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Ascensore per il patibolo Un film di Louis Malle Un articolo di Daniel Montigiani |
La separazione sembra essere uno dei personaggi più importanti del film. Florence (una memorabile Jeanne Moreau, altera ma internamente tremante, freddamente regale ma interiormente bruciante, una variante “esistenzialista” della dark lady) e Julien (un Maurice Ronet perfetto, maestro di sottrazione) si amano e si desiderano tanto da diventare criminali, ma vengono, appunto, separati.
Prima di tutto dalla tortuosa attuazione del lor piano e dalle sue impreviste deviazioni. Come era accaduto ad altri due amanti diabolici di un altro pezzo fondamentale del noir, la Barbara Stanwyck e il Fred MacMurray della Fiamma del peccato. Come accadrà a due loro torridi e tardivi emuli, la Kathleen Turner e il William Hurt di Brivido caldo, appiccicoso neo noir del 1980. Il racconto morale vuole la separazione di chi ha separato altri (i mariti delle dark ladies) dalla vita, anche se questi altri erano cattivi, meschini, viscidi (il marito di Jeanne Moreau, di Barbara Stanwyck, di Kathleen Turner, tre varianti di un femminino distruttore, cannibalico, e molti altri mariti di molte altre spietate). Florence e Julien vengono separati dapprima da un banale imprevisto (il caso, spietato agente, impietoso deus ex machina tanto amato dal cinema francese) che imprigiona l’uomo per un’intera notte nell’ascensore del palazzo di Carala, ricco e potente consorte di Florence. Un’intera notte in cui Florence, folle di paura, gelosa, eppure controllata, finanche impassibile, nella sua distaccata eleganza, nella sua algida sensualità, cammina senza requie nelle vie piovose di Parigi, raffinate e fredde come lei, preda di una sorta di compulsivo, implacabile moto perpetuo, elegantissimo, ipnotico, contagioso.
Cammina come camminerebbero, se avessero materia solida, le note di Miles Davis. Come queste, i suoi passi sono irregolari, portatori di distaccata lacerazione, altero tormento, silenzioso, inesorabile desiderio.
Cammina come camminerebbero, se avessero materia solida, le note di Miles Davis. Come queste, i suoi passi sono irregolari, portatori di distaccata lacerazione, altero tormento, silenzioso, inesorabile desiderio.
Ma Florence e Julien sono separati dal futuro: anni e anni di condanna per lui, ancora di più per lei. E, soprattutto, sono separati dalla visione, staccati da essa: mai li vediamo insieme, per l’intera durata del film, se non nelle foto che li incrimineranno definitivamente, segnando per sempre la loro vita di amanti perduti. E, appunto, separati. Anche il genere di prigionia di quella lunga notte li separa: la prigionia di Julien è angusta, faticosa, opprimente, silenziosa (l’ascensore), quella di Florence è en plein air, mobile, sono le strade, bellissime e livide, di Parigi. Eppure, entrambe le celle soffocano allo stesso modo gli amanti divisi. |
Se Florence e Julien sono separati tanto nel presente quanto nel futuro, gli altri due amanti del film, la piccola, sciocca fioraia e il suo balordo fidanzatino lo sono nel futuro: il delitto che il giovane commette (un delitto gratuito, allucinato come la lunga notte dell’ascensore, del sordo moto perpetuo di Florence, la notte insomma in cui i neri semi del futuro si gettano) li separerà per molti anni, forse per sempre. Sono più giovani di Florence e Julien: il nero ciclo iniziato da Simone Simon e Jean Gabin (L’angelo del male di Jean Renoir, 1938) da Giovanna e Gino (Ossessione, Luchino Visconti 1943), da Barbara Stanwyck e Fred MacMurray (La fiamma del peccato di Billy Wiler, 1944) da Simone Signoret e Vera Clouzot (I diabolici, di H.G. Clouzot, 1954), continua, i diabolici vengono inghiottiti dal vuoto che avevano ordito per le loro vittime. “Il percorso di vita di ogni dark lady si presenta come una parabola discendente al cui vertice si trova un gesto criminale, in genere un omicidio. L’evento scatena una sorta di effetto domino sugli avvenimenti a seguire. La dark lady inizia a precipitare. Gli inganni, le menzogne, i raggiri, tutto si rivela palesemente. Lei diventa il soggetto da eliminare. Questo non soltanto perché il meccanismo dell’omicidio, una volta innescato, risulta inarrestabile, ma soprattutto perché la dark lady, prima di essere una donna maledetta, è un’ossessione. E, come ogni ossessione che si rispetti, ha un finale tragico. Perché l’ossessione è malata, ma anche incurabile” (P. Fiorenza, La dark lady nel cinema noir, Ermes, Roma 2010, P. 166).
Con Ascensore per il patibolo, Louis Malle crea, a soli venticinque anni, uno dei suoi film più fascinosi e innovativi: gli umori della Nouvelle Vague fremono già smaniosi (prossimi allo scoppio, questione di mesi) nei passi notturni di Jeanne Moreau, nel claustrofobico, sudato silenzio dell’ascensore, nella sgangherata anarchia della piccola fioraia e del suo amante, nei laceranti, sospesi, primissimi piani di Jeanne Moreau che dialoga con se stessa, col proprio desiderio, col proprio tormento, così come nella Parigi piovosa fotografata da Henri Decae, e nelle musiche pungolanti e improvvisate di Miles Davis.
Daniel Montigiani
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