La tecnica non è mai scelta a caso, seppure possa da una lettura e da un approccio superficiali sembrare un mero strumento per realizzare l’opera. Se non si comprende la tecnica in una produzione artistica non si può comprendere quel lavoro di elaborazione, di ideazione e di composizione di una tela nella sua portata totale, che precede l’opera stessa, ma ne spiega l’evoluzione estetica e contenutistica. “Le opere da me presentate sono frutto di idee nate attraverso la realizzazione di vari studi e bozzetti a matita su foglio”: in queste parole Gerardo Nardiello esprime la proprietà di una produzione che rende lo stesso autore autorevole, quanto sicuro. Il disegno, il tratto di matita, procedendo verso una sua rielaborazione descrittiva e portandoci, conducendoci, verso una stampa su tela, elaborazione che vede anche nella nuova tecnologia l’utilizzo sapiente e consapevole dell’arte del design, della grafica computerizzata, ci identificano in Gerardo Nardiello un artista completo, possiamo dire originale, a pieno titolo autonomo con un proprio tratto che lo rende unico, irripetibile e, quindi, riconoscibile.
Possiamo dire che il risultato è ottimo da più punti di vista: dal punto di vista estetico, l’immagine che si evidenzia come frutto e conseguenza di un attento studio, percorso dall’autore, e che vede nello schizzo primigenio una sua rivisitazione, rivalutazione, rielaborazione, riportandolo fortemente, attraverso la grafica, a un suo completamento, a una post produzione che diventa, di per se, parte strutturale e indefettibile della produzione dell’autore, in quanto la rivisitazione del disegno è l’essenza stessa dell’opera. Risulta ottimo, in secondo luogo, il risultato stesso, dal punto di vista poetico, il contenuto che si apre su scenari visionari, quasi onirici, deformanti superficialmente le figure umane, ma quadri ottici, quasi caleidoscopi, che ci inoltrano nella lettura degli interstizi psicologici e intimi dell’animo umano. La complessità singola di ciascuno diventa significante di rappresentazioni contraddittorie che si spezzettano, si infrangono, si scompongono per, poi ricomporsi, in differenti profili della figura umana stessa, come se visti in un unico momento, quasi in una riproposizione cubista, in una ripresentazione picassiana, astratta e figurativa, dall’intensità espressionista intima quanto indicativa della turbolenza dell’animo. Sussiste molto la presenza dell’autore nelle sue composizioni: esiste quando si vede la concezione della realtà affrontata dallo stesso, la sua decomposizione in unità per, poi ricomporla in un figurativo e in dimensioni totalmente inattese, inavvertite, impreviste, non banali, non configurabili. Gerardo dice di esprimere anche fantasia nella composizione dell’opera: la fantasia sta in quel moto di creatività, indomito e indomabile, e che si esplica in una coerenza di tratto e di stile tali da porci di fronte rappresentazioni di diversa portata, di diversi soggetti, di diversi contenuti. Vediamo, cosi, ne L’abbraccio o in Cristo un figurativo in cui prevalente è il viso, nel suo gioioso contemplare, la prima opera, o nella sua sofferenza mistica, la seconda, tratti di matita, rivisti e ricomposti su tela attraverso stampa, che ci esprimono l’intensità delle emozioni e dei sentimenti che si presentano nella loro intensità, naturalezza e sincerità schietta e non filtrabile, genuina. La cura del dettaglio nella definizione delle linee che solcano l’espressione facciale sono i frutti di un’attenta produzione, che si compone di strati, tempi e attese, di gradi, quindi ponderata e considerata, attestandoci, così, la qualità artistica, estetico compositiva e contenutistica, dell’autore, lui dedito all’arte da tenera età. Realismo magico e composizione composita concettuale ci riporta alla memoria Possesso, una mano padroneggia su una figura di donna, un mezzo busto, da cui trapela un’espressione alienata e atterrita, allo stesso tempo: l’armonia compositiva ci porta a una sua organizzazione in una centralità dell’immagine e in un’astrazione dello sfondo, costituito da forme e geometrie indefinite, tali da sembrare alfabeti simbolici di criptici significati di alfabeti interiori, sogni di visioni o aneliti di riscatto del genere umano, desiderio avvertito dal soggetto del quadro stesso che si trova, obtorto collo, impietrito dall’incombere del potere sulla propria testa. Picassiano e di una dose di post cubismo si interpreta il quadro Cane, in cui la figura viene decomposta, una certa attenzione allo stile intrapreso anche da un Francis Bacon, in uno sfondo fatto di una cromaticità intensa, colori terrigni, forti e cupi: questi dettagli ci portano a evidenziare il lavoro, dopo la prima stesura dell’opera attraverso tratti decisi di matita, realizzato dall’autore. È in questo ultimo passaggio che completa la dinamica di giochi di prospettive che si intersecano in caleidoscopiche visioni visionarie, in cui si affronta un espressionismo astratto, cosi come suggerito da accenni di un Pollock in una stampa che rivela una sorta di dropping, di graffi che caratterizzano la tela nella sua portata, accentuazione della caratteristica onirica dell’opera stessa. Alessandro Rizzo
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Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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