Ambrogio Tacconi è un giovane artista, esposto al Museo Civico di Soave di Correggio in Life, collettiva curata da Emotions of the World. Ambrogio aveva partecipato alla collettiva tenutasi lo scorso settembre presso lo Spazio del Sole e della Luna e riguardo a quella mostra avevamo già accennato alla sua arte, apprezzandone l’impeto sperimentale, la fermezza e decisione del tratto, e descrivendo come in essa trasparisse e imperasse “con una certa ponderazione il metafisico e il concettuale in una capacità e abilità di saper giocare con forme puramente geometriche che disegnano paesaggi surreali, fantastici quanto lineari”. Inoltre, avevamo considerato anche la sua capacità grafica nel porre “attenzione al flusso interiore che si esplica in disegni compositi, fatti di geometrie, quasi suggerendo nella delicatezza dei colori messaggi reconditi, senza scadere nel puro accademismo di maniera ma, anzi, inoltrandosi in quell’informale che diventa rappresentazione artistica semplice”. Lo abbiamo intervistato, scoprendo anche le evoluzioni prossime che ci attenderanno nella sua produzione.
Ambrogio qual è, cosi giovanissimo, la tua formazione artistica? Diciamo che la mia formazione artistica è puramente autodidattica. Il mio primo approccio all’arte nasce grazie ai graffiti che sono stati una gran scuola per me, soprattutto per la percezione e la ricerca delle forme, di cui prima avevo una conoscenza nulla. In seguito ho iniziato a disegnare oggetti, forme, paesaggi su fogli dapprima e su tele poi, cercando di usare la maggior parte di tecniche possibili, giusto per trovare quella che mi piacesse di più. Parli attraverso simboli che diventano panorami geometrici astratti, giochi di prospettive continue e che si intrecciano: che cosa comunichi attraverso i tuoi dipinti? Onestamente quello che voglio trasmettere non lo so bene di preciso neanche io, anche perché di preciso non so neanche quello che provo io stesso. Diciamo che non ho un’unica emozione o messaggio che voglio rappresentare, è più una sensazione generale spesso di chiusura e immobilità, abbastanza malinconica, che mi affascina e attrae per qualche ragione la quale, essendo a me ignota, è anche abbastanza complicata se non impossibile da descrivere. La scelta della tecnica spesso è funzionale al soggetto e al messaggio che si vogliono esprimere, tu invece parli di una “sensazione generale”. Che tecnica usi? La mia tecnica si basa fondamentalmente sull’acrilico: questo ha una caratteristica che trovo essenziale nel momento in cui dipingo, ovvero la velocità, poiché spesso l’ispirazione e la voglia di creare qualcosa arriva in momenti precisi o forse casuali. Esiste una corrente artistica o qualche artista del passato, o contemporaneo, a cui vuoi rifarti, seppure semplicemente come riferimento poetico? Gli artisti che mi hanno ispirato nella mia ancor breve esperienza artistica, nonostante nelle mie opere non se ne vedano richiami forti, sono tanti e molto differenti tra loro, dal Divisionismo di Segantini al Surrealismo di Magritte, dall’architettura dell’antica Grecia all’estremizzazione dell’arte contemporanea. Se dovessi proprio scegliere un personaggio importante come ispiratore sarebbe Isaac Asimov, la quale celebre fantascienza mi ispira forme e idee che sento il bisogno di dipingere. Quali sono i passaggi che ti portano a definire un’opera, dall’ispirazione alla sua stesura? I passaggi possono essere 10, partendo da un’idea, abbozzandola più volte, iniziando a dipingerla per poi stravolgerla radicalmente, per tornare poi sul foglio e nuovamente alla tela, oppure soltanto una idea precisa, una tela dalle dimensioni giuste e una ricerca spasmodica al non errore. Credo che tutto ciò dipenda dal momento e dalla situazione psicologica in cui mi trovo. Qual è l’opera della tua produzione che meglio ti rappresenta? Questa è una bella domanda, se proprio devo scegliere propongo due disegni su foglio che ho realizzato in Australia, dove, trovandomi di fronte a una quantità eterogenea della realtà ho apprezzato quel gioco cognitivo e stabilizzante in una situazione che mi era nuova, dove trovare certezze attraverso il mondo del disegno, scoprendo invece di pormi molte più domande proprio attraverso questa pratica. Si può parlare di te come giovanissimo artista in evoluzione? In evoluzione sicuramente, giovanissimo ci può stare, artista me lo impongo. Perché scegli spesso di giocare con gli effetti ottici, soprattutto con prospettive spesso irregolari e non definite? Onestamente le prospettive irregolari spesso risultano per caso, quasi sempre le vado a correggere; una volta che queste sono però formalmente corrette è come se tutta l’enfasi che prima stava dietro all’immagine realizzata scomparisse per ritornare a quella iniziale scorretta e questo proprio perché è stata precedentemente corretta. L’uso dei colori risulta molto semplificato, poche variazioni cromatiche, molte linee e forme geometriche, spesso urbane, spesso semplicemente astratte: è una scelta stilistica permanente nella tua produzione o penserai, in futuro, di rendere centrale la dimensione cromatica? L’uso di determinati colori è anch’esso puramente soggettivo, mi piace focalizzarmi su pochi colori i quali grazie a varie tonalità vanno a creare tutte le forme, ultimamente senza out-line, è quindi il colore che va a creare la forma e con troppi colori credo non riuscirei a concentrarmi su quest’ultima. Stai esplorando altri generi e correnti? Al momento sto esplorando il mondo del design che mi sta affascinando sempre di più. Alessandro Rizzo
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di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
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