Apparizioni rubrica diretta da Francesco Panizzo
Cyberpunk
Saggio breve Il cyberpunk nasce
come movimento letterario all’inizio degli anni ‘80 all’interno della
fantascienza d’anticipazione, da qui le origini e le grandi influenze
del cyberpunk P. K. Dick, J. G. Ballard, J. Brunner e per aspetti
diversi W. S. Burroughs. La sua caratteristica peculiare è quella di
nar- rare storie che sembrano fin troppo realizzabili in potenza, questo
negli anni ‘80 e al giorno d’oggi nella loro essenza più che reali. Tale
tratto ha dato vita alla nascita di un vero e proprio movimento
culturale, quindi filosofico, antro-pologico e, nel caso del cyberpunk in
special modo, socio-politico.
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I - Il Cyberpunk e la letteratura
Il cyberpunk nasce come movimento letterario all’inizio degli anni ‘80 e parliamo di movimen- to come nel caso delle avanguardie per caratteristiche comuni: l’innovazione linguistica (sarà Gibson in Neuromante del 1984 a coniare il termine cyberspazio), la presenza nei libri di nuovi personaggi culturali (gli hacker ad esempio), la presenza di manifesti. Mentre nelle avanguardie i manifesti, detti programmatici, proponevano la visione artistica in una maniera tra il poetico e il saggistico, nel cyberpunk i due manifesti sono delle antologie di racconti dove non viene presentato un pensiero da applicare ma la sua diretta azione nell’opera. Il primo è “Mirrorheads” a cura di Bruce Sterling del 1986, dove troviamo oltre allo stesso curatore, William Gibson, Tom Maddox, Pat Cadigan, Rudy Rucker, John Shirley ed altri. Il secondo è “Strani Attrattori” a cura di Peter L. Wilson (Hakim Bey), Rudy Rucker, Robert A. Wilson ed è del 1989. William Gibson non ha mai riconosciuto un vero movimento e ha decretato in qualche modo la sua morte all’inizio degli anni ‘90 con un romanzo a quattro mani scritto con Bruce Sterling La macchina della realtà che ha inaugurato lo stile dello steampunk, ovvero un cyberpunk ambientato in una versione alternativa del passato.
Ci sarà poi un altro libro a quattro mani di Sterling e Gibson Parco giochi con pena di morte che tra racconti, interviste e brevi saggi faranno il punto della situazione. Nella letteratura cyberpunk i personaggi stravaganti, pop-underground si mescolano a un atteggiamento anarco-situazionista di resistenza, facendo intravedere un uso gerarchico della tecnologia basato sull’accoppiata umana, troppo umana, controllo/potere, e un uso social-resistenziale dove la creatività è la destrezza nell’utilizzare le stesse tecnologie contro il sistema gerarchico. Più il cyberpunk è passato come pratica letteraria, più è diventato presente nel sistema dei rapporti sociali e culturali e quindi antropologici d’oggi.
II - Un’antropologia cyberpunk
L’antropologia cyberpunk possiamo suddividerla fondamentalmente in due periodi che si susseguono. Il primo si è sviluppato sul movimento letterario e ha dato il via alla cultura hacker, caratterizzata dalla messa a punto sistematica dell’attentato alle forme gerarchiche di potere e di conoscenza, e da un pensiero di collettività molto vicino al concetto di partecipazione libera e gratuita. In questo primo periodo il movimento è piccolo e, oltre allo sparuto movimento di scrittori, c’è una serie di tribù (caratteristica di un modello sociale totalmente diverso che evolverà anche nel secondo periodo – e sarà uno dei tratti peculiari della cybercultura: il nomadismo, sempre più psichico, culturale e sensoriale) che applicano le strategie dei personaggi cyberpunk nei confronti dei sistemi chiusi di potere gerarchico. La seconda metà degli anni ‘80 e fino alla prima metà dei ‘90 sarà la stagione degli hacker, spesso liquidati come “delinquenti”, ma che in realtà operano su una distribuzione orizzontale di potere. La rete è fatta di nodi interconnessi, non esistono gerarchie. Non esiste nemmeno più una gerarchia di distribuzione dell’informazione, della musica, dell’arte ecc... con tutto quel che ne consegue: lotta contro il diritto d’autore (di matrice situazionista), la scomparsa dell’autorialità ad opera della collettività della tribù (tanto che molti protagonisti utilizzano nick name, oggi di uso comunissimo grazie all’approvazione del sistema gerarchico di tutto ciò). Il secondo periodo sarà meno d’avanguardia ma più globalizzante, e avviene intorno alla seconda metà dei ‘90, soprattutto, grazie alla nascita del word wide web prima e dei browser grafici poi, che hanno reso la fruizione della rete sempre più semplice e interattiva.
Ovviamente anche la corsa alla tecnolocizzazione con il conseguente deprezzamento dei computer e la sempre più larga copertura e larghezza di banda di rete. Ai giorni nostri, invece, siamo arrivati a concepire la rete a prescindere dal computer (con i nuovi cellulari, gli i-pad vari ecc...). Tornando alla metà degli anni ‘90, e soprattutto da li in poi, la cultura della connessione è aumentata da un punto di vista quantitativo, della massa sociale, instaurando dei veri e propri cambiamenti che non riguardavano più solo qualche tribù sparsa per il mondo e alcuni scrittori. La cybercultura, gli effetti del digitale e dei nuovi media, i modelli sociali della comunità virtuale totalmente orizzontale, il concetto di virtuale come potenzialità del reale ecc... sono entrati appieno nel dibattito sociologico, filosofico, politico ed artistico. I nomi più ricorrenti saranno sicuramente quelli di Pierre Lévy e di Jean Baudrillard. Levy intende per cybercultura “l’insieme delle tecniche (materiali ed intellettuali), delle pratiche, delle attitudini, delle modalità di pensiero e dei valori che si sviluppano in concomitanza con la crescita del cyberspazio” (in Cybercultura).
Non è così ottimista Baudrillard, che riconosce in Dick e Ballard i descrittori del nuovo contesto sociale-sensoriale, ma con una piccola differenza, l’oro l’hanno immaginato e scritto. Oggi non c’è più spazio per l’immaginazione.
Baudrillard dice che siamo nel terzo ordine dei simulacri (il primo è quello dei simulacri naturalistici, caratterizzati dall’imitazione, a cui corrisponde l’immaginario utopistico; il secondo, dei simulacri produttivi, a cui corrisponde un immaginario legato al desiderio di realizzazione attraverso la tecnica e le macchine); noi siamo nel terzo ordine: “i simulacri della simulazione, fondati sull’informazione, il modello, il gioco cibernetico” (in Cyberfilosofia). In questo ordine attuale, ci dice Baudrillard, “i modelli [...] sono essi stessi anticipazione del reale, e quindi non lasciano più spazio ad alcun tipo d’anticipazione funzionale. Rimane aperto solo il campo [...] della manipolazione in tutte le direzioni di questi modelli”. Scompare la realtà e anche l’immaginazione di qualcosa che sia non-reale, è l’epoca dell’iperreale. Ma qui usciamo dalle considerazioni strettamente cyberpunk, per entrare in una critica dell’utilizzo mass mediale che parte dagli anni ‘60.
Le tribù, le collettività, le isole nella rete oggi sono di nuovo in minoranza, il web è divenuto il luogo per eccellenza dello scambio commerciale, dell’edonismo di basso livello, del marketing dall’alto e del marketing fai da te. Il web per una grossa fetta di popolazione è diventato un posto dove: fare acquisti, fare affari, conoscere gente, rimorchiare, tornare ad essere totalmente umani. Attraverso la rete l’uomo ha evidenziato la cooperazione prima, per poi dare il colpo finale all’umanesimo, dimostrando che l’essere umano è quello che è. Questa visione così nera non è a senso unico. La rete rimane il luogo per eccellenza del possibile, dove il virtuale può attualizzarsi in forma concreta e positiva, assieme alle negatività di questo sistema e dell’essere umano. Utenti on-line di tutto il mondo, riconoscetevi prima di unirvi!
III - Un modello socio-politico Cyberpunk
In qualche modo abbiamo già delineato un quadro socio-antropologico della cultura cyberpunk e un modello socio-antropologico è sempre anche un sistema politico. Abbiamo già parlato dell’orizzontalità della distribuzione del sapere ma il passo successivo è rendere orizzontale anche il potere politico. Sicuramente on-line c’è un livello di democrazia altro, che rende più immediato uno scambio d’informazioni, ma non c’è stato ancora un cambiamento netto delle gerarchie di potere (per l’effetto del terzo simulacro baudrillardiano?) e il mezzo rete, anche se diffuso, ancora, e soprattutto in Italia, deve avvalorarsi di un uso pienamente etico della massa (oltre al netiquette spesso inosservato) e soprattutto sviluppare un modello critico nell’user.
Il cyberpunk ha influenzato molto anche lo stratificato pensiero di Hakim Bey e delle T.A.Z. (Zone Temporaneamente Autonome), più legato ai movimenti anarco-dissidenti e sostenitori di questa distribuzione orizzontale del potere, diciamo una nuova trasvalutazione di tutti i valori!
Il cyberpunk nasce come movimento letterario all’inizio degli anni ‘80 e parliamo di movimen- to come nel caso delle avanguardie per caratteristiche comuni: l’innovazione linguistica (sarà Gibson in Neuromante del 1984 a coniare il termine cyberspazio), la presenza nei libri di nuovi personaggi culturali (gli hacker ad esempio), la presenza di manifesti. Mentre nelle avanguardie i manifesti, detti programmatici, proponevano la visione artistica in una maniera tra il poetico e il saggistico, nel cyberpunk i due manifesti sono delle antologie di racconti dove non viene presentato un pensiero da applicare ma la sua diretta azione nell’opera. Il primo è “Mirrorheads” a cura di Bruce Sterling del 1986, dove troviamo oltre allo stesso curatore, William Gibson, Tom Maddox, Pat Cadigan, Rudy Rucker, John Shirley ed altri. Il secondo è “Strani Attrattori” a cura di Peter L. Wilson (Hakim Bey), Rudy Rucker, Robert A. Wilson ed è del 1989. William Gibson non ha mai riconosciuto un vero movimento e ha decretato in qualche modo la sua morte all’inizio degli anni ‘90 con un romanzo a quattro mani scritto con Bruce Sterling La macchina della realtà che ha inaugurato lo stile dello steampunk, ovvero un cyberpunk ambientato in una versione alternativa del passato.
Ci sarà poi un altro libro a quattro mani di Sterling e Gibson Parco giochi con pena di morte che tra racconti, interviste e brevi saggi faranno il punto della situazione. Nella letteratura cyberpunk i personaggi stravaganti, pop-underground si mescolano a un atteggiamento anarco-situazionista di resistenza, facendo intravedere un uso gerarchico della tecnologia basato sull’accoppiata umana, troppo umana, controllo/potere, e un uso social-resistenziale dove la creatività è la destrezza nell’utilizzare le stesse tecnologie contro il sistema gerarchico. Più il cyberpunk è passato come pratica letteraria, più è diventato presente nel sistema dei rapporti sociali e culturali e quindi antropologici d’oggi.
II - Un’antropologia cyberpunk
L’antropologia cyberpunk possiamo suddividerla fondamentalmente in due periodi che si susseguono. Il primo si è sviluppato sul movimento letterario e ha dato il via alla cultura hacker, caratterizzata dalla messa a punto sistematica dell’attentato alle forme gerarchiche di potere e di conoscenza, e da un pensiero di collettività molto vicino al concetto di partecipazione libera e gratuita. In questo primo periodo il movimento è piccolo e, oltre allo sparuto movimento di scrittori, c’è una serie di tribù (caratteristica di un modello sociale totalmente diverso che evolverà anche nel secondo periodo – e sarà uno dei tratti peculiari della cybercultura: il nomadismo, sempre più psichico, culturale e sensoriale) che applicano le strategie dei personaggi cyberpunk nei confronti dei sistemi chiusi di potere gerarchico. La seconda metà degli anni ‘80 e fino alla prima metà dei ‘90 sarà la stagione degli hacker, spesso liquidati come “delinquenti”, ma che in realtà operano su una distribuzione orizzontale di potere. La rete è fatta di nodi interconnessi, non esistono gerarchie. Non esiste nemmeno più una gerarchia di distribuzione dell’informazione, della musica, dell’arte ecc... con tutto quel che ne consegue: lotta contro il diritto d’autore (di matrice situazionista), la scomparsa dell’autorialità ad opera della collettività della tribù (tanto che molti protagonisti utilizzano nick name, oggi di uso comunissimo grazie all’approvazione del sistema gerarchico di tutto ciò). Il secondo periodo sarà meno d’avanguardia ma più globalizzante, e avviene intorno alla seconda metà dei ‘90, soprattutto, grazie alla nascita del word wide web prima e dei browser grafici poi, che hanno reso la fruizione della rete sempre più semplice e interattiva.
Ovviamente anche la corsa alla tecnolocizzazione con il conseguente deprezzamento dei computer e la sempre più larga copertura e larghezza di banda di rete. Ai giorni nostri, invece, siamo arrivati a concepire la rete a prescindere dal computer (con i nuovi cellulari, gli i-pad vari ecc...). Tornando alla metà degli anni ‘90, e soprattutto da li in poi, la cultura della connessione è aumentata da un punto di vista quantitativo, della massa sociale, instaurando dei veri e propri cambiamenti che non riguardavano più solo qualche tribù sparsa per il mondo e alcuni scrittori. La cybercultura, gli effetti del digitale e dei nuovi media, i modelli sociali della comunità virtuale totalmente orizzontale, il concetto di virtuale come potenzialità del reale ecc... sono entrati appieno nel dibattito sociologico, filosofico, politico ed artistico. I nomi più ricorrenti saranno sicuramente quelli di Pierre Lévy e di Jean Baudrillard. Levy intende per cybercultura “l’insieme delle tecniche (materiali ed intellettuali), delle pratiche, delle attitudini, delle modalità di pensiero e dei valori che si sviluppano in concomitanza con la crescita del cyberspazio” (in Cybercultura).
Non è così ottimista Baudrillard, che riconosce in Dick e Ballard i descrittori del nuovo contesto sociale-sensoriale, ma con una piccola differenza, l’oro l’hanno immaginato e scritto. Oggi non c’è più spazio per l’immaginazione.
Baudrillard dice che siamo nel terzo ordine dei simulacri (il primo è quello dei simulacri naturalistici, caratterizzati dall’imitazione, a cui corrisponde l’immaginario utopistico; il secondo, dei simulacri produttivi, a cui corrisponde un immaginario legato al desiderio di realizzazione attraverso la tecnica e le macchine); noi siamo nel terzo ordine: “i simulacri della simulazione, fondati sull’informazione, il modello, il gioco cibernetico” (in Cyberfilosofia). In questo ordine attuale, ci dice Baudrillard, “i modelli [...] sono essi stessi anticipazione del reale, e quindi non lasciano più spazio ad alcun tipo d’anticipazione funzionale. Rimane aperto solo il campo [...] della manipolazione in tutte le direzioni di questi modelli”. Scompare la realtà e anche l’immaginazione di qualcosa che sia non-reale, è l’epoca dell’iperreale. Ma qui usciamo dalle considerazioni strettamente cyberpunk, per entrare in una critica dell’utilizzo mass mediale che parte dagli anni ‘60.
Le tribù, le collettività, le isole nella rete oggi sono di nuovo in minoranza, il web è divenuto il luogo per eccellenza dello scambio commerciale, dell’edonismo di basso livello, del marketing dall’alto e del marketing fai da te. Il web per una grossa fetta di popolazione è diventato un posto dove: fare acquisti, fare affari, conoscere gente, rimorchiare, tornare ad essere totalmente umani. Attraverso la rete l’uomo ha evidenziato la cooperazione prima, per poi dare il colpo finale all’umanesimo, dimostrando che l’essere umano è quello che è. Questa visione così nera non è a senso unico. La rete rimane il luogo per eccellenza del possibile, dove il virtuale può attualizzarsi in forma concreta e positiva, assieme alle negatività di questo sistema e dell’essere umano. Utenti on-line di tutto il mondo, riconoscetevi prima di unirvi!
III - Un modello socio-politico Cyberpunk
In qualche modo abbiamo già delineato un quadro socio-antropologico della cultura cyberpunk e un modello socio-antropologico è sempre anche un sistema politico. Abbiamo già parlato dell’orizzontalità della distribuzione del sapere ma il passo successivo è rendere orizzontale anche il potere politico. Sicuramente on-line c’è un livello di democrazia altro, che rende più immediato uno scambio d’informazioni, ma non c’è stato ancora un cambiamento netto delle gerarchie di potere (per l’effetto del terzo simulacro baudrillardiano?) e il mezzo rete, anche se diffuso, ancora, e soprattutto in Italia, deve avvalorarsi di un uso pienamente etico della massa (oltre al netiquette spesso inosservato) e soprattutto sviluppare un modello critico nell’user.
Il cyberpunk ha influenzato molto anche lo stratificato pensiero di Hakim Bey e delle T.A.Z. (Zone Temporaneamente Autonome), più legato ai movimenti anarco-dissidenti e sostenitori di questa distribuzione orizzontale del potere, diciamo una nuova trasvalutazione di tutti i valori!
Daniele Vergni
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