Psychodream Review Rubrica diretta da Viviana Vacca e Francesco Panizzo
Autòs, è
stato definito dagli addetti ai lavori un’enciclopedia
sull’autismo, di fatto trattate in modo molto approfondito questa tematica. Potete risolvermi
un dubbio: Oggi la tecnologia ci mette di fronte a una sorta di Io virtuale,
che ci rincuora nella nostra soggettiva introversione.
Una sorta di autismo sociale indotto spesso dal fenomeno della
diffusione del personal computer, dunque, da una mancata interattività
concreta tra le persone. Coloro fossero coin- volti appieno da questo
fenomeno tecnologico potrebbero rispondere positivamente alla vostra
proposta culturale e venire stimolati a prendere coscienza del proprio
disagio.
Autòs nasce da un’urgenza comunicativa “globale”, vuole parlare ad una collettività senza evidenziare la “differenza” ma rendendola parte integrante del sistema. C’è una frase dello spettacolo con la quale potrei rispondere alla tua domanda: “Perché a te non è mai capitato? Per un attimo nella testa intendo..?” A te non capita mai di estraniarti? Di trovare uno spazio confortevole dietro un pc o sotto un tavolo? Di avere la fissazione per qualche particolare “inusuale”; non ti capita di discutere, di non riuscire a comunicare? Quante persone al mondo non si capiscono anche se parlano la stessa lingua? Autòs parla di autismo ma parla in fondo di tutti noi e rimarca un disagio sociale che è tipico della società contemporanea e di cui bisognerebbe prendere consapevolezza. Autòs è una breccia che squarcia il proprio mondo virtuale, che ti porta a rivedere l’avatar di te stesso, quello da cui fuggiamo o che rincorriamo, il fantasma e il desiderio. Insomma, Autòs dipinge il mondo di chi si guarda dentro, consapevole o meno del proprio disagio in una società in cui gli amici sono quelli di face book e le emozioni passano attraverso le emoticon.
Leggo queste vostre parole in un vostro manifesto: “Essere diverso, significa semplicemente essere altro e oltre ed é uno sguardo oltre quello con cui si è osservato questo mondo, uno scorcio privilegiato che parte dalla personale percezione di chi lo guarda”. Ci spieghi la differenza tra guardare e vedere nell’intimo del tuo lavoro?
Autòs nasce da un’urgenza comunicativa “globale”, vuole parlare ad una collettività senza evidenziare la “differenza” ma rendendola parte integrante del sistema. C’è una frase dello spettacolo con la quale potrei rispondere alla tua domanda: “Perché a te non è mai capitato? Per un attimo nella testa intendo..?” A te non capita mai di estraniarti? Di trovare uno spazio confortevole dietro un pc o sotto un tavolo? Di avere la fissazione per qualche particolare “inusuale”; non ti capita di discutere, di non riuscire a comunicare? Quante persone al mondo non si capiscono anche se parlano la stessa lingua? Autòs parla di autismo ma parla in fondo di tutti noi e rimarca un disagio sociale che è tipico della società contemporanea e di cui bisognerebbe prendere consapevolezza. Autòs è una breccia che squarcia il proprio mondo virtuale, che ti porta a rivedere l’avatar di te stesso, quello da cui fuggiamo o che rincorriamo, il fantasma e il desiderio. Insomma, Autòs dipinge il mondo di chi si guarda dentro, consapevole o meno del proprio disagio in una società in cui gli amici sono quelli di face book e le emozioni passano attraverso le emoticon.
Leggo queste vostre parole in un vostro manifesto: “Essere diverso, significa semplicemente essere altro e oltre ed é uno sguardo oltre quello con cui si è osservato questo mondo, uno scorcio privilegiato che parte dalla personale percezione di chi lo guarda”. Ci spieghi la differenza tra guardare e vedere nell’intimo del tuo lavoro?
Se avessi solo “guardato” avrei dipinto in modo sbagliato l’autismo. All’inizio mi impauriva ma studiando attentamente tutte le sue sfaccettature ho capito che c’era qualcosa di affascinante che bisognava evidenziare, ho pensato che Autòs potesse anche solo per un giorno cambiare qualcosa, volevo che gli spettatori si sentissero per un
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attimo fuori luogo, per dar spazio a chi quel luogo lo sta cercando.
Il giovane e celebre filosofo Diego Fusaro, nel suo libro Minima Mercatalia, divulga una parola molto pregnante: comunitarismo. Un luogo dello spirito dove la gente pensa al circolare dell’abbondanza e non all’accumulo di ricchezze o allo sperpero dato dall’illimitatezza consumistica delle nostre società. Un tipo di lavoro come il vostro, apre, dall’intimo delle persone, possibilità di cambiamento generazionale?
Credo che questo tipo di messaggio, possa essere compreso da una variegata fetta della società perché utilizza dei codici facilmente traducibili quali la musica elettronica, il disegno luci, la pragmaticità dei dialoghi, la danza; Rimane un lavoro complesso perché complesso è il tema, soprattutto in una società in cui ogni valore morale viene venduto al mercato al miglior offerente, in cui non c’è spazio per la riflessione. Il nostro lavoro fà riflettere e questo non sempre piace. Lo sguardo oltre permette forse anche al pubblico di conoscere, comprendere e condividere. Concluderei con le parole della Dot.ssa Maria Vittoria Pecoraio del centro di Psicologia clinica di Pescara dopo la prima a Locarno: “Il pubblico ha davvero la sensazione di immergersi in un altro mondo attraverso un racconto a volte psichedelico che amplifica alcune caratteristiche motorie dell’autismo, le stereotipie, assegnando loro un preciso messaggio che viene trasmesso attraverso la danza: con movimenti a volte compulsivi i corpi raccontano la difficoltà di gestire la sensorialità, la comunicazione, l’interazione sociale. I dialoghi, pieni della pragmatica che contraddistingue le forme più evolute dell’autismo, a volte hanno strappato un sorriso di speranza a chi crede nella possibilità di avvicinare due culture troppo spesso distanti: quella autistica e quella neurotipica. Si resta incantati ad assistere ad Autòs: danza, teatro, suoni e luci, fermano il tempo”.
Il giovane e celebre filosofo Diego Fusaro, nel suo libro Minima Mercatalia, divulga una parola molto pregnante: comunitarismo. Un luogo dello spirito dove la gente pensa al circolare dell’abbondanza e non all’accumulo di ricchezze o allo sperpero dato dall’illimitatezza consumistica delle nostre società. Un tipo di lavoro come il vostro, apre, dall’intimo delle persone, possibilità di cambiamento generazionale?
Credo che questo tipo di messaggio, possa essere compreso da una variegata fetta della società perché utilizza dei codici facilmente traducibili quali la musica elettronica, il disegno luci, la pragmaticità dei dialoghi, la danza; Rimane un lavoro complesso perché complesso è il tema, soprattutto in una società in cui ogni valore morale viene venduto al mercato al miglior offerente, in cui non c’è spazio per la riflessione. Il nostro lavoro fà riflettere e questo non sempre piace. Lo sguardo oltre permette forse anche al pubblico di conoscere, comprendere e condividere. Concluderei con le parole della Dot.ssa Maria Vittoria Pecoraio del centro di Psicologia clinica di Pescara dopo la prima a Locarno: “Il pubblico ha davvero la sensazione di immergersi in un altro mondo attraverso un racconto a volte psichedelico che amplifica alcune caratteristiche motorie dell’autismo, le stereotipie, assegnando loro un preciso messaggio che viene trasmesso attraverso la danza: con movimenti a volte compulsivi i corpi raccontano la difficoltà di gestire la sensorialità, la comunicazione, l’interazione sociale. I dialoghi, pieni della pragmatica che contraddistingue le forme più evolute dell’autismo, a volte hanno strappato un sorriso di speranza a chi crede nella possibilità di avvicinare due culture troppo spesso distanti: quella autistica e quella neurotipica. Si resta incantati ad assistere ad Autòs: danza, teatro, suoni e luci, fermano il tempo”.
La struttura del vostro spettacolo è tutta codificata durante prove ben definite o vi è spazio anche per momenti di depensamento rispetto alla mestierante fedeltà al copione?
La struttura di Autòs è altamente infedele al copione, ogni spettacolo risulta diverso perché come dicono le interpreti “Ogni volta è un viaggio
La struttura di Autòs è altamente infedele al copione, ogni spettacolo risulta diverso perché come dicono le interpreti “Ogni volta è un viaggio
diverso”, ho lasciato appositamente “libere”, almeno quattro fasi dello spettacolo, in cui le danzatrici cercano un contatto tra di loro e con il loro spazio fisico e di luce, ma soprattutto con la musica attraverso degli appuntamenti improvvisativi.
A livello drammaturgico la scrittura è fissa ma con una libertà di variazione rispetto al testo, considerando che gli imprevisti a volte sono formidabili! Come durante la prima, in cui l’attrice si è trovata improvvisamente a fare un dialogo con un ragazzo autistico in platea. Potrei dire che ciò che rende affascinante e diverso questo spettacolo è proprio l’imprevisto, cioè non sapere mai esattamente cosa succederà in scena, come nella vita dell’autistico e di tutti noi.
A livello drammaturgico la scrittura è fissa ma con una libertà di variazione rispetto al testo, considerando che gli imprevisti a volte sono formidabili! Come durante la prima, in cui l’attrice si è trovata improvvisamente a fare un dialogo con un ragazzo autistico in platea. Potrei dire che ciò che rende affascinante e diverso questo spettacolo è proprio l’imprevisto, cioè non sapere mai esattamente cosa succederà in scena, come nella vita dell’autistico e di tutti noi.
Francesco Panizzo
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