Musikanten rubrica diretta da Fabio Treppiedi
Quando il Rock incide nella realtà
Il teatro degli orrori tra critica e performance
Il mondo nuovo, ultimo album del gruppo Il Teatro degli orrori, incentrato sul tema dell’immigrazione, è un’opera tanto violenta nel suo investire l’ascoltatore quanto più profondamente feconda nel narrare storie differenti e, soprattutto, nel plasmare concetti e messaggi che reinvestono immediatamente l’esperienza quotidiana cui il Teatro attinge “facendo” la propria musica.
L’arte del Il Teatro degli orrori veicola pertanto, nelle opzioni stilistiche, nelle dinamiche compositive e nelle performances dal vivo, un’immediatezza articolata su più registri (parola, suono, impatto visivo) in virtù della quale ogni traccia è già molto più che una canzone più o meno orecchiabile.
I brani del Teatro
sono piuttosto aggregati audio concettuali che si compenetrano fino a
configurare atmosfere narrative tali per cui le singole esperienze di
ascolto e le altrettanto singolari performance sul palco sono sostanzialmente “eventi” che trovano la loro paradossale ripetizione solo nel e per il loro essere assolutamente differenti dall’ultima volta in cui si sono ripetuti.
La metodica irruenza del Teatro degli orrori non fa che mostrare a sua volta quanto il Rock possa considerarsi a pieno titolo un modo combattivo di esercitare capacità critica nei confronti della realtà. Come ha più volte affermato il frontman del gruppo Pierpaolo Capovilla, quella del Teatro degli orrori è una musica di “segno opposto” rispetto al resto della musica leggera o popolare italiana: se in quest’ultimo caso ci si orienta tendenzialmente all’insegna di un compiacimento del pubblico proporzionale all’accettazione passiva, inconsapevole o altrettanto compiaciuta dello status quo, infatti, il Rock del Teatro fa nascere, dall’interno dell’orizzonte popolare stesso, una sorta di contromossa che forza i limiti delle situazioni e dei contesti in cui tutti viviamo, rimettendoli quanto più possibile in discussione.
L’espressività totale, diretta e “crudele” del Teatro – secondo la lezione di Antonin Artaud, al quale il gruppo si rifà sin dalla scelta del nome - aggredisce con precisione chirurgica i lati oscuri e le contraddizioni della realtà, erodendola e riplasmandola: gli aspetti più tragici e intensi della vita individuale e collettiva si rivelano essere, alla luce di un simile operare, le vestigia di un’unica e medesima istanza critica radicale che non interessa più né soltanto la musica né soltanto l’arte ma, in modo pressoché decisivo, la capacità stessa da parte di qualsivoglia soggetto, sia esso un gruppo musicale piuttosto che una nazione, un partito politico o un individuo, di “fare accadere qualcosa”: si tratta infatti di “incidere” nella realtà, ovvero, di compiere un gesto in grado di entrare in essa come a “spaccarla” producendo una Krisis tale per cui, per dirla nel modo più semplice, la realtà è pensabile ed esperibile come qualcosa che, nonostante tutto, è ancora suscettibile di rotture e mutamenti.
Realtà che tiene misteriosamente insieme, nonostante tutto, i “visi tristi” dei migranti con quelli degli uomini staticamente radicati nelle città, “gente stanca di vivere così, negli appartamenti, dove nascondere la voglia di andar via” (dal brano Io cerco te). Realtà nella quale l’agire fa uno col più disperato patire ma anche con un imprescindibile sentire etico e politico che si manifesta, in un’esperienza artistica come quella del Teatro degli orrori, come capacità di resistere
in ogni modo alla morte e, nello stesso tempo, come opportunità di
trasformare i più attuali drammi della vita in strategie esistenziali
“di segno opposto”.
Fabio Treppiedi
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