Trickster Rubrica diretta da Alessandro Rizzo
L’immateriale nel blu immenso e
universale di Yves Klein

Possiamo parlare di sogno, di immateriale, di indefinito: ma possiamo descrivere Yves Klein partendo dalla sua monocromia. L’artista nizzardo aveva iniziato da subito utilizzando e sperimentando diversi colori e tonalità, per poi raggiungere uno stadio di naturalezza compositiva di alta intensità estetica.
Rhodopas era il prodotto chimico che Klein utilizzava adattandolo al colore dalle pigmentazioni multiple e naturali per poi diventare esso stesso un oggetto soggettivo, evoluto, distaccato e staccato dal contesto in cui veniva collocato: la superficie lignea.
A un certo punto si affianca solamente alla tinta blu, una scelta cromatica molto chiara che vuole riproporre e riprodurre una innocenza, in una sperimentazione che vuole apportarci a contemplare temi legati all’infinito, all’immateriale, al metafisico, al concetto e alla sensazione di vuoto. Ed è proprio nel vuoto che si esprime l’arte di Klein: una produzione artistica protesa a dare risalto a quell’unità cosmica e terrena tra il cielo e la terra senza un confine, senza un orizzonte, in una proiezione senza limiti e senza fine. L’eternità del segno nell’opera di Klein si concilia con l’astrattezza quasi diafana, eterea ma dalla dimensione ben visibile e percepibile, espressione di emozioni e sensazioni contemplative dalla forte valenza. Klein ha dato vita, così, anche e soprattutto a un colore di sua creazione: l’International Klein Blue, IKB, mai proposto sul mercato, ma dalla particolarità specifica di una poetica che è l’indefinito stesso. «Lunga vita all'immateriale!» considera Klein più volte: e questo si percepisce nella sua lunga attività artistica che vede in pochi anni produrre più di mille tavole, nonostante sia scomparso alla giovane età di 34 anni. Klein ama anche il judo, quell’arte sportiva che lo porta a valorizzare la comunicazione corporea come mezzo e tramite di visioni innovative e sempre imprevedibili.
Una “traccia di vita”, dirà l’autore, vede le sue performance immortalate su grandi tele, come corpi di modelle e di modelli che si rotolano su superfici ruvide, quasi a voler dare un’idea di impronta destinata a imprimersi nelle visioni delle persone e nelle immaginazioni sempre fervide di spettatori attenti e accorti. Guida nella pioggia a 70 miglia all’ora mettendo sopra il tetto dell’auto una grande tela, oppure si trova a porre la stessa al tubo dello scappamento del veicolo tanto da poter dipingere con i fumi.
Rhodopas era il prodotto chimico che Klein utilizzava adattandolo al colore dalle pigmentazioni multiple e naturali per poi diventare esso stesso un oggetto soggettivo, evoluto, distaccato e staccato dal contesto in cui veniva collocato: la superficie lignea.
A un certo punto si affianca solamente alla tinta blu, una scelta cromatica molto chiara che vuole riproporre e riprodurre una innocenza, in una sperimentazione che vuole apportarci a contemplare temi legati all’infinito, all’immateriale, al metafisico, al concetto e alla sensazione di vuoto. Ed è proprio nel vuoto che si esprime l’arte di Klein: una produzione artistica protesa a dare risalto a quell’unità cosmica e terrena tra il cielo e la terra senza un confine, senza un orizzonte, in una proiezione senza limiti e senza fine. L’eternità del segno nell’opera di Klein si concilia con l’astrattezza quasi diafana, eterea ma dalla dimensione ben visibile e percepibile, espressione di emozioni e sensazioni contemplative dalla forte valenza. Klein ha dato vita, così, anche e soprattutto a un colore di sua creazione: l’International Klein Blue, IKB, mai proposto sul mercato, ma dalla particolarità specifica di una poetica che è l’indefinito stesso. «Lunga vita all'immateriale!» considera Klein più volte: e questo si percepisce nella sua lunga attività artistica che vede in pochi anni produrre più di mille tavole, nonostante sia scomparso alla giovane età di 34 anni. Klein ama anche il judo, quell’arte sportiva che lo porta a valorizzare la comunicazione corporea come mezzo e tramite di visioni innovative e sempre imprevedibili.
Una “traccia di vita”, dirà l’autore, vede le sue performance immortalate su grandi tele, come corpi di modelle e di modelli che si rotolano su superfici ruvide, quasi a voler dare un’idea di impronta destinata a imprimersi nelle visioni delle persone e nelle immaginazioni sempre fervide di spettatori attenti e accorti. Guida nella pioggia a 70 miglia all’ora mettendo sopra il tetto dell’auto una grande tela, oppure si trova a porre la stessa al tubo dello scappamento del veicolo tanto da poter dipingere con i fumi.
Klein dipinge insieme ad Arman, sono entrambi nizzardi, e sono uniti da quella struttura estetica e sostanziale che ci porta a considerare l’importanza della “Nouveaux Réalistes”, il nuovo realismo. Le sue opere sono e diventano performative, realizzate sotto gli occhi delle persone, rendendo tutto ciò qualcosa di fortemente popartistico, la tangibilità della creazione, possiamo quasi dire, si evidenzia e traspare nella sua dirompenza.
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Stiamo parlando del dipinto realizzato con modelle nude durante un’esibizione musicale concertistica da parte della sua Monotone Symphony, nel 1960, che eseguiva musiche con una sola nota.L’ossessione per il vuoto, ogni artista è contaminato da un’ossessione, rendendo la sua opera intrisa di quella forte dose di pathos che gli è dovuta per esprimere simpatetica attrazione sul pubblico, è in Klein qualcosa che si assaggia e si visiona in differenti lavori: citiamo quelli fotografici, Saut dans le vide (Salto nel Vuoto), dove si vede l’autore stesso ripreso mentre si lancia da un muro con le braccia che tendono verso il pavimento, quasi a voler ironizzare e comicizzare le grandi spedizioni NASA promosse sulla Luna, quasi come fossero pazzie e follie senza senso. Possiamo ricordare, anche, l’iniziativa alquanto stravagante di Klein nel voler mettere in vendita il vuoto a prezzo d’oro, quasi a significare come gli spazi vuoti della città valgano altamente e, per poter riequilibrare la situazione che aveva visto un eccessivo sbilanciamento verso l’oro, la parte materica, decise di lanciare nella Senna il prezioso elemento.
Il dipinto senza immagini, un quadro senza figure, come un libro senza parole, una fotografia senza soggetti, traspirano nella produzione di Klein: sono queste le peculiarità della sua poetica, quello di apportare “Zone di Sensibilità Pittorica Immateriale”, ossia situazioni pari a Nirvana reali, Zen che definisce una pace interiore contemplativa, quasi diventando col vuoto uno strumento per garantire una ricerca intima e interiore della propria sensibilità, andando oltre l’elemento reale.
Il dipinto senza immagini, un quadro senza figure, come un libro senza parole, una fotografia senza soggetti, traspirano nella produzione di Klein: sono queste le peculiarità della sua poetica, quello di apportare “Zone di Sensibilità Pittorica Immateriale”, ossia situazioni pari a Nirvana reali, Zen che definisce una pace interiore contemplativa, quasi diventando col vuoto uno strumento per garantire una ricerca intima e interiore della propria sensibilità, andando oltre l’elemento reale.
L’assenza di un’immagine ci conduce in un tuffo onirico dimensionato: un viaggio che ci porta a scoprire le intimità introspettive nelle relazioni umane e psicologiche, ma anche nella nostra visione di umanità e di esistenza. L’opera artistica abdica, così, al contenuto: diventa essa stessa contenuto, compenetrando l’aspetto estetico con l’aspetto sostanziale e soggettivistico. Diventa opera autonoma, senza altri orpelli o supporti utili a darle significato: come in poesia e in lirica possiamo dire che l’opera d’arte acquista il significato attraverso il significante. |
La metafisica impera nelle opere di Klein: da un aspetto teoretico si procede verso anfratti più contenutistici che trovano nell’astrazione il sapore di una visione innovativa e di rottura che solca verso dimensioni eclettiche grazie alla loro matrice creativa. L’idea da veicolare è quella dell’astratto: un’idea che eleva lo spettatore in visioni e panorami totalmente estranei e avulsi dalla temporalità.
Si può parlare, così, di atemporalità: di un distacco da una lettura del quotidiano per, poi, procedere verso un orizzonte complesso e nuovo, d’indagini e di riflessioni naturali e immediate. L’iniziativa che Klein aveva intrapreso nel vendere spazi di vuoto, artisticamente poetici, come elementi di un’estetica esaltante una sensibilità pittorica, a fronte di manciate di oro, aveva avuto come conseguenze quella di inserire l’oro rimasto in un famoso Ex voto, donato a Santa Rita da Cascia nel febbraio 1961, rinvenuto nel 1979 da Armando Marrocco che stava in quel momento restaurando le vetrate del Santuario. Le suore ignoravano il contenuto di quella cassa, mentre nel suo interno era custodita una delle massime opere di Klein. «Il pittore deve creare costantemente un solo unico capolavoro, sé stesso», considera Klein, ed è da questa frase che si deduce in poche parole riassuntive tutta l’arte del grande autore, quella monocromia il cui stile venno considerato da scartare quando presentata al Salon des Realites Nouvelles, in quanto considerata poco ricca e molto scarna, priva di riferimenti interessanti. Klein non volle ascoltare i suggerimenti della commissione valutatrice, tanto da proseguire nella sua poetica, che gli rese omaggio nei tempi a venire.
Il colore era sufficiente a rappresentare l’infinito da sempre ritratto e ripreso dall’artista nizzardo. Ogni sfumatura attraverso cui il colore si esplica, secondo Klein, diventa individuo, essere e soggetto autonomo: una realtà vivente e pulsante che diventa autonomia espressiva e compositiva in una visione complessiva e plurale di sensibilità differenti e contrastanti, dalla delicatezza alla volgarità, dalla sublimità all’aggressività, fino ad arrivare a quella pace e quella serenità interiori che tanto conducono alla contemplazione del blu Klein, luminoso e avvolgente, espressione perfetta di questo colore, come suggerisce lo stesso ideatore.
Si può parlare, così, di atemporalità: di un distacco da una lettura del quotidiano per, poi, procedere verso un orizzonte complesso e nuovo, d’indagini e di riflessioni naturali e immediate. L’iniziativa che Klein aveva intrapreso nel vendere spazi di vuoto, artisticamente poetici, come elementi di un’estetica esaltante una sensibilità pittorica, a fronte di manciate di oro, aveva avuto come conseguenze quella di inserire l’oro rimasto in un famoso Ex voto, donato a Santa Rita da Cascia nel febbraio 1961, rinvenuto nel 1979 da Armando Marrocco che stava in quel momento restaurando le vetrate del Santuario. Le suore ignoravano il contenuto di quella cassa, mentre nel suo interno era custodita una delle massime opere di Klein. «Il pittore deve creare costantemente un solo unico capolavoro, sé stesso», considera Klein, ed è da questa frase che si deduce in poche parole riassuntive tutta l’arte del grande autore, quella monocromia il cui stile venno considerato da scartare quando presentata al Salon des Realites Nouvelles, in quanto considerata poco ricca e molto scarna, priva di riferimenti interessanti. Klein non volle ascoltare i suggerimenti della commissione valutatrice, tanto da proseguire nella sua poetica, che gli rese omaggio nei tempi a venire.
Il colore era sufficiente a rappresentare l’infinito da sempre ritratto e ripreso dall’artista nizzardo. Ogni sfumatura attraverso cui il colore si esplica, secondo Klein, diventa individuo, essere e soggetto autonomo: una realtà vivente e pulsante che diventa autonomia espressiva e compositiva in una visione complessiva e plurale di sensibilità differenti e contrastanti, dalla delicatezza alla volgarità, dalla sublimità all’aggressività, fino ad arrivare a quella pace e quella serenità interiori che tanto conducono alla contemplazione del blu Klein, luminoso e avvolgente, espressione perfetta di questo colore, come suggerisce lo stesso ideatore.
L’epoca blu di Klein spopola per tutta Europa: Parigi, Düsseldorf e Londra diventano teatri che ospitano le sue opere, facendo gran ritorno di pubblico.
I simboli antropometrici sono quelli che fanno della poetica di Klein l’aspetto più curioso nella realizzazione di un’opera d’arte: come è avvenuto la sera del 23 febbraio 1960 nel suo stesso appartamento in cui una modella si avvolse nel lenzuolo a parete lasciando l’essenza del suo corpo, tronco e cosce del suo fisico, tanto da dare impressione di quell’energia vitale ed esistenziale tipica di una figura che ci conduce a esplorare nuovi orizzonti, sensuali e allo stesso tempo magici. |
L’arte di Klein, che diventa essa stessa rappresentazione viva, si nutre dei contributi corporei delle singole persone che vengono accolte e coinvolte nella loro individualità assoluta, raccolte da quell’elemento naturale quale è la spugna, pronta ad “assorbire qualsiasi liquido”, punto di fascinazione per lo stesso autore. La spugna porta a identificare nell’autore quella transizione tra veglia e sonno, tra realtà e dimensione onirica, tra concreto e immateriale, dando senso quasi dinamico a quella transazione tra l’inspirazione e l’espirazione. Il movimento nell’unità universale è quello che possiamo intravedere nella produzione di Klein, così come possiamo notare in due delle sue maggiori opere realizzate per il Teatro dell’Opera di Gelsenkirchen, enormi rilievi blu da 20 metri × 7 alle pareti laterali, altri rilievi di spugne stratificate da 10 metri × 5 alla parte posteriore e due ulteriori murali a rilievo, lunghe 9 metri dentro il guardaroba.
Alessandro Rizzo
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