Musikanten rubrica diretta da Fabio Treppiedi
L’opera
del compositore palermitano Federico Incardona (1958-2006) è divenuta,
all’indomani della sua prematura scomparsa, oggetto di attenzione
profonda so- prattutto da parte di una nuova generazioni di musicologi,
compositori e critici.
Ciò è mostrato dalla recente pubblicazione della prima monografia a lui interamente dedicata (Marco spagnolo, Federico Incardona. La grande Melodia, L’Epos, Palermo 2012) e di un volume a più voci in cui l’opera del compositore viene preziosamente analizzata anche in rapporto alle peculiarità del contesto storico culturale da cui scaturisce (Federico Incardona. Bagliori del melos estremo. Contesti, opera, sviluppi, Duepunti edizioni, Palermo 2012). Uno degli sforzi cruciali dell’esperienza di Inca- rdona, maturata criticamente nel solco della dodecafonia e della seconda scuola di Vienna, è stato concepire altrimenti la temporalità musicale sopportando al contempo una costante lacerazione tra i modi in cui, come materia su cui il com- positore lavora, tale temporalità prende tecnicamente forma in ogni singola opera e i modi in cui, come funzione della memoria, essa è veicolo e banco di prova di un gesto creativo violento, melanconico e a tratti cupo, il cui senso è imprescindibilmente etico e conoscitivo.
La creazione musicale nell’era della dodecafonia, come ha sostenuto Pierre Boulez, ha sempre più implicato in coloro che compongono la capacità di “riempire” rapporti senza misure predeterminate invece di “occupare” il tempo musicale presupponendo unità convenzionali di movimento che farebbero del tempo stesso qualcosa di misurabile.
Ciò è mostrato dalla recente pubblicazione della prima monografia a lui interamente dedicata (Marco spagnolo, Federico Incardona. La grande Melodia, L’Epos, Palermo 2012) e di un volume a più voci in cui l’opera del compositore viene preziosamente analizzata anche in rapporto alle peculiarità del contesto storico culturale da cui scaturisce (Federico Incardona. Bagliori del melos estremo. Contesti, opera, sviluppi, Duepunti edizioni, Palermo 2012). Uno degli sforzi cruciali dell’esperienza di Inca- rdona, maturata criticamente nel solco della dodecafonia e della seconda scuola di Vienna, è stato concepire altrimenti la temporalità musicale sopportando al contempo una costante lacerazione tra i modi in cui, come materia su cui il com- positore lavora, tale temporalità prende tecnicamente forma in ogni singola opera e i modi in cui, come funzione della memoria, essa è veicolo e banco di prova di un gesto creativo violento, melanconico e a tratti cupo, il cui senso è imprescindibilmente etico e conoscitivo.
La creazione musicale nell’era della dodecafonia, come ha sostenuto Pierre Boulez, ha sempre più implicato in coloro che compongono la capacità di “riempire” rapporti senza misure predeterminate invece di “occupare” il tempo musicale presupponendo unità convenzionali di movimento che farebbero del tempo stesso qualcosa di misurabile.
La posta in gioco, per un compositore come Incardona, consiste in tal senso nel far nascere un “essere musicale” a partire dall’attraversamento vissuto del negativo: la creazione deve allora potersi distinguere da tutto ciò che è altro da sé anche se però - ed è questa la sfida più importante – l’artista non può più “contare” sullo spazio convenzionale della composizione, ovvero, su quella bidimensionalità minima in cui il suono si fa spazio, si muove e varia. Lo spazio di base al quale il compositore si sottrae in maniera ostinata ed inevitabilmente sofferta è infatti tracciato all’incrocio tra la linea verticale dell’armonia e quella orizzontale della melodia cosicché il vero e proprio atto creativo, in musica, consisterà nell’inedito attraversamento in “diagonale” di questo spazio, e ciò nella misura esatta in cui comporre significa trovare un tempo per ciò che non può propriamente misurarsi col tempo, ovvero, per l’incom-mensurabilità e lo scarto irriducibile che la diagonale segna, innanzitutto sul piano esistenziale, rispetto al rapporto comunque predeterminabile e proporzionale tra linee armoniche e linee melodiche.
Federico Incardona si lascia allora investire dalla difficoltà estrema di tracciare una nuova diagonale sonora dopo l’impresa storica della seconda scuola di Vienna - e di Anton Webern in particolare – consistente nell’avere abolito ogni confine tra orizzontalità melodica e verticalità armonica. Le sue composizioni guadagnano metodicamente il tratto dell’incompiutezza e dell’inorganicità: i suoi “esseri musicali” constano cioè di elementi (larghe fasce sonore, sequenze di arresti e improvvisi ri-inizi) che segnano il loro stesso smembramento piuttosto che saldarne l’unità. L’opera non diviene però soltanto un qualcosa di danneggiato mirando più radicalmente a esprimere il danneggiamento della vita in sé. L’“occupare” un tempo non spazializzato si coniuga in Incardona con la necessità di “assorbire” gli elementi orchestrali in campi sonori intuibili nell’esperienza vissuta. Da qui il recupero dell’etica di Mahler, dal quale Incardona eredita e rielabora l’elemento del “dolore non risarcibile” come chiave del processo compositivo: dal momento che la memoria, soprattutto quella più dolorosa, si impone come rovescio necessario e indomabile della materia sonora su cui ogni artista lavora, le tecniche del comporre non potranno più prescindere da un un vivere che, solo nell’arte, può arrivare a fondere strategicamente rigore ed emozione.
Federico Incardona si lascia allora investire dalla difficoltà estrema di tracciare una nuova diagonale sonora dopo l’impresa storica della seconda scuola di Vienna - e di Anton Webern in particolare – consistente nell’avere abolito ogni confine tra orizzontalità melodica e verticalità armonica. Le sue composizioni guadagnano metodicamente il tratto dell’incompiutezza e dell’inorganicità: i suoi “esseri musicali” constano cioè di elementi (larghe fasce sonore, sequenze di arresti e improvvisi ri-inizi) che segnano il loro stesso smembramento piuttosto che saldarne l’unità. L’opera non diviene però soltanto un qualcosa di danneggiato mirando più radicalmente a esprimere il danneggiamento della vita in sé. L’“occupare” un tempo non spazializzato si coniuga in Incardona con la necessità di “assorbire” gli elementi orchestrali in campi sonori intuibili nell’esperienza vissuta. Da qui il recupero dell’etica di Mahler, dal quale Incardona eredita e rielabora l’elemento del “dolore non risarcibile” come chiave del processo compositivo: dal momento che la memoria, soprattutto quella più dolorosa, si impone come rovescio necessario e indomabile della materia sonora su cui ogni artista lavora, le tecniche del comporre non potranno più prescindere da un un vivere che, solo nell’arte, può arrivare a fondere strategicamente rigore ed emozione.
Fabio Treppiedi
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