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Ferdinand Cheval: Un postino scultore e architetto, spontaneo e dirompente. Affascinante quanto particolare appare la storia personale e la vicenda esistenziale di Ferdinand Cheval, meritevole di nota e di attenzione in quanto in esse si assapora un vissuto tipico di un romanzo di formazione di un artista che vive nella propria solitudine e individualità, abbracciando percorsi che lo porteranno a essere considerato uno dei più interessanti architetti, disegnatori, scultori e, ci permettiamo di asserire, anche costruttori del secolo scorso. Cheval nasce a Charmessur-l’Herbasse, il 19 aprile 1836 e inizia la sua attività di prestinaio riscontrando un insufficiente successo, fino ad arrivare a essere assunto alle poste francesi.
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Il lavoro lo porterà a vivere a dodici chilometri dal proprio paese natio, permettendogli, così, di iniziare quel percorso fantastico di immaginare un edificio, quasi una monumentale scultura abitabile, dal segno indistinguibile quanto spontaneo, essendo la sua arte e la sua poetica risultati di un itinerario privo di una formazione predefinita accademica caratterizzata e caratterizzabile.
Possiamo parlare di Cheval come di un artista “brut”, ossia grezzo, espressivamente ingenuo seppure molto puntuale, consapevole della freschezza e dell’originalità che viene e profonde dalla propria sensibilità umana e individualità: la commistione tra art naif e art brut ha definito una vera e propria costruzione, oggi ancora riconosciuta, da decreto ministeriale emesso nel 1975 su proposta dell’allora ministro alla cultura francese, Andrè Malraux, “simbolo culturale e patrimonio da proteggere”. Un giorno Cheval camminando e correndo per recapitare le lettere ai vari destinatari e nelle varie abitazioni inciampò su un sasso: da quell’episodio, come fosse la reificazione di una musa ispiratrice, gli sorse la volontà di edificare un vero e proprio palazzo, che sarebbe stato, poi, denominato “Palazzo ideale”, Palais Ideal in francese, luogo e spazio in cui poter vivere e poter trascorrere le proprie giornate. Il postino artista decise, così, alla luce di lampade a petrolio, di procedere alla costruzione dell’edificio, assemblando i vari massi che aveva raccolto sulle strade da lui percorse quotidianamente. Gli abitanti della città lo considerarono subito un folle, emarginandolo: ma questo elemento di discriminazione per un suo singolare e originale comportamento, non considerato rientrabile nella norma, lo portò a dare vita a uno stile brut, appunto, grezzo, rozzo, quasi primitivo e proveniente dal moto intimo non convenzionale di uno stato d’animo in continua effervescente creatività e in esplosiva attività artistica.
Possiamo parlare di Cheval come di un artista “brut”, ossia grezzo, espressivamente ingenuo seppure molto puntuale, consapevole della freschezza e dell’originalità che viene e profonde dalla propria sensibilità umana e individualità: la commistione tra art naif e art brut ha definito una vera e propria costruzione, oggi ancora riconosciuta, da decreto ministeriale emesso nel 1975 su proposta dell’allora ministro alla cultura francese, Andrè Malraux, “simbolo culturale e patrimonio da proteggere”. Un giorno Cheval camminando e correndo per recapitare le lettere ai vari destinatari e nelle varie abitazioni inciampò su un sasso: da quell’episodio, come fosse la reificazione di una musa ispiratrice, gli sorse la volontà di edificare un vero e proprio palazzo, che sarebbe stato, poi, denominato “Palazzo ideale”, Palais Ideal in francese, luogo e spazio in cui poter vivere e poter trascorrere le proprie giornate. Il postino artista decise, così, alla luce di lampade a petrolio, di procedere alla costruzione dell’edificio, assemblando i vari massi che aveva raccolto sulle strade da lui percorse quotidianamente. Gli abitanti della città lo considerarono subito un folle, emarginandolo: ma questo elemento di discriminazione per un suo singolare e originale comportamento, non considerato rientrabile nella norma, lo portò a dare vita a uno stile brut, appunto, grezzo, rozzo, quasi primitivo e proveniente dal moto intimo non convenzionale di uno stato d’animo in continua effervescente creatività e in esplosiva attività artistica.
Ricordiamo che l’Art Brut era quella corrente non-corrente, quel filone non catalogabile, quella dimensione non identificabile, che portava diversi soggetti ai margini della società, perchè carcerati o affetti da psicosi e relegati all’interno di strutture psichiariche, o, infine, pensionanti, a produrre opere che davano una sensazione di brutalità, senza alcune pretese culturali e senza una meditazione preliminare.
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Questa dimensione non è sinonimo di arte priva di liricità e di poeticità ma, bensì, di una produzione viva e ricca di valore estetico e di significati artistici densi di carica e tensione umana. Un flusso sgorgante dall’animo di un creatore è quello che porta alla definizione dell’opera d’arte, tale per cui si assapora con attenzione coinvolgente, sia a livello estetico sia a livello emotivo, una produzione senza filtri e senza meccaniche preconcette, tuffandoci nella dimensione intima e interiore dell’artista. La dimensione a-normata, ossia priva di criteri normativi e regolamentari soffocanti, invita lo spettatore ad addentrarsi nelle definizioni delle pieghe e delle contraddizioni dell’animo umano che apporta di certo contenuti di alto valore artistico e poetico. Spontanea è la produzione come altrettanto deve essere la contemplazione e la conoscenza del messaggio metamessaggio che proviene dall’opera. Non c’è spazio a interpretazioni subliminali, così come non c’è spazio per interpretazioni concettuali ipertestuali; esiste, invece, un livello funzionale a dare voce a quell’inclinazione dello spirito che delinea il valore degli elementi da cui l’autore trae ispirazione artistica: materiali che vengono assemblati con casualità e nel cui caso si respira la formazione poetica e concettuale di un’arte povera quanto genuina e immediata, nel senso letterale del termine di non mediata, improvvisa nella sua espressività e nella sua dirompente comunicatività.
Ci sono nell’arte non artistica del facteur Cheval, in italiano significa “postino Cheval”, visioni anche naif tali per cui il connubio che si crea tra le due correnti non correnti è tale da portare a una visione complessivamente contraddittoria e, nello stesso tempo, congiunta di un’opera eclettica nella sua popolarità, semplice e spiazzante. |
L’autenticità della produzione e la costruzione soggettivistica e individuale del percorso artistico ha portato Cheval a costruire un palazzo che ancora oggi viene visto come espressione architettonica, una scultura abitabile, diretta e genuina, impulsiva quanto eccezionale. Si percepisce dal percorso artistico di Cheval l’assenza totale di quella tensione emotiva, spesso inficiante il valore e la dimensione dell’opera, lato, questo, tipico di artisti introdotti nell’ambiente del mercato e della produzione, sempre preoccupati di ricercare quell’oggetto e quell’elemento stupe-facenti, utili a battere quella concorrenza soffocante e condizionante. In Cheval non ci sono situazioni eterodirigenti e condizionanti ma, bensì, solamente visioni pure e intuitive di un’umanità senza filtri e senza limiti, quasi infantile e bambinesca nella sua esplicazione estetica e contenutistica. Qualcuno, il critico d’arte inglese Roger Cardinal, parlava di Art Brut come Outsider Art, ossia composizione fuori dagli schemi stereotipanti e stereotipati, tipica di chi si è definito senza canali istituzionalizzati troppo accademici.
La marginalità di cui Cheval, come ogni suo omologo artista ha potuto provare, è stato vittima nella sua esistenza, spesso definito come non affidabile, altre volte sottovalutato e non ascoltato, ha garantito il completamento di quella fantasia elaborata e liberata, emancipata, tale per cui oggi, post mortem, viene delineato e riconosciuto come uno dei maggiori artisti francesi nell’ambito.
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Il palazzo fiabesco
realizzato da Cheval, per la cui edificazione impiegò 33 anni, ha
costituito quell’esempio di arte che spicca nella sua interezza e
nella sua visibilità quasi fantastica e chiaramente viva. Un’altra opera degna di nota di Cheval è la tomba che fu costretto a edificare in quanto non avrebbe potuto, secondo le leggi francesi dell’epoca, essere sotterrato all’interno del palazzo della sua fantasia reificatasi, connotata da forti elementi della cultura biblica e riferimenti alla tradizione indù. Il postino morì il 19 agosto 1924 e potè trovare, così, degna sepoltura nella sua opera, per la realizzazione della quale impiegò 8 anni.
La Tomba del silenzio e del riposo senza fine viene definita un’opera, ed è quel silenzio e quel riposo che riuscì a trovare dopo diversi anni e una vita intera dedicata all’ascolto e alla realizzazione degli impulsi creativi del moto artistico irrefrenabile della sua poetica. Il mausoleo da lui edificato e realizzato si trova nel cimitero di Hauterives, riconosciuto come opera d’arte degna di nota da Andrè Breton e da Pablo Picasso. Una mostra postuma,
nessuno è profeta in patria occorrerebbe dire, venne effettuata nel
2007, così come le Poste francesi resero omaggio al loro particolare
dipendente nel 1884, promuovendo un francobollo con la sua opera per
antonomasia, il Palazzo Ideale.
Alessandro Rizzo
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