Psychodream Review Rubrica diretta da Viviana Vacca e Francesco Panizzo
Panico!
Un non-movimento dove il singolo è gruppo. Mettiamolo subito in chiaro: il “Panico!” è un non-movimento.
Uno scherzo riuscitissimo realizzato da tre teste calde genialissime, parlo di Arrabal, Jodorowsky e Topor. Questi tre eclettici autori (ognuno a modo suo e lo vedremo) all’inizio degli anni ‘60 e per tutto il decennio, hanno dato vita ad un’intera gamma di vere e proprie azioni, concretizzatesi per lo più sotto la forma definita “effimero panico”. Ma andiamo con ordine. Abbiamo detto che il panico è un non-movimento, il che è diverso dal dire che “non è un movimento”. |
Le tre personalità artistiche che abbiamo nominato provengono dall’ultimo periodo del surrealismo, quindi quest’attività possiamo rileggerla in quadro storico che parte dal dadaismo (più caratterizzante in Topor) per passare al surrealismo e poi staccarsene. Da qui l’esigenza di riferirsi ad un “movimento”, ma già la premessa iniziale da cui partono gli autori distrugge l’idea stessa di movimento: tutti possono far parte del movimento. Quindi nessuno ne fa parte. La produzione “panica” consisterebbe nelle opere che i singoli autori hanno realizzato in questo decennio, e in qualche modo anche dopo, ma in maniera meno programmatica e costante.
Dall’inizio degli anni ‘60 i tre cominciano ad utilizzare il termine panico per connotare i loro lavori individuali. Il risultato che ne consegue è: ogni autore ha la sua visione del Panico. Possiamo però individuare dei tratti comuni: il panico è un atteggiamento molteplice che scardina la linearità della logica per presentare più che rappresentare in maniera simultanea un complesso flusso di pensiero e proprio questo atteggiamento porterà alla nascita degli “effimeri”, ovvero eventi multidisciplinari caratterizzati dalla violenza nei confronti dei luoghi comuni e la realizzazione della vita concreta. Possiamo vedere l’effimero come precursore degli happening.
L’effimero anche se si presenta in una visione rituale/teatrale complessa e confusionaria tende ad una sottrazione, quella che vorrebbe far intravedere la realtà umana spogliata dai costrutti sociali ai quali siamo abituati dalla cultura a cui apparteniamo.
Dall’inizio degli anni ‘60 i tre cominciano ad utilizzare il termine panico per connotare i loro lavori individuali. Il risultato che ne consegue è: ogni autore ha la sua visione del Panico. Possiamo però individuare dei tratti comuni: il panico è un atteggiamento molteplice che scardina la linearità della logica per presentare più che rappresentare in maniera simultanea un complesso flusso di pensiero e proprio questo atteggiamento porterà alla nascita degli “effimeri”, ovvero eventi multidisciplinari caratterizzati dalla violenza nei confronti dei luoghi comuni e la realizzazione della vita concreta. Possiamo vedere l’effimero come precursore degli happening.
L’effimero anche se si presenta in una visione rituale/teatrale complessa e confusionaria tende ad una sottrazione, quella che vorrebbe far intravedere la realtà umana spogliata dai costrutti sociali ai quali siamo abituati dalla cultura a cui apparteniamo.
L’atteggiamento dadaista in realtà è più riscontrabile in Topor che non cerca un senso perché non gli interessa, la sua critica è nei confronti dell’impossibilità del panico e per questo lo perseguita.
Arrabal sicuramente è il più surrealista e la sua svolta che lo ha legato sempre più ad un atteggiamento Patafisico ne configura la visione più assurda e intellettuale dove “l’uomo è il caso” (ne L’uomo panico del 1963), con tutto quel che ne consegue: distruzione di certezze ed abitudini, dove memoria e caso giocano sull’imprevedibile nascita artis- tica. Quindi possiamo vedere in Arrabal un proseguimento dell’atteggiamento avanguardistico; lo stesso in Topor, ma senza nessuna ambizione intellettuale, anzi, per lui l’avanguardia è l’unico sguardo critico/esistenziale rimasto e lo è a priori, nel senso che non servirà comunque, ma è l’unico atteggiamento vivo (“Un uomo buono è un uomo morto” scriverà nei sillogismi del “Piccolo memento panico” del 1965).
Tutt’altro discorso su Jodorowsky, sicuramente il più legato ad una visione mistica e curativa de Sé, quindi mistico-pratico (darà vita alla pratica della Psicomagia, realizzata attraverso la prescrizione dell’autore di determinati “atti psicomagici” – per Jodorowski è la persona che si cura e non la psicoanalisi che cura). Tirando le somme possiamo trovare un approccio artistico ed estetico (arte nella vita) in Arrabal e Topor, anche se declinati su versanti differenti, abbiamo detto per il primo con un atteggiamento dissacratorio intellettuale, nel secondo dissacratorio come unica via critico-esistenziale; mentre in Jodorowsky un approccio anti estetico e anti artistico dal momento che l’obiettivo principale è la vita concreta (e paradossalmente sarà l’autore che toccherà più campi artistici in assoluto, passando dal teatro, in ruolo di attore, regista e sceneggiatore, alla poesia, la narrativa, la saggistica, la regia cinematografica con film culto quali: El Topo, Santasangre e La montagna sacra; e l’interpretazione attoriale cinematografica, partecipando anche al film diretto da Battiato, Musikanten, dove interpreta il ruolo di Beethoven. Non dimentichiamo anche la sceneggiatura per fumetti).
Arrabal sicuramente è il più surrealista e la sua svolta che lo ha legato sempre più ad un atteggiamento Patafisico ne configura la visione più assurda e intellettuale dove “l’uomo è il caso” (ne L’uomo panico del 1963), con tutto quel che ne consegue: distruzione di certezze ed abitudini, dove memoria e caso giocano sull’imprevedibile nascita artis- tica. Quindi possiamo vedere in Arrabal un proseguimento dell’atteggiamento avanguardistico; lo stesso in Topor, ma senza nessuna ambizione intellettuale, anzi, per lui l’avanguardia è l’unico sguardo critico/esistenziale rimasto e lo è a priori, nel senso che non servirà comunque, ma è l’unico atteggiamento vivo (“Un uomo buono è un uomo morto” scriverà nei sillogismi del “Piccolo memento panico” del 1965).
Tutt’altro discorso su Jodorowsky, sicuramente il più legato ad una visione mistica e curativa de Sé, quindi mistico-pratico (darà vita alla pratica della Psicomagia, realizzata attraverso la prescrizione dell’autore di determinati “atti psicomagici” – per Jodorowski è la persona che si cura e non la psicoanalisi che cura). Tirando le somme possiamo trovare un approccio artistico ed estetico (arte nella vita) in Arrabal e Topor, anche se declinati su versanti differenti, abbiamo detto per il primo con un atteggiamento dissacratorio intellettuale, nel secondo dissacratorio come unica via critico-esistenziale; mentre in Jodorowsky un approccio anti estetico e anti artistico dal momento che l’obiettivo principale è la vita concreta (e paradossalmente sarà l’autore che toccherà più campi artistici in assoluto, passando dal teatro, in ruolo di attore, regista e sceneggiatore, alla poesia, la narrativa, la saggistica, la regia cinematografica con film culto quali: El Topo, Santasangre e La montagna sacra; e l’interpretazione attoriale cinematografica, partecipando anche al film diretto da Battiato, Musikanten, dove interpreta il ruolo di Beethoven. Non dimentichiamo anche la sceneggiatura per fumetti).
Il termine panico ha la radice Pan, che è un dio, e Jodorowsky dirà che è “un Dio collettivo” e “che il suo corpo è molteplice” (in Metodo Panico 1963-1966). La rielaborazione proposta per il non-movimento panico è che se Pan è un dio collettivo, l’individuo singolo è un gruppo. In questo senso il panico è un movimento. E uno è già tanta gente. |
Sempre nel “Metodo Panico” Jodorowsky riconoscerà l’aspetto caotico come essenziale, dove il caos non è confusione ma, con-fusione tra humor, terrore, caso ed euforia, in ogni aspetto della vita. Per Jodorowsky non fa differenza che siano aspetti culturali o meno, poiché la cultura socialmente riconosciuta fa parte ancora di quell’aspetto artificioso e illusorio nei confronti della vita concreta. Quello a cui punta Jodorowsky è pura azione e non teoria e un’azione che sia prelogica dove l’esistenza è un valore concreto, la ragione no! Non si tratta d’irrazionale, come sottolinea l’autore sempre nel Metodo Panico, ma di “derealizzazione”.
Vorrei un attimo uscire dall’argomento per porre in rilievo questo “de-” sottrattivo. Sembra essere un leitmotiv del pensiero contemporaneo, sia avanguardistico che filosofico. Aree come quelle della popart possiamo considerarle inclusive, dove viene compreso nell’opera d’arte o nel gesto artistico (nel caso dell’action painting) tutta l’illusione di reale e quindi la contestazione del reale proposto e vissuto; mentre nel panico e in altri movimenti d’avanguardia e filosofici quell’illusione di reale (la televisione, i costrutti sociali neocapitalistici da un lato, quelli più statali nell’altro ecc...) vengono criticati in vari modi che vengono declinati in due categorie fondamentali:
Vorrei un attimo uscire dall’argomento per porre in rilievo questo “de-” sottrattivo. Sembra essere un leitmotiv del pensiero contemporaneo, sia avanguardistico che filosofico. Aree come quelle della popart possiamo considerarle inclusive, dove viene compreso nell’opera d’arte o nel gesto artistico (nel caso dell’action painting) tutta l’illusione di reale e quindi la contestazione del reale proposto e vissuto; mentre nel panico e in altri movimenti d’avanguardia e filosofici quell’illusione di reale (la televisione, i costrutti sociali neocapitalistici da un lato, quelli più statali nell’altro ecc...) vengono criticati in vari modi che vengono declinati in due categorie fondamentali:
il primo riguarda l'esclusione totale di quell’illusione verificabile attraverso la presentazione del “concreto”, che nel suo essere reale prelogico distrugge tutte le strutture finzionali (alcuni esempi sono: la musica concreta sviluppatasi verso il finire degli anni ‘40, la poesia concreta, in ritardo di un decennio sulla musica ma
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già anticipata dalla poesia dadaista, gli effimeri panici ecc...); l’altro modo invece, e questo è l’atteggiamento più intellettuale quindi vicino ad Arrabal, è la decontestualizzazione di qualsiasi corpo-oggetto, quindi un separare l’oggetto dal suo significato pratico (come nel “ready-made” duchampiano dove l’arte non è più un saper-fare ma un saper-pensare, è il gesto mentale, l’atto che è intenzionalmente artistico). Ma abbiamo detto che questo “de-” sottrattivo lo si ritrova anche nella filosofia del secondo ‘900 e lo si ritrova sempre declinato nelle due categorie che abbiamo già esposto per le avanguardie, il primo “concreto”, dove si riscontra la necessità di creare nuovi concetti, e lo ritroviamo nell’opera di Deleuze e soprattutto nelle ricerche di quest’ultimo fatte assieme a Felix Guttari, (che realizzano un vero e proprio mondo concettuale, dove i concetti sono creazioni e soprattutto strumenti d’interpretazione del contemporaneo); il secondo nell’ambito della decostruzione deriddiana, non tanto per le fnalità ma per il metodo, volto a mettere in rilievo discontinuità e fratture dell’intero sistema socio-culturale.
Per conludere vi lascio con qualcos’altro, caratterizzato dal “de” sottrattivo, che influenzerà tutta una nuova stagione dell’avanguardia della scrittura drammaturgica: “io sono la radice quadrata di meno uno” - S. Beckett -
Per conludere vi lascio con qualcos’altro, caratterizzato dal “de” sottrattivo, che influenzerà tutta una nuova stagione dell’avanguardia della scrittura drammaturgica: “io sono la radice quadrata di meno uno” - S. Beckett -
Daniele Vergni
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