![]() Sergio Perini viene da una formazione artistica complessa e varia: fotografo, disegnatore, si dedica da diverso tempo alla scultura. La scultura verso cui ci inoltra l'artista, nasce a Ferrara nel 1959 e vive e lavora a Bologna, non può essere comparata alla canonica scultura accademica, magari di maniera, formale quanto di puro esercizio, spesso ripetitivo, di canoni e stili passati e remoti. Non vediamo nelle installazioni materiche di Sergio nessun tipo di citazione che ci possa riportare alla memoria opere che hanno segnato la storia della letteratura artistica: nessun cenno al classico, niente che preveda uno sguardo neoclassico, nulla che si possa configurare come una riproposizione di tanta scultura del Rinascimento.
La capacità di un autore sta nella sua stessa volontà e possibilità di diventare espressione autonoma, attraverso cui ricondurci a una sua autorevole e impositiva poetica che si esplica tramite uno stile, un genere, una produzione compositiva, una scelta dei materiali utili a dare e donare all'opera stessa realizzata una propria originalità e unicità. Sergio Perini parte da elementi del reale ma li rielabora, giocandoci con essi: non si lascia trasportare dal lato realista che spesso la scultura propone e assume, ma lo supera a tal punto da deformarlo e da proporre verisimili elementi oggettivi, in quanto di oggettività si compongono, ma rivisitati, decomposti e ricomposti in un secondo tempo, creando raffigurazioni a noi ignote, fantastiche, irreali, inesistenti, ma possibili, plausbili, potenzialmente immaginabili. Sergio gioca con le infinite combinazioni che la natura gli propone, generando, quasi come un demiurgo con la kora, creature e figure favolose, fiabesche, narrazioni di un mondo parallelo, non tangibile, ma ipotizzabile. L'artista gioca con la cartapesta, la manipola, la deforma, la piega, la straccia per, poi, creare dalla stessa l'opera: non si comprende mai se lo scultore quando procede nel definire attraverso la materia la figura abbia già in mente una prestabilita visione, che da potenza vuole portarla in atto; oppure se la figura stessa si realizza nello stesso atto di produzione, presentandosi a lui stesso in quel momento in cui va a lavorare la materia da cui estrarrà la figura nella sua completezza. La figura, possiamo dire in entrambi i casi, potenzialmente già esiste: esiste nel pensiero, esiste nell'azione nel mentre si esplica, esiste nella fase di ideazione, esiste idealmente nella materia, nel materiale, attraverso cui l'autore va a definire e realizzare l'opera. Sergio realizza bozzetti, disegni, possiamo dire degli studi, su cui va a porre l'idea della figura favolosa e metafisica che, poi, va a realizzare in senso materico e tangibile nella sua scultura. I bozzetti trovano una composizione che rimane quasi delicata, accennata, con schizzi di matita e tratti istintuali e immediati, tali da elaborare la figura nella sua portata ideale, canovaccio compositivo su cui, poi, andare a definire la scultura stessa. Sergio si definisce un autore ironico: lo è nel momento in cui la sua composizione diventa ludica invenzione di creature inesistenti, quasi mitologiche, ma in sostanza segni, simboli che narrano, in questo l'aspetto poetico della produzione dell'artista, di un caos esistente, di una confusione esistenziale, di un'irrazionalità diffusa in un contemporaneo piuttosto complicato, disumano e alienante, spersonalizzante, paradossale, devastante e devastato, disarticolato, drammatico in alcuni suoi lati parossistici, intricati quanto impenetrabili. Le opere che Sergio va a proporre risultano essere dettagliate nella loro portata, descrittive nell'attenzione per i particolari, nelle anatomie compositive delle forme che caratterizzano le figure: i mostri che si generano dalla combinazione di due soggetti, perlopiù animaleschi, differenti e appartenenti a nature varie e alternative, specie differenti, diventano quasi come delle chimere, delle cariatidi, dei soggetti innaturali che fondono due parti di corpi di bestie diverse, apportandoci verso panorami inesplorati e visioni inattese e non prefigurate, ma allegorie di un reale in cui non si riesce più a discernere quel limite, quel confino, quel passaggio tra ciò che e buono e ciò che è cattivo, tra ciò che è normale e ciò che è mostruoso. Le tinte che si propongono sono naturali e rendono ancor più verisimili le creature fantastiche. Non esiste più il bello e il piacere per il bello, dato che, come dice Sergio, siamo abituati all’aberrazione talmente tanto che il mostruoso è divenuto quotidiano. Le opere di Sergio sono un vero e proprio bestiario irreale di creature che ci conducono a comprendere una lettura del reale attraverso le lenti di una denuncia, che non vuole essere moralizzatrice, ma bensì constatazione del dato di fatto di una crisi delle coscienze che genera solo mostri, appunto, soggetti animati seppure immobili e fissi, privi di dinamica e movimento, quasi monumenti presenti che invocano la nostra coscienza e la nostra intelligenza, al fine di meglio esplicare il messaggio di disgusto verso una realtà aberrante, abominevole, tragica e impermeabile. Alessandro Rizzo
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Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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