Hayat Saidi è un’artista marocchina, da tempo in Italia e da sempre, fin dalla tenera età, dedita alla pittura. L’arte in Saidi diventa un messaggio civile di presa di coscienza e di narrazione della condizione delle donne nella sua terra, immerse in atmosfere evocative di ambienti che sono propri della cultura e della società originaria dell’autrice: mercati, sale da the, kasbah, luoghi di culto, strade contornate da mura bianche quasi fatte di tufo. Ci colpisce nella produzione di Hayat la capacità di esprimersi attraverso la forza e l’impeto dei colori, proposti sulla tela tramite pennellate decise, conseguenza dei sentimenti che l’autrice prova nel momento dell’atto di dipingere.
La sapienza di Hayat consiste proprio nell’ascoltare profondamente i moti del suo animo, il messaggio che nutre parlando della donna e della sua condizione esistenziale, in quella zona che la pittrice ama tanto, e proprio per questo vuole contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica, percorrendo quegli alfabeti visivi estetici che offre con la sua arte invitando a pensare e riflettere sulla condizione femminile, in particolare quella delle sue conterranee, molto vicine a lei, che è consapevole in prima persona di una situazione che occorrerebbe cambiare. Il tema dell’emancipazione femminile non vuole essere ripreso in modo ideologico o moralista ma, bensì, come semplice e diretta narrazione di storie, di scene di vita quotidiana, frammenti di una lunga serie di fotogrammi che descrivono, in modo molto astratto e concettuale, quasi figure che vengono avvolte da una patina di accese variazioni cromatiche, atmosfere che danno un senso onirico a un paesaggio e a una scena di vita giornaliera. I colori diventano quasi lettere principali di un lungo alfabeto che ci illustra le immagini reali, prese da contesti oggettivi esistenti, di persone che camminano, che si fermano contemplando, cercando qualcosa o parlando, prive di contorni e di linee perimetrali che delineino in modo marcato l’intera immagine, ma, bensi, indefinite, crogioli di colori quasi materici, la tecnica utilizzata e la tinta rendono quasi plastiche le pennellate, sobbalzanti dalla tela. Andiamo, cosi, verso una concezione che ci porta una certa dose di simbolismo, significanti estetici che diventano significati, pur non evadendo dall’apparenza e dal dato del reale, ma rielaborandolo, riproponendolo sotto l’impeto della cromaticità, tinte di colori quasi tutti ripercorrenti nella memoria i luoghi della terra dell’autrice, solari quanto forti, luminosi quanto intensi. Le figure si accennano, cosi, dando sensazione della condizione quasi solitaria, sommessa e, allo stesso tempo, ricca di quel senso di dignità personale avvertita da quelle figure femminili ieratiche nella loro portanza e nel loro incedere in percorsi non delineabili ma, proprio per questo, forse, universali. L’autrice non vuole aggredire lo spettatore, cosi come non vuole scadere in una didascalica rappresentazione ma, bensì, tende a lasciare ampio spazio all’immaginazione di quest’ultimo, pur essendo l’autrice stessa presente con un proprio stile e con una propria tecnica inconfondibile e tali da rendere quest’ultima autonoma e, allo stesso tempo, autorevole, non accademica anche nella citazione di correnti artistiche passate. Si può ipotizzare quanto la forza e la preponderanza del messaggio, che Hayat avverte come impellente nel suo esprimersi, porti l’autrice stessa a creare in modo diretto e senza filtri assecondando e ascoltando la propria intimità e quelle emozioni interiori che incidono sull’autrice nella realizzazione di quelle pennellate che occorrono a completare l’opera nella sua portata. Si avvertono attraverso colpi di pennello quasi istintuali la valenza di quell’astrattismo che nel concetto e nella profondità del contenuto trova i propri fondamenti. Hayat non vuole scadere nel solito e banale realismo, o iperrealismo, descrizione senza emozioni dell’oggettivo, ripresa senza elaborazione di ciò che è visibile e tangibile ma, bensì, vuole riprendere suggerimenti reali, le figure femminili, come simboli di una condizione esistenziale che può essere anche in parte nostra, quasi riconoscendoci in alcuni suoi aspetti, chiamandoci, cosi, gentilmente e senza obbligo, in causa, complici di una lettura universale di una circostanza piuttosto circoscrivibile, localizzabile, comunque familiare all’artista stessa: quella delle donne marocchine. L’astrattismo, pertanto, attraverso il figurativo si evidenzia in Hayat in tutta la sua portata evocativa, fonte di sensazioni che solo alcune tonalità di colori e sfumature chiaroscurali intense ci possono assicurare nella visione di un quadro che, come uno qualsiasi interno alla produzione dell’autrice, si struttura in una centralità in cui si addensano forme, tinte e unità cromatiche utili a dare uno sviluppo quasi progressivo dell’intera opera, un suo riflettersi concentrico in atmosfere idealizzate, in fasci luminosi e in plastiche dimensioni. Il fulcro, cuore della narrazione della scena, va a sciogliersi in stesure di colori intensi fino a vedersi avvolta in spazi dall’intensità di sfumature quasi viva, procedendo gradualmente verso i lati esterni della tela. Si vogliono ravvisare in Hayat citazioni di letture di artisti che hanno segnato la nostra letteratura artistica, nazionale e internazionale: si può certamente apprezzare la riproposizione di un figurativo astratto, unendo due stili apparentemente differenti e contraddittori ma, in realtà, molto sintonici nel funzionalismo artistico di espressione di sentimenti e stati d’animo. Rimane incontrovertibile il fatto che Hayat, forte del proprio impegno sociale, l’autrice è attivista in diverse organizzazione per i diritti delle donne, abbia voluto esprimersi attraverso il linguaggio dell’arte pittorica, rendendo questa non mera “ancella” o strumento di divulgazione di un messaggio intenso di cui lei è portatrice ma, bensì, piena affermazione estetico compositiva autonoma, canale di comunicazione proprio, parte integrante della pittrice stessa, fatta di emozioni e sensazioni manifeste. La produzione di Hayat sembra voler approfondire uno stile e una poetica fortemente radicati nell’autrice, approdi entro cui proseguire un’evoluzione narrativa, una dimensione contraddittoria tra ambientazioni oniriche e astratte e figure reali, immagini accennate, in cui si aprono scenari e prospettive nuove, inattese, inaspettate, sempre rinnovate. Hayat si esprime artisticamente in canali diversi che mantengono, però, chiarezza di quell’attrazione per la plasticità e l’aspetto materico: l’autrice crea sculture, marmoree nell’impatto, ama riprendere una certa tradizione italiana, definite da forme tondeggianti, graziate, dolci quanto l’espressione femminile, messaggio recondito della donna come salvezza di un’umanità spesso aggressiva, irritante, bellicosa, figure chiare rielaborate e proposte nell’ottica di una produzione attenta ai particolari e alla lettura di nuovi alfabeti compositivi, pulsanti, vitali, tangibili. Alessandro Rizzo
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