sapienza e consapevolezza, senza filtri e artifici estetici o di contenuto, con i volumi e le forme, rendendoli centrali pietre miliari che ci portano nei circuiti della memoria, del ricordo, dellʼinterrogarsi infinito sulla caducità e precarietà delle esistenze. I colori, adagiati con decisione e con leggerezza nel tratto di pennello e nella lucente vibrazione che promana dalla tinta a olio, sono alfabeti indispensabili, unici quanto sobriamente essenziali, per dare alle immagini stesse quella intensità descrittiva della compattezza delle figure, linguaggi visivi di significanti ulteriori. Le gradazioni cromatiche in unʼunità di colore che si adagia e degrada, o si accentua, in base ai livelli compositivi della tela, sono le parti principali di unʼopera dove possiamo inoltrarci in un itinerario estetico forte, utile e funzionale a immergerci nella valenza suggestiva quanto allusiva, indagine sorretta dalla potenza linguistica dei colori, di una megalopoli ricca di riferimenti e rimandi che promanano dalle forme descritte con fermezza, seppure attraversate da un alone quasi filtrato. Si aprono, così, forme di linguaggio che si insediano tra i due soggetti, lʼartista e lo spettatore, attraverso le quali il primo riesce a esprimere emozioni che si traducono in una richiesta di immaginazione rivolta al secondo, senza una presenza invasiva dellʼautore, pur realizzando una riconoscibilità del tratto, della poetica e dello stile di questʼultimo.
Alessandro Rizzo
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