Psychodream Review Rubrica diretta da Viviana Vacca e Francesco Panizzo
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All’improvviso, Jurij Alschitz sbuca da una porticina verde scuro. Si rivolge a noi, con un sorriso che ci appare subito sincero: Attrici?Parole parole parole, con uno scopo ben preciso, come quando frequento altri corsi per attori.
Barbara De Palma risponde sì. Io mi limito a sorridere soltanto. Vorrei dirgli che mi occupo di scrittura e regia, vorrei dirgli, anzi, tante cose, tutte insieme. Ho deciso di prendere parte a questo laboratorio condotto dal maestro russo, dal titolo Parole parole parole, con uno scopo ben preciso, come quando frequento altri corsi per attori.
Il regista e il drammaturgo sono al servizio della parola e dell’attore. Le due figure, che svolgono un ruolo ben preciso, non possono esistere senza la conoscenza dell’arte attoriale, altrimenti sarebbero meri scrittori, al servizio esclusivo della scrittura. Per l’attore l’incontro con il testo è un momento difficile, perché, come ripeteva spesso il maestro Alschitz durante il corso, deve interpretare parole non sue, parlare con un linguaggio che forse non gli appartiene, provare emozioni sconosciute al suo mondo interiore. Nel testo La verticale del ruolo, Alschitz propone per l’attore un ruolo attivo e creativo. Infatti, sarà l’attore stesso a costruire il suo ruolo: La “verticale” del ruolo è, anzitutto, un metodo di auto-preparazione dell’attore, un esperimento da laboratorio e, in quanto tale, non prevede nessuna dimostrazione pubblica. [...] Noto una sostanziale differenza nella qualità del lavoro dell’attore quando questo ha lavorato individualmente e quando invece il suo ruolo è stato creato dal regista (La verticale del ruolo, pp. 89-90). Gli esercizi proposti da Alschitz, molti contenuti ne La grammatica dell’attore, venivano posti nell’ottica della parola. Nell’energia del gesto, l’attore deve scoprire l’energia della parola.
Barbara De Palma risponde sì. Io mi limito a sorridere soltanto. Vorrei dirgli che mi occupo di scrittura e regia, vorrei dirgli, anzi, tante cose, tutte insieme. Ho deciso di prendere parte a questo laboratorio condotto dal maestro russo, dal titolo Parole parole parole, con uno scopo ben preciso, come quando frequento altri corsi per attori.
Il regista e il drammaturgo sono al servizio della parola e dell’attore. Le due figure, che svolgono un ruolo ben preciso, non possono esistere senza la conoscenza dell’arte attoriale, altrimenti sarebbero meri scrittori, al servizio esclusivo della scrittura. Per l’attore l’incontro con il testo è un momento difficile, perché, come ripeteva spesso il maestro Alschitz durante il corso, deve interpretare parole non sue, parlare con un linguaggio che forse non gli appartiene, provare emozioni sconosciute al suo mondo interiore. Nel testo La verticale del ruolo, Alschitz propone per l’attore un ruolo attivo e creativo. Infatti, sarà l’attore stesso a costruire il suo ruolo: La “verticale” del ruolo è, anzitutto, un metodo di auto-preparazione dell’attore, un esperimento da laboratorio e, in quanto tale, non prevede nessuna dimostrazione pubblica. [...] Noto una sostanziale differenza nella qualità del lavoro dell’attore quando questo ha lavorato individualmente e quando invece il suo ruolo è stato creato dal regista (La verticale del ruolo, pp. 89-90). Gli esercizi proposti da Alschitz, molti contenuti ne La grammatica dell’attore, venivano posti nell’ottica della parola. Nell’energia del gesto, l’attore deve scoprire l’energia della parola.
Il lavoro sul corpo-parola si è alternato all’approfondimento delle Tre sorelle di Cechov, in cui abbiamo potuto sperimentare, più da vicino, il metodo Alschitz. Ogni volta che un re- gista consegna all’attore un copione, sembra che quest’ultimo diventi la sua preoccupazione principale, soprattutto per impararlo a memoria. In questo modo non c’è emozione della memoria e ricerca sul personaggio.
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Il testo deve rappresentare l’ultimo traguardo per un attore, poiché deve prima cercarsi nella fisicità e nei sentimenti che lo stesso suscita. Quando mi applico in esercizi teatrali, spesso provo una nota di disagio.
L’arte della recitazione la vivo da un altro punto di vista, che è quello della scrittura. Già dal primo giorno, sentivo il disagio venir meno e crescere la voglia di scoprire e mettermi alla prova, questo perché Jurij Alschitz è un vero maestro, che ti conduce per mano verso un obiettivo. Non c’è giudizio, ma consiglio nel rispetto della persona e della sua sensibilità.
L’arte della recitazione la vivo da un altro punto di vista, che è quello della scrittura. Già dal primo giorno, sentivo il disagio venir meno e crescere la voglia di scoprire e mettermi alla prova, questo perché Jurij Alschitz è un vero maestro, che ti conduce per mano verso un obiettivo. Non c’è giudizio, ma consiglio nel rispetto della persona e della sua sensibilità.
Eravamo in quindici a seguire il laboratorio. Con i ragazzi del Teatro di Desiderio e del Teatro Cara…mella c’è stata sintonia e vero lavoro di gruppo. Vorrei chiudere queste brevi considerazioni su questa nostra esperienza personale – nostra perché parlo anche a nome della mia compagnia Notterrante – con un invito alla sospensione, più che a infantili prese di posizione sull’arte della recitazione: Ogni professione ha i suoi segreti.
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Quella dell’attore ne possiede tantissimi (La verticale del ruolo, p. 7). Solo nella bellezza della ricerca l’arte può risultare eterna.
Postilla .
Il laboratorio si è concluso con un incontro teatrale inatteso. In una delle sale di Villa Badia, il gruppo milanese degli Eccentrici Dadarò ha voluto omaggiare Jurij Alschitz, portando in scena Un soggetto per un breve racconto, tratto da Il gabbiano di Cechov, per la regia di Fabrizio Visconti, con l’intensa Rossella Rapisarda. Entrambi sono allievi del maestro. La scenografia è essenziale, ma altamente simbolica ed evocativa: una luna rossa di ferro, un baule di trucchi e tarocchi, una sedia, una scala. L’intero testo gioca sulla dualità, creando una sorta di mise en abîme. Rossella si racconta, ma racconta anche Nina. I suoi tormenti, le sue delusioni, i suoi sogni. Il pubblico è coinvolto in questo gioco, diventando protagonista. Apparentemente, può sembrare teatro d’improvvisazione, ma Rossella Rapisarda, con la sua bravura, lo trasforma in qualcosa di più, annientando ogni forma e barriera. Per circa un’ora, la sala di Villa Badia ha fatto un salto nel tempo e ci ha portati nella dimensione propria dello spettacolo. Tutti noi sentivamo battere il cuore di Nina/Rossella, abbiamo percepito il suo respiro, immaginato i suoi amori. L’attore è come un gabbiano, libero nella sua fantasia, alla ricerca dell’infinito, di quel lago/tempo, senza profondità.
Postilla .
Il laboratorio si è concluso con un incontro teatrale inatteso. In una delle sale di Villa Badia, il gruppo milanese degli Eccentrici Dadarò ha voluto omaggiare Jurij Alschitz, portando in scena Un soggetto per un breve racconto, tratto da Il gabbiano di Cechov, per la regia di Fabrizio Visconti, con l’intensa Rossella Rapisarda. Entrambi sono allievi del maestro. La scenografia è essenziale, ma altamente simbolica ed evocativa: una luna rossa di ferro, un baule di trucchi e tarocchi, una sedia, una scala. L’intero testo gioca sulla dualità, creando una sorta di mise en abîme. Rossella si racconta, ma racconta anche Nina. I suoi tormenti, le sue delusioni, i suoi sogni. Il pubblico è coinvolto in questo gioco, diventando protagonista. Apparentemente, può sembrare teatro d’improvvisazione, ma Rossella Rapisarda, con la sua bravura, lo trasforma in qualcosa di più, annientando ogni forma e barriera. Per circa un’ora, la sala di Villa Badia ha fatto un salto nel tempo e ci ha portati nella dimensione propria dello spettacolo. Tutti noi sentivamo battere il cuore di Nina/Rossella, abbiamo percepito il suo respiro, immaginato i suoi amori. L’attore è come un gabbiano, libero nella sua fantasia, alla ricerca dell’infinito, di quel lago/tempo, senza profondità.
NINA
Mio padre e sua moglie non vogliono che io venga qui.
Dicono che qui c’è la bohéme... Hanno paura che mi metta a
Fare l’attrice... Ma io mi sento attratta da questo lago, come ungabbiano.
Mariella Soldo
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