Mavis Gardella risulta essere uno scultore ormai affermato sulla scena internazionale: è tale non certo per proporre una ripetizione didattica e didascalica, quasi scontata, di una monotona routine che si auto rigenera come rito meramente tecnico, ma, bensì, per inventare, nel senso etimologico del termine, una nuova creazione scultorea, una trasformazione dell’esile materia, un filo di ferro, in qualcosa di diverso, di inatteso, di dinamico, non fissile. Mavis dal punto di vista stilistico può porsi nel solco di due correnti culturali, una più tradizionale, la classicità espressa da forme religiose di un pensiero che si fa trascendente metafora delle vicissitudini del reale, e una più astratta, che vive di funzioni sperimentali tali da addentrarci in nuove prospettive da un’intensità lirica che ci traspone e propone tutta la poetica di una costruzione materica e di un’elaborazione artistica tangibile quanto plastica. Parlavamo di una certa mobilita’, di un dinamismo nelle installazioni tali da donare a esse una certa vitale energia, un’autonoma esistenza grazie al gioco e all’utilizzo non scontato, non banale, non prefigurabile della materia e della tecnica che innerva la prima dandole un movimento, infondendole un’anima, un cuore pulsante meccanico.
L’essere umano è il soggetto che si ripete e ripresenta in varie installazioni di Mavis: la materia, esile e filiforme, diventa elemento base di un alfabeto estetico che si fa narrazione allegorica dell’essere umano stesso, in tutte le sue accezioni e contraddizioni che rendono lo stesso un coacervo di significati e significanti, di opposti eterni che si confrontano, scontrano, incontrano, creando quella tensione che si genera da una visione di poli opposti, di contenuto antitetici, di antinomie reali che diventano catarsi di un coinvolgimento dei sentimenti e delle emozioni. Si può, quindi, assaporare nella produzione di Mavis un concettualismo che diventa visibile e reale, concreta figura plastica in movimento, quasi a voler significare il limite, spesso sottile e molto labile, esistente tra l’uomo meccanico, quasi conseguenza di moti che provengono da impulsi nervosi, in questo caso frutti di congegni che si muovono incontrandosi e interagiscono come motori di una macchina elettronica, e l’uomo umano, quello dotato di un cuore, che non è quello meccanico ma centro esistenziale e vitale da cui provengono quei segnali e quei moti di animo ricchi di intensità emotiva, sentimentale. L’autore chiama, cosi, lo spettatore a una visione, che può anche essere toccata e con cui si può relazionarsi, attivando, cosi, un rapporto forte e incisivo, un rapporto diretto e non filtrato, tale da non lasciare nessun tipo di margine a late interpretazioni e letture, ma chiedendo solo di intervenire nel gioco e di diventare parte del gioco. La produzione di Mavis ci porta, cosi, a una narrativa dei contrasti, a una opposizione che crea una catarsi estetica tale da essere contemplata nel suo vivo pulsare, nella sua percepibile plasticità mobilità, nel meccanismo elettronico che ne determina i movimenti, ripetizioni seriali di azioni in una serie di ripetitività quasi ipnotica. Il contrasto si percepisce nel concepire l’essere umano come un agglomerato di elementi materici e tecnologici che ci portano a formulare domande sulla natura e il destino dell’uomo: il suo essere alienazione ma, allo stesso tempo, vibrazione di emozioni e di pulsioni che generano da istinti interiori, sessuali o semplicemente biologici, ma che si nutrono di sensazioni. L’arte post moderna nel suo giocare interattivo e interagente con le scoperte e gli strumenti che derivano dalla nuova tecnologia si trasforma in cifrario utile a decriptare il significato nascosto dell’opera, installazione, quasi scultura, tangibile e presente, viva, che si muove se azionata da noi. Mavis chiama in causa lo spettatore e chiede al medesimo uno sforzo, un lavoro, una pretesa di lavoro, una sorta di collaborazione, per poter contemplare e comprendere quel significante recondito che si apre attraverso qualcosa che più di realistico nella forma non può esserci: un’installazione che apre a noi punti di vista e di visioni diverse, alternative, ma unite da un’essenza del messaggio. Mavis si fa “guidare dalle sue mani e dal suo fuoco”: niente si preventiva e si prefigura nella fase precedente la produzione, ma tutto si realizza al momento, nell’impulso semplice dell’attività fisica, forte, nel dare forma alla materia, tale da donare contenuto, significante estetico e tangibile alla scultura nella sua portata. La produzione di Mavis ci porta a denotare la dimensione meccanica degli ingranaggi che si affrontano e si uniscono determinando quasi un’allegoria non troppo subliminale dell’essenza fisiologica e biologica del corpo umano, in una ricerca continua, qui la valenza poetica dell’opera, di una propria dimensione umana. Si vive un itinerario descrittivo e plastico materico tale da imporci una lettura interiore molto intima e molto incisiva sulla dimensione esistenziale, con le sue problematiche contraddizioni, dell’individuo, abbandonandoci anche nelle tinte ferrigne quasi rugginose che necessariamente e inevitabilmente si evidenziano nelle linee e nei fili con i quali, come kora, il nostro artista demiurgo va a realizzare il suo soggetto pulsante e vivente nei meccanismi elaborati della tecnica elettronica. Si riuscirà, in tale meccanismo tecnico, trionfo dell’astratto materialismo spersonalizzante, a rinvenire la perduta liricità? Alessandro Rizzo
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flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
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