Un artista è presente nella propria produzione nel momento in cui riesce a coinvolgere lo spettatore nella propria arte e a proporgli un itinerario poetico da seguire e da considerare, permettendo a quest’ultimo qualsiasi digressione riflessiva, rimanendo in una cornice ben definita a livello sostanziale e contenutistico. Stiamo parlando di Arturo Delle Donne, fotografo che parte come ritrattista, ha immortalato volti noti del mondo della cultura, dello spettacolo, del cinema e dell’arte in generale, ricordiamo Bertolucci, Paolo Rossi, Fabrizio Gifuni, Emir Kusturica, Peter Greenaway, Teresa De Sio, Caterina Murino, Piera degli Esposti, Matthew Mudino, in bianco e nero, calibrando con i chiaroscuri e la saturazione piena le linee del volto, inducendoci ad avvertire in loro emozioni e sentimenti, stati d’animo che li rende vivi, reali, iperreali possiamo dire, penetranti nello sguardo, elemento con cui l’autore gioca molto, tanto da concederci un rapporto di familiarità con i volti, una penetrante incisività degli occhi, una lettura di un alfabeto interiore e intimo della persona. Arturo osa con le atmosfere, i luoghi, gli spazi, l’interazione con l’ambiente, inventando vere e proprie scene che riportano come metafore e allegorie alla mente certe rappresentazioni epiche, oppure di arte tribale, graffiti viventi e immortalati di antiche visioni di tradizioni quasi sacramentali, cerimonie di un passato remoto che ha caratterizzato quell’eredità culturale delle genti.
In Tribes il volto diventa il tutto, l’universale, supporto di disegni di simboli che spiccano colorati in un’armonia cromatica composita ed equilibrata: criptografie da decifrare, partendo dallo sguardo, che viene reso centrale attraverso uno sfondo sfumato, quasi irrilevante, come se i visi fossero sospesi, oppure resi universali nella loro totale decontestualizzazione atemporale. I colori sono forti, definiti e tali da essere realizzati attraverso un tempo di esposizione ben delineato, da un’apertura sapiente del diaframma e, infine, da una saturazione utile a rendere le tonalità calde. De rerum natura è il trionfo della dinamica del tempo, dell’inverarsi del pensiero del “tutto scorre”, ma anche e soprattutto del tutto diventa e si trasforma in qualcosa di altro, soprattutto se a farlo trasformare è la forza del pensiero invocata in noi dall’impatto dell’immagine. Il titolo evocativo dei componimenti del grande scrittore latino, Lucrezio, ci presenta una serie dedicata a pezzi e parti di corpi di animali, morti, dalla gallina alla rana, dal pesce al granchio, immersi in un contesto aspaziale, sfondo bianco e lucente, illuminante, come se si fosse su un banco di sperimentazione scientifica. La porzione di carcassa esaminata risulta, così, centrale nell’opera e nell’obiettivo. Una produzione, è questa, che rende molto presente l’autore nel suggerirci messaggi da lui stesso ipotizzati, offrendo tutta la conoscenza fisica e scientifica, utile a interrogarci sul fronte della natura, sul decadimento fisiologico e su un cambiamento irrefrenabile del corpo, ambito interessante, questo, in quanto apre possibili ed esperibili scenari interessanti a livello fotografico e visivo. Arturo gioca in questo ambito, in questo spazio che si crea, punto di incontro tra scienza, la matericità inequivocabile e oggettiva della porzione di corpo, aspetto figurativo, interstizi e forme che servono come oggetti materici da cui partire a delineare l’immagine nel suo complesso, e aspetto poetico, la narrazione del dato tangibile che si rigenera in qualcosa di altro, profondo messaggio esistenziale. Il gioco consiste nel saper utilizzare con attenzione, consapevolezza, ma anche con una certa dose di creatività, le forme e le linee, i contorni e gli spazi, attraverso un uso quasi totale nell’esposizione delle luci e dell’illuminazione, di una calibratura delle stesse in tonalità profonde e calde, rendendo piu’ freddo lo sfondo, tanto da concederci una quasi indefinitezza, un senso di totale assenza, rilevando, come fosse un bassorilievo fotografico, la parte centrale, la porzione di corpo o carcassa di animale, insetto. Il simbolismo si eleva sovrano in questa serie che caratterizza Delle Donne come autore autonomo e autorevole, tanto da indurre lo spettatore, meno distratto e chiamato in causa dallo stesso artista senza troppi artifici e filtri, soggetto su cui porre interrogativi nel rapporto intricato, complesso e mai risolto tra scienza e arte, aprendo prospettive sulla relazione che può sussistere tra vita e consumo delle risorse finite, tra esistenza e rispetto dell’ecosistema, tra cibo e storia dell’umanità, rilanciando ancora, qui la poetica filo-sofica dell’intera produzione di Arturo Delle Donne, l’intramontabile dilemma riguardante il futuro e le prospettive di un necessario e auspicabile sistema dove vi sia maggiore responsabilità. La peculiarità del lavoro di Arturo Delle Donne consiste nel rendere la funzionalità dell’opera, il messaggio sociale e scientifico, l’autore nasce come biologo, pura espressione artistica ed estetico compositiva di grande valore. I ritratti di uomini famosi dello spettacolo, della musica, del cinema ci portano ad apprezzare un certo stile dell’autore che vede nella delicatezza dei tratti, nelle sintesi chiaroscurali dalla leggerezza e dalla sobrietà espressiva del soggetto, dalla luce che quasi tratteggia come matita in un contesto di bianco e nero il disegno del volto, capacità descrittiva soave quanto tenue che la fotografia può donare e offrire. La fotografia può anche diventare complice di ciò che vuole esprimere il concetto di mito e di memoria della tradizione dei popoli e delle genti, attraverso i personaggi che sombolicamente, quanto allegoricamente, possono diventare tramandatori di valori e di concetti etici che servono per la convivenza e per il progresso collettivo. È in Memes che l’autore utilizzerà la fotografia come espressione pregna di simboli e significati che si traducono in significanti per decriptare e decifrare i contenuti che provengono da figure epiche di miti lontani: il mito è portatore di verità e di idealità e nella fotografia di Arturo delle Donne viene riproposto attraverso la rilevanza del soggetto che, quasi sempre centrale nell’opera, si ripropone in un’accezione puramente moderna, Gesù Cristo con jeans strappati, o, semplicemente, fedele a quella del passato, alla visione iconografica a cui siamo usi, come in Ulisse, entrambi significanti, espressioni estetiche che alludono a contenuti sostanziali di grande portata. Il bianco abbraccia come una grande fonte luminosa in un’astraziome che rende imperituro il messaggio, la dinamica di corpi, quei fisici erculei e definiti che avanzano quasi uscendo dalla stessa opera, coinvolgendoci, ancora una volta, in un artificio estetico intrigante quanto suggestivo, orchestrato abilmente e con sapienza dall’artista. Espressività si respira nello sguardo penetrante, quanto ammaliante, di un’Eva che propende verso di noi chiamandoci nella spirale del peccato, quel peccato affrontato senza dolo, limite della coscienza e della volontà umane. Espressività viva si coglie nel giovane Spartaco che si propone a noi indossando le vesti da combattimento, esprimendo la propria potenza e la propria forza attraverso l’evidenziazione dei fasci muscolari che ne disegnano la struttura virile e prometeica. Espressività si evince da Ulisse, unica figura rappresentata fedelmente al contesto storico in cui il mito viene inserito, e che con difficoltà attracca la sua nave, in preda alla tempesta e ai venti indomiti che spirano dal mare, in un’eterna ricerca di pace e di serenità. La fotografia diventa, cosi, arte a tutti gli effetti e con tutti i crismi, e non più secondaria ancella relegata a forma derivata delle arti visive: la propria dignità artistica e compositiva si ripropone, pertanto, con forza e determinazone attraverso la capacità di autori che, come Arturo Delle Donne, rende questa forma d’arte canale di diffusione di un messaggio, in una concezione surrealista, pur partendo da elementi reali, aprendoci panorami a noi inattesi, echi di narrazioni remote ma rivissute in un contesto attuale, uscendo dalle asfittiche attese di un genere che, erroneamente, si vuole come puro reportage di un dato di fatto, proponendosi, così, come espressione artistica ricca di simboli e di concetti infiniti. Alessandro Rizzo
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Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
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