Maria
Caterina Prezioso, autrice di questo racconto lungo (o romanzo breve), è
riuscita nel tentativo di legare letteratura ironica ed ecologia sociale, oltre
che ambientale. Quest’idea mi è sembrata subito colpire nel segno; nel segno di
una società formata da zombie indifferenti (giustamente) al moralismo di un’ecologia
del “dover essere”, un’ecologia di “consigli salutari” che non funziona ormai
più. Gian Stefano Mandrino introduce il testo parlando della domanda
esistenziale per eccellenza, dalla quale fuggiamo costantemente: Blu Cavolfiore
è il libro del “perché?”. Non mi resta che chiederti il… perché!?!
Perchè? Per quale motivo? Il ruolo sociale del “perché?” è fondamentale, è alla base delle scelte di una società più o meno evoluta che sia. I bambini generalmente durante i primi tre anni di vita continuano scientificamente e a volte quasi in modo dirompente a chiedere “perché?” È connaturato all’animo umano chiedersi per quale motivo e a trovare delle possibili risposte o dentro se stessi o attraverso la relazione e lo scambio. Le strutture sociali più evolute hanno poi in qualche modo creato una gerarchia di valori nel quale andare a pescare queste risposte. Credo che ci troviamo a un bivio evidente del nostro esistere. Si verifica quando davanti a un ordine o a una azione il bambino ti domanda “perché?” e se tu non sei in grado di dare una risposta. Questo dovrebbe far scattare il campanello d’allarme, poiché il passo successivo, quello che ci porta al baratro intellettuale è quello nel quale noi stessi non ci domandiamo più il motivo delle cose. La risposta che può dare un “adulto” a un “bambino” e al suo “perché?” può essere una risposta razionale, oppure una risposta fantastica, un’ipotesi, che non sia verbo che scenda dall’alto, ma una risposta aperta che possa dare la possibilità al bambino di immaginare e di riempire quel perché con le proprie risposte, con le proprie scelte. Ecco, il libro del “perché?” può diventare uno strumento affinché ognuno di noi possa ricercare delle risposte, avere la consapevolezza della domanda per interagire con le risposte. E le risposte a volte sono di colori diversi.
La questione ecologica non è solo questione ambientale ma anche mentale e sociale. Questa consapevolezza è molto evidente nel tuo testo (penso al rapporto tra le generazioni, al rapporto che abbiamo con la vecchiaia)… Inoltre, sembra che l’uomo produca le proprie malattie per poterci guadagnare sopra…siamo davvero come il serpente che ha iniziato a mangiarsi dalla coda e che si auto-fagociterà completamente?
La questione ecologica è soprattutto una questione mentale e sociale. Siamo una società che se da una parte non riconosce più i padri, dall’altra ha un grave problema nelle nuove generazione e dall’affrancamento dai padri. Da questo punto di vista è evidente come le società attuali sono incapaci di riconoscere il progetto biologico (del quale noi siamo portatori sani) la capacità di nascere, di vivere, ma anche di morire. Si è spezzato questo rapporto importantissimo con la terra, con la madre e ci siamo in qualche modo spezzati le ali da soli. Così la nascita, la nostra vita e la nostra morte sono viste solo nell’ottica del profitto. Mi fa molta impressione quando sento ad esempio la frase “tenere in vita” oppure “è in coma farmacologico”. Se c’è qualcosa che abbiamo distrutto è la nostra capacità di saperci mortali perché è questa capacità che ci dà il senso del tempo e la saggezza a volte di saper passare il testimone. Oggi nessuno, in nessun campo, vuole passare il testimone e d’altra parte le nuove generazioni incapaci di affrancarsi dai padri pensano solo a volerli rottamare. Ci deve essere il riconoscimento di un debito nei confronti del passato per poter affrontare il futuro.
Si sente dire molto spesso che non avremo molto tempo e che al di là di tutti i cosiddetti valori stiamo in realtà perdendo la cosa più importante: il diritto alla sopravvivenza. Cosa significa sopravvivere per te? Pensi che un’ecologia sociale debba limitarsi a garantire la sopravvivenza?
Si sente dire molto spesso che non avremo molto tempo e che al di là di tutti i cosiddetti valori stiamo in realtà perdendo la cosa più importante: il diritto alla sopravvivenza. Cosa significa sopravvivere per te? Pensi che un’ecologia sociale debba limitarsi a garantire la sopravvivenza?
Assolutamente no. Una politica di ecologia sociale deve garantire la
vita in tutte le sue espressioni. Non credo nel diritto alla
sopravvivenza. Credo invece al dovere di so- pravvivenza. Questo è un
discorso del tutto personale e anche familiare. Sono stata cresciuta a
questo dovere. Perché, a volte, è nostro dovere e piacere sopravvivere
anche all’orrore e saperlo raccontare. Il dovere di sopravvivere mi ha
poi fatto sviluppare l’idea che esista un diritto alla vita, ad avere
una vita dignitosa, il diritto alla vita è il diritto alla cultura, al
lavoro, è il diritto a partecipare alla vita politica e sociale del
paese. Il diritto alla vita (e non in senso religioso) è il diritto
principe dal quale poi scaturiscano gli altri. Il dovere di
sopravvivenza deve intervenire quando il diritto alla vita è messo in
discussione.
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Quali sono state le posizioni nel corso del tempo da parte del Governo italiano riguardo le direttive del Parlamento Europeo sulla questione transgenica?
Altalenanti e soprattutto discordanti. Da una parte sicuramente ci sono state voci e uomini che hanno tentato in tutte le maniere di ostacolare l’introduzione del transgenico nel nostro paese, dall’altra è imbarazzante, ma è la verità, ci sono degli interessi forti affinché procedure e modelli di economia transgenica siano introdotte nel nostro Paese. Multinazionali come Monsanto e Novartis fanno la voce grossa in Europa e trovano inevitabilmente terreno fertile. Più la crisi avanza, più i diritti dei cittadini vengono calpestati in nome della crisi, della mancanza di coperture economiche, della coperta troppo corta e intanto il profitto viene fatto sopra le nostre teste e sempre più spesso con le nostre teste.
A proposito di questo, le ambientazioni del tuo libro sono molto varie: si passa da una situazione provinciale, la descrizione di piccole città fino alla pre- figurazione di un’eventuale intelligenza cosmica, al di là del sentimento di paura che ci immobilizza di fronte all’egoismo universale, al capitalismo finanziario e alle decisioni insostenibili (è proprio il caso di dirlo) da un punto di vista energetico.
Blu cavolfiore è stato un viaggio attraverso mondi paralleli che apparentemente non si incontrano mai, ma che si conoscono molto bene o almeno abbastanza bene da non fidarsi uno dell’altro. I personaggi sono due, Jacob (il sopravvissuto) e Jurek (il mistificatore) ma a ben guardare ognuno di loro rappresenta altri e svariati mondi e modelli culturali. La vita provinciale delle piccole città del nord Italia, le periferie delle grandi città, la dimenticanza del sud ha creato e sta tuttora creando una profonda spaccatura tra la vita reale, la famiglia reale, il mondo reale e la società del capitalismo finanziario. Bisogna ripartire da queste piccole realtà per dare forza e spingere una società impazzita di gossip se non verso una decrescita felice quantomeno nello sviluppo sostenibile. Non è possibile far finta di nulla e dire che si sta facendo il possibile, non è possibile dare fiducia a una struttura politica che non riconosce i suoi errori e continua solo a piangere miseria. Non c’è dignità in tutto questo e io volevo che si cominciasse a intravedere che non sempre il popolo, il cittadino ha il governo che si merita, ma a volte il cittadino non ha più gli strumenti giusti e democratici per opporsi a una politica governativa nella quale non si riconosce più.
L’ironia e il sarcasmo che aleggiano nel dialogo sono secondo te più efficaci dei profeti della paura, dei catastrofisti catechisti per arrivare all’intelligenza cosmica di cui dicevamo?
Io ho sempre pensato che una risata ci può salvare, ma che l’ironia cattiva e feroce ci permette di sopravvivere. Un modo di pensare yiddish cerca di smontare quei profeti della paura di cui parli. Un ridere amaro fa paura ai profeti della paura.
Come possiamo essere così indaffarati, indifferenti e ciechi da non accorgerci che ci sono, come scrivi, strategie che passano attraverso i nostri corpi? Lo dobbiamo anche a quelli che tu chiami “prestigiatori della comunicazione della incomunicabilità”? Se il linguaggio è pieno di insidie riguardo la nostra consapevolezza su certe questioni, tu hai preferito usare un linguaggio molto diretto, quello di una conversazione.
Altalenanti e soprattutto discordanti. Da una parte sicuramente ci sono state voci e uomini che hanno tentato in tutte le maniere di ostacolare l’introduzione del transgenico nel nostro paese, dall’altra è imbarazzante, ma è la verità, ci sono degli interessi forti affinché procedure e modelli di economia transgenica siano introdotte nel nostro Paese. Multinazionali come Monsanto e Novartis fanno la voce grossa in Europa e trovano inevitabilmente terreno fertile. Più la crisi avanza, più i diritti dei cittadini vengono calpestati in nome della crisi, della mancanza di coperture economiche, della coperta troppo corta e intanto il profitto viene fatto sopra le nostre teste e sempre più spesso con le nostre teste.
A proposito di questo, le ambientazioni del tuo libro sono molto varie: si passa da una situazione provinciale, la descrizione di piccole città fino alla pre- figurazione di un’eventuale intelligenza cosmica, al di là del sentimento di paura che ci immobilizza di fronte all’egoismo universale, al capitalismo finanziario e alle decisioni insostenibili (è proprio il caso di dirlo) da un punto di vista energetico.
Blu cavolfiore è stato un viaggio attraverso mondi paralleli che apparentemente non si incontrano mai, ma che si conoscono molto bene o almeno abbastanza bene da non fidarsi uno dell’altro. I personaggi sono due, Jacob (il sopravvissuto) e Jurek (il mistificatore) ma a ben guardare ognuno di loro rappresenta altri e svariati mondi e modelli culturali. La vita provinciale delle piccole città del nord Italia, le periferie delle grandi città, la dimenticanza del sud ha creato e sta tuttora creando una profonda spaccatura tra la vita reale, la famiglia reale, il mondo reale e la società del capitalismo finanziario. Bisogna ripartire da queste piccole realtà per dare forza e spingere una società impazzita di gossip se non verso una decrescita felice quantomeno nello sviluppo sostenibile. Non è possibile far finta di nulla e dire che si sta facendo il possibile, non è possibile dare fiducia a una struttura politica che non riconosce i suoi errori e continua solo a piangere miseria. Non c’è dignità in tutto questo e io volevo che si cominciasse a intravedere che non sempre il popolo, il cittadino ha il governo che si merita, ma a volte il cittadino non ha più gli strumenti giusti e democratici per opporsi a una politica governativa nella quale non si riconosce più.
L’ironia e il sarcasmo che aleggiano nel dialogo sono secondo te più efficaci dei profeti della paura, dei catastrofisti catechisti per arrivare all’intelligenza cosmica di cui dicevamo?
Io ho sempre pensato che una risata ci può salvare, ma che l’ironia cattiva e feroce ci permette di sopravvivere. Un modo di pensare yiddish cerca di smontare quei profeti della paura di cui parli. Un ridere amaro fa paura ai profeti della paura.
Come possiamo essere così indaffarati, indifferenti e ciechi da non accorgerci che ci sono, come scrivi, strategie che passano attraverso i nostri corpi? Lo dobbiamo anche a quelli che tu chiami “prestigiatori della comunicazione della incomunicabilità”? Se il linguaggio è pieno di insidie riguardo la nostra consapevolezza su certe questioni, tu hai preferito usare un linguaggio molto diretto, quello di una conversazione.
Penso che la gente vada educata, di gene- razione in generazione, al dialogo, all’infor-mazione e alla contro-informazione. Negli ultimi trenta, quaranta anni nel mondo abbiamo prodotto società e classi politiche basate sulla menzogna. Menzogna che ha degenerato fino a determinare società e culture dove manca il contradditorio. Non c’è quasi più bisogno dell’uomo forte o delle dittature, gli individui si sono collocati in schieramenti predeterminati. Non c’è gioco di squadra, perché non c’è squadra. Blu cavolfiore è invece basato proprio su una conversazione, una partita all’ultimo sangue dove ognuno può dire la sua. Una partita dove non sia sempre il banco a vincere: in modo crudo racconta una storia, un pezzo della nostra storia e dove la finzione abbia fine, ma si possa dare di nuovo voce alla immaginazione e alla poesia. Lo so che può sembrare contrastante, ma finché ci nascondono la verità non saremo mai in grado di riprenderci la nostra fantasia e metterla in prima fila nella scala dei valori. |
Nel tuo testo i due protagonisti Jacob il sopravvissuto e Jurek il mistificatore rappresentano le due anime di ognuno di noi: quella che giustifica, ad esempio, i danni delle biotecnologie in vista di un presunto “progresso scientifico” e l’arroganza di chi pensa di poter mettere brevetti sugli organi umani, feti, geni, tessuti…Come si sviluppa nel testo questo dialogo tra Jacob e Jurek?
Un’altra cosa che mi preme chiarire è proprio questo dialogo tra Jacob e Jurek… ho voluto che tornasse a vivere quel contraddittorio e ho voluto che uno dei due morisse affinché l’altro ne sentisse la mancanza.
“Fantasia. Fantasia non tanto del futuro, fantasia che costruisca un futuro lon- tano, quanto una fantasia che vada a ripescare e far vivere un passato, che riaccenda quella memoria storica senza la quale non ci può essere futuro.”
Quello che dici è verissimo, io li chiamo i “Fantasmi del Futuro”. Ci sono delle voci che nessuno sente ma a volte tornano e si affiancano a noi, percorrendo un tratto di strada. Senza questi fantasmi ai quali dare voce, suono, racconto e corpo, non c’è possibilità di intravedere il futuro. I Fantasmi del Futuro sono l’arma segreta della scrittura. La Fantasia e l’Immaginazione al servizio dei Fantasmi del Futuro affinché scrivendo di loro possiamo cambiare finale, possiamo come giullari di dio invertire una storia della quale era già ben prestabilito il finale. La mia generazione parlava della “fantasia al potere”, forse abbiamo sbagliato volevamo dire la “fantasia al futuro”. Il potere quello di oggi e di ieri e quello che sarà non ci desidera e noi non desideriamo lui.
“Blu cavolfiore emana odore di drammaturgia, in effetti ti sei occupata anche di poesia e teatro. Blu cavolfiore va a mischiare un po’ questi generi? Nel ringraziarti ti chiedo quali progetti hai, c’è un altro testo che stai preparando? Magari altrettanto pungente e spietato verso la “buona coscienza” del lettore?”
Ti ringrazio di questa domanda perché, appunto, la poesia e la drammaturgia sono altre corde del mio strumento. La scrittura, una scrittura viva come io la immagino e fatta di contaminazioni di generi. Ho iniziato con la poesia e poi è venuto il teatro, la voce che si fa corpo e danza. Quando sono tornata alla narrativa mi sono portata dietro questo bagaglio di emozioni e di voci e ho cercato sempre di farle parlare. Ho pensato che a volte l’urlo possa tramutarsi in canto. Non sempre ci sono riuscita, ma non ha così importanza. L’importante è tentare questa strada. Blu cavolfiore è anche questo; il tentativo di una scrittura che non sia solo controinformazione, ma che parli al cuore e alla pancia nostra ed ecco arrivare Pwca, il folletto, il teatro dell’im-maginazione, una narrazione che da voce alla poesia. I miei progetti futuri sono due, un testo che concluda (nella mia testa) una ipotetica trilogia. Negli ultimi tre anni ho parlato e provato a dare voce a Roma con Cronache binarie, poi da Roma siamo saliti su al nord con Blu cavolfiore e ora sto lavorando su un testo che ci riconduca da Roma al sud, un sud vicino, il sud pontino, un meridione che meridione non è, ma che è sempre stato l’ultima roccaforte dei poteri in dissoluzione, il potere fatto fuori da nuovi poteri che avanzano. Parlo di trilogia perché anche in questo caso come tu dici mi piace pensare di scrivere alla buona coscienza del lettore. E poi c’è un altro testo completamente diverso nel quale ritorno a scrivere di poesia e di teatro contaminandoli tra di loro, dando voce e suono a dei percorsi che hanno fatto di me quello che oggi sono. Certamente un lavoro più personale che spero sia capace di mutarsi in un piccolo universo di richiami e rimandi. Testi in cerca di editore e di risposte.
Un’altra cosa che mi preme chiarire è proprio questo dialogo tra Jacob e Jurek… ho voluto che tornasse a vivere quel contraddittorio e ho voluto che uno dei due morisse affinché l’altro ne sentisse la mancanza.
“Fantasia. Fantasia non tanto del futuro, fantasia che costruisca un futuro lon- tano, quanto una fantasia che vada a ripescare e far vivere un passato, che riaccenda quella memoria storica senza la quale non ci può essere futuro.”
Quello che dici è verissimo, io li chiamo i “Fantasmi del Futuro”. Ci sono delle voci che nessuno sente ma a volte tornano e si affiancano a noi, percorrendo un tratto di strada. Senza questi fantasmi ai quali dare voce, suono, racconto e corpo, non c’è possibilità di intravedere il futuro. I Fantasmi del Futuro sono l’arma segreta della scrittura. La Fantasia e l’Immaginazione al servizio dei Fantasmi del Futuro affinché scrivendo di loro possiamo cambiare finale, possiamo come giullari di dio invertire una storia della quale era già ben prestabilito il finale. La mia generazione parlava della “fantasia al potere”, forse abbiamo sbagliato volevamo dire la “fantasia al futuro”. Il potere quello di oggi e di ieri e quello che sarà non ci desidera e noi non desideriamo lui.
“Blu cavolfiore emana odore di drammaturgia, in effetti ti sei occupata anche di poesia e teatro. Blu cavolfiore va a mischiare un po’ questi generi? Nel ringraziarti ti chiedo quali progetti hai, c’è un altro testo che stai preparando? Magari altrettanto pungente e spietato verso la “buona coscienza” del lettore?”
Ti ringrazio di questa domanda perché, appunto, la poesia e la drammaturgia sono altre corde del mio strumento. La scrittura, una scrittura viva come io la immagino e fatta di contaminazioni di generi. Ho iniziato con la poesia e poi è venuto il teatro, la voce che si fa corpo e danza. Quando sono tornata alla narrativa mi sono portata dietro questo bagaglio di emozioni e di voci e ho cercato sempre di farle parlare. Ho pensato che a volte l’urlo possa tramutarsi in canto. Non sempre ci sono riuscita, ma non ha così importanza. L’importante è tentare questa strada. Blu cavolfiore è anche questo; il tentativo di una scrittura che non sia solo controinformazione, ma che parli al cuore e alla pancia nostra ed ecco arrivare Pwca, il folletto, il teatro dell’im-maginazione, una narrazione che da voce alla poesia. I miei progetti futuri sono due, un testo che concluda (nella mia testa) una ipotetica trilogia. Negli ultimi tre anni ho parlato e provato a dare voce a Roma con Cronache binarie, poi da Roma siamo saliti su al nord con Blu cavolfiore e ora sto lavorando su un testo che ci riconduca da Roma al sud, un sud vicino, il sud pontino, un meridione che meridione non è, ma che è sempre stato l’ultima roccaforte dei poteri in dissoluzione, il potere fatto fuori da nuovi poteri che avanzano. Parlo di trilogia perché anche in questo caso come tu dici mi piace pensare di scrivere alla buona coscienza del lettore. E poi c’è un altro testo completamente diverso nel quale ritorno a scrivere di poesia e di teatro contaminandoli tra di loro, dando voce e suono a dei percorsi che hanno fatto di me quello che oggi sono. Certamente un lavoro più personale che spero sia capace di mutarsi in un piccolo universo di richiami e rimandi. Testi in cerca di editore e di risposte.
Silverio Zanobetti
Maria Caterina Prezioso è nata a Roma nel 1961.
Il 4 agosto del 1974 era sul treno Italicus Roma-Brennero, nel 1984 si laurea in scienze politiche, nel 1994 incontra la danza e il suo sorriso, nel 2004 scopre che 1984 il famoso romanzo di George Orwell scritto nel 1948 il titolo è stato ottenuto invertendo le ultime due cifre del primo anno della stesura.
Autrice di poesia, teatro, narrativa:
Il 4 agosto del 1974 era sul treno Italicus Roma-Brennero, nel 1984 si laurea in scienze politiche, nel 1994 incontra la danza e il suo sorriso, nel 2004 scopre che 1984 il famoso romanzo di George Orwell scritto nel 1948 il titolo è stato ottenuto invertendo le ultime due cifre del primo anno della stesura.
Autrice di poesia, teatro, narrativa:
- Poesia: Nelle rughe del muro (Ibiskos 1991).
- Racconti brevi: Il gioco n. 33 (il Ventaglio 1993).
- Drammaturgia: La risposta di Leonardo testo di teatro-danza (coautrice Giuliana Majocchi) (il Segnale 1996), La stanza - la festa dei Tuareg (Titivillus 2004).
- Narrativa: Il Colpo (peQuod 2008) racconti
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