Il concettuale si unisce al materico tangibile tale da costituire una sinfonia di stili, di linguaggi e di alfabeti estetici, utili a donarci una visione di insieme e, allo stesso tempo, frammentata nelle sue definizioni e negli elementi che la compongono: sobrietà, essenzialità, minimalismo sono le parti portanti di una visione complessa quanto dinamica che ci conduce in panorami descrittivi di un astrattismo concettuale senza ritorno, immergendoci nella contemplazione silente e totale di un’opera, una installazione o un quadro materico, e proponendoci nuove dimensioni e ottiche di visioni. Parliamo della produzione di Carlo D’Oria: non possiamo trovare riferimenti al reale se non solamente nei soggetti e nelle parti costitutive dell’opera nella serie artistica. Il concetto sopravanza alla materia, all’impatto visivo di superficie, alla dimensione del tangibile, del concreto, dell’evidente.
Carlo affronta con sapienza descrittiva quell’impulso che proviene dalla sua volontà di rappresentare il macrocosmo in dimensioni microscopiche, attente ai dettagli, risaltando le particolarità costitutive che fondano e confondono gli elementi strutturali. Nella produzione di Carlo procediamo, così, in una narrazione completa quanto surreale di una metafisica essenza di un concetto che diventa significante estetico di quanto concretamente risulta essere visibile. Possiamo percepire il soggetto, la sostanza, dell’opera attraverso un’elaborazione dell’immagine, un’interazione viva e mobile tra le varie parti costitutive dell’opera stessa, installazioni che prendono dimensione e spazio, che provengono da un’elaborazione attenta, da un’ideazione convinta, da un’ossessione che si innerva nella capacità compositiva dell’artista. Quello di Carlo è un lavoro artistico manuale, di forte fisicità, di realizzazione di passaggi che richiedono non solo uno sforzo intellettivo nel percepire e concepire la forma che va a modellare la materia, come fosse quel sostrato dal quale ricavare la figura e l’opera nella sua portata, così come prefigurata nella sua mente, ma anche una capacità fisica tale da tenere al momento della produzione, al momento dell’utilizzo e dell’assemblaggio dei materiali, di una loro utilizzazione funzionale e soggetta al risultato complessivo che va, poi, gradualmente a definirsi. Troviamo titoli che quasi didascalicamente, senza apparire invasione di campo nella libera immaginazione dello spettatore, ci anticipano il perimetro ideale e concettuale all’interno del quale concepire il significante e il significato della stessa installazione. La serialità diventa parte supportante di una ripetitiva estetica di piccoli esseri umani, individui che si trovano in consequenzialità su superfici varie, ora Squame, opera esposta in una mostra dal titolo Skin Codes: un lungo serpente vivente composto di squame fatte da piccoli esseri umani che costellano il dorso della superficie del rettile, significando la totale adesione, la totale identità, la totale immedesimazione, la totale vicinanza, la quasi sincretica simbiosi tra uomo e natura, tra razionale e istintuale, tra pragmatismo e idealità, tra logica e sentimento. La parte industriale, l’alienazione data dai meccanismi del lavoro fisico automatico, operaio, si incontra con le prospettive dell’essere umano nella sua funzione, sempre più oscura e sempre più alienata, utile e strumentale al progresso economico e produttivo per, poi, sul finire delle sue forze e della sua esistenza, venire abbandonato e gettato in archivio, come fosse meccanico materiale di cui sbarazzarsi. Carlo usa materiali riciclati per, poi, nel loro assemblamento, creare quei panorami concettuali che ci portano in dimensioni percepibili, perché effettivamente reali e presenti dinnanzi alla nostra vista, e tali da addentrarci in visioni nuove che ci conducono necessariamente verso l’accoglimento di quel concetto e di quel significato che l’autore, con determinazione e con una propria presenza, vuole infondere all’opera stessa. Allegorie attraversano come alfabeti le strutture narrative delle opere nella serie “Ferite”, dove con una certa chiarezza e onestà compositiva l’autore affronta il tema del lavacro, della sofferenza umana, dello scontare un peccato originale tale da portarlo a vivere in una continua assenza di tranquillità e serenità meritata, spesso inconscio di questo proprio stato: come in Ferita ignavo, dove un soggetto, un individuo, si erge, inarcata la schiena, dalla base tinta di rosso, osservando in modo quasi spaesato, e annullato in essa, la portata della drammatica invasione del colore che si uniforma e che invade la superficie, come fosse devastazione senza possibilità di ritorno. Il rosso ritorna in altre opere, fortemente incisive, presenti nella serie, come in Lavacro o in Narciso, destino infame per chi, tracotante e supponente, esalta in modo esagerato il proprio io, quasi elevandolo a divinità. Il rosso può essere passione, ma può essere anche sofferenza, inevitabilità di un destino malvagio e matriarcale. Carlo adatta le sue installazioni nei contesti oggettivi e nelle strutture dove va a operare: vediamo questa capacità affiorare con maestria compositiva di grande portata poetica e artistica nella serie Linee di confine, installazioni anche esterne, utilizzando strutture presenti nell’ambiente: uomini si susseguono in file interminabili ignari del proprio destino, vittime di emarginazione, di solitudine esistenziale, di frustrazioni, di persecuzioni. È un inno alla miseria di migliaia di uomini costretti a lasciare, abbandonare, le proprie esistenze, in senso reale o figurato, per vivere, appunto, eternamente al confine, nella precarietà e nell’assenza di certezze. Gesso, carta, legno, acciaio, bronzo, terracotta: i materiali che Carlo va ad adoperare e su cui va a operare sono diversi, illimitati oseremo dire, tutti uniti in un eterno confronto, utile e funzionale a dare il senso lirico, poetico, autonomo, dell’estetica di una materia che diventa significante del concetto ideale di denuncia, sempre presente come file rouge nella produzione di Carlo. Carlo si forma presso la cattedra di scultura all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dove si diploma nel 1997: da quel momento la sua ossessione, in senso estetico e artistico, si riversa sulla scultura e sulla composizione complessa dei materiali, narrando come fotogrammi vivi e percepibili, tangibili quanto concreti, la natura umana, nella sua individualità, nella sua solitaria esistenza, in rapporto con gli altri, spesso figure amiche, molto spesso estranei congiunti solamente dall’appartenenza logistica e territoriale del momento: il momento sopravanza sulle individualità e ne crea l’elemento unitario e unificante dai contorni non sempre piacevoli e leggeri, ma molto spesso tragici, drammatici o, semplicemente, alienanti. Difficile risulta essere l’equilibrio dell’individuo, anche nel proprio rapporto con il mondo, la natura, e ciò che il mondo rappresenta, soprattutto se si osservano le posizioni e le posture che spesso i piccoli uomini assumono nelle opere di Carlo: dimessi, abbattuti, speranzosi, debilitati, pensierosi, incerti, increduli, sofferenti. Alessandro Rizzo
Scrivono in PASSPARnous: k
Aldo Pardi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo. |
Fotografia
Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
LE ALTRE SEZIONI di PASSPARnous:
|
Sezione
Revue Cinema diretta da Francesco Panizzo Sezione
Trickster diretta da Alessandro Rizzo Sezione
Reportages diretta da Davide Faraon |
Sezione
Psychodream Review diretta da Enrico Pastore e Francesco Panizzo Sezione
Apparizioni diretta da Francesco Panizzo Sezione
Archivio diretta dalla redazione di PASSPARnous |
Sezione
Musikanten diretta da Roberto Zanata Sezione
Witz diretta da Sara Maddalena Sezione
Eventi diretta dalla redazione di PASSPARnous |
|
Vuoi diventare pubblicista presso la nostra rivista?
sottoscrivi il bando. Accedi al link dall’immagine sottostante.
sottoscrivi il bando. Accedi al link dall’immagine sottostante.
Psychodream Theater - © 2012 Tutti i
diritti riservati