Sezione Ecosofia Alphaville Rubrica inserto di PASSPARnous
Rubrica Interventi critici
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Per una Ecosofia del futuro
Il decimo numero della rivista PASSPARnous
presenta la “Sezione Ecosofia”.
presenta la “Sezione Ecosofia”.
«Io disprezzo il tuo disprezzare” dice Zarathustra al demone del risentimento […]. Il negativo può innalzarsi al suo grado più alto e superare se stesso solo se viene dominato dall’affermazione e quindi permanere non più come potenza e qualità, bensì come modo di essere di chi è potente: allora e soltanto allora il negativo si trasforma in aggressività, la negazione diventa attiva e la distruzione gioiosa.»
(G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia). |
n.2
Sezione Ecosofia
Rubrica Interventi critici La crudeltà innocente
come potenza di affermare Articolo di Silverio Zanobetti
«Conosco il piacere del distruggere in misura della mia forza di distruzione». |
Come vedere nella crudeltà una forza spirituale, un’affermazione del valore della vita più che una semplice volontà di far soffrire gli altri? Cominciamo a pensare la crudeltà in modo più innocente, chiamandola spinozianamente “sympathia malevolens”. Non basta semplicemente dire sempre di sì, come l’asino dello Zarathustra; è un sì che non sa dire di no. Il “sacro dire di sì” del fanciullo deve essere preceduto dal “no sacro” del leone.
La crudeltà innocente è condizione del dire di sì. È noto che Nietzsche, nella Nascita della tragedia, “stimolato” da Schopenhauer cerchi un rimedio non alla sofferenza bensì alla compassione. Nella Prefazione alla Genealogia della morale all’interno della sua critica al valore dei valori morali stessi, Nietzsche ci rende consapevoli del modo in cui si è svolto il processo storico e spirituale, segnato fin dall’origine dei valori morali da istinti antivitali. In questo contesto Nietzsche, a proposito della crudeltà, scrive: «Diciamolo ancora una volta: in che senso può essere la sofferenza una compensazione di “debiti”? In quanto far soffrire arrecava soddisfazione in sommo grado, in quanto il danneggiato barattava il danno, con l’aggiunta dello scontento per il danno, per uno straordinario controgodimento: il far soffrire – una vera e propria festa […]; come ingenuo, d’altro canto, come innocente appare il suo bisogno di crudeltà […]»[1]. Nietzsche, pensando a Spinoza, parla di malvagità disinteressata (sympathia malevolens) ed è in questo senso che la crudeltà diventerà affermazione. Nella Genealogia della morale il corpo, torturato da punizioni, riti, gesti, sforzi, godimenti è sempre elemento culturale, un campo in cui l’uomo effettua sperimentazioni simboliche.
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Il succedersi delle diverse società e delle diverse regole sociali si basa anche sulla regolamentazione e legittimazione della crudeltà e questo succedersi è possibile solo perché a un certo punto vengono giustificate modalità di applicazione della crudeltà non regolamentate, quindi crudeltà anche verso chi è cittadino di pieno diritto. Un ordinamento che per cercare stabilità fissi un ordinamento giuridico che sia contro ogni lotta in generale, che non sia pensato come strumento nella lotta di complessi di potenza, e che consideri ogni volontà eguale, «sarebbe ostile alla vita […], un attentato all’avvenire dell’uomo, un indice di stanchezza, una via traversa per il nulla»[2]. Insomma, la crudeltà verso se stessi e gli altri diventa un elemento fluidificante del vero nemico: l’oggettività e l’immutabilità dell’ordine.
Proprio ciò che è incapace di fare l’«uomo teoretico» , il «critico senza gioia e senza nerbo», «l’uomo alessandrino bibliotecario» molle e debole che – «non osa più affidarsi al tremendo fiume ghiacciato dell’esistenza» e che «non vuole possedere niente per intero, niente che nel suo interesse comprenda anche tutta la naturale crudeltà delle cose»[3]. I guai iniziano nella seconda dissertazione della Genealogia della morale, quando Nietzsche ci offre una genealogia della coscienza morale in quanto risultato della perversione antivitale che fa nascere nell’uomo l’interiorità come interiorizzazione della crudeltà nella forma della cattiva coscienza.
Com’è possibile dopo secoli di imprigionamento nell’interiorità, uscire dalla prigione, com’è possibile usare la crudeltà verso se stessi e gli altri in modo innocente e cioè vitale, a favore di un tempo a venire? Se nulla è più spaventoso e sinistro della mnemotecnica, se la formazione della memoria (e la capacità di promettere responsabilmente) è stata efficace e non si è prodotta senza sangue, crudeltà, martiri, sacrifici, dovremmo pensare le mnemotecniche contemporanee sulla base di una memoria corta[4], a partire dalla crudeltà come immediatezza mediata dalle tracce lasciate dagli esercizi sulla pelle e dentro i corpi. La memoria corta non è sottomessa, al contrario di quel che può venire in mente, da un’immediatezza rispetto all’oggetto. Può tornare ad una certa distanza temporale, ma rimane comunque corta: ciò che si ricorda con la memoria corta non è la stessa cosa che si riporta alla mente con la memoria lunga (famiglia, razza, società, civiltà). Infatti «la memoria corta comprende il processo della dimenticanza, non si confonde con l’istante, ma con il rizoma collettivo, temporale e nervoso». Il rapporto con il passato è segnato qui da un processo di dimenticanza che è sinonimo di continuità alternativa virtuale ma reale, come nel caso della memoria involontaria in Proust. La responsabilità di un’individualità sta in Proust nel cercare di «ridescriversi nel confronto con la fitta trama degli “io passati”»[5], laddove Benjamin trasponendo molti dispositivi tematici di Proust all’interno del suo ambito di indagine filosofica, considera il passato non più come personale bensì come passato collettivo. Memoria lunga e memoria corta non sono due modi temporali di percezione della stessa cosa, non è la stessa cosa, lo stesso ricordo, non è neppure la stessa idea che colgono.
L’istanza etica sta nel rapportarsi al passato non come se il passato fosse di fronte a noi (noi che siamo rivolti all’indietro), ma come fosse dentro di noi, nella variazione continua dei raccordi, degli orientamenti che ci legano al passato collettivo. “Dentro di noi” nel senso che la visione del passato è «ravvicinata», presa in uno spazio tattile o prensivo[6]. Perdersi nel campo di grano che si sta dipingendo, dipingere il quadro da vicino era la legge del buon pittore secondo Cézanne.
Quando un bambino nella sua crudele onnipotenza[7] dice “sei cattivo/a” (qui il bambino segue la legge fondamentale dell’aggressività[8], per cui il negativo è conclusione di premesse positive, è prodotto dell’attività; il bambino è qui colui che agisce anche se dice “tu sei cattivo” perché la reazione continua ad essere agita[9]; la forza attiva non si è ancora rivolta contro se stessa, il dolore non ancora interiorizzato, la responsabilità non è ancora colpa) hanno in quel momento un tipico rapporto da memoria corta col passato: si sente che il passato dell’azione evocata a cui il bambino si sta riferendo è ancora in gioco, aperta a diversi orientamenti: i raccordi con il passato sono presi in una variazione continua. Ciò che viene tenuto in gioco dal bambino nella sua innocente perversità sono le condizioni genetiche del disporsi di un passato e di un futuro. È questa la rilevanza etica delle crudeli mnemotecniche contemporanee, tutte da creare in base alla memoria corta prospettata da Deleuze.
Proprio ciò che è incapace di fare l’«uomo teoretico» , il «critico senza gioia e senza nerbo», «l’uomo alessandrino bibliotecario» molle e debole che – «non osa più affidarsi al tremendo fiume ghiacciato dell’esistenza» e che «non vuole possedere niente per intero, niente che nel suo interesse comprenda anche tutta la naturale crudeltà delle cose»[3]. I guai iniziano nella seconda dissertazione della Genealogia della morale, quando Nietzsche ci offre una genealogia della coscienza morale in quanto risultato della perversione antivitale che fa nascere nell’uomo l’interiorità come interiorizzazione della crudeltà nella forma della cattiva coscienza.
Com’è possibile dopo secoli di imprigionamento nell’interiorità, uscire dalla prigione, com’è possibile usare la crudeltà verso se stessi e gli altri in modo innocente e cioè vitale, a favore di un tempo a venire? Se nulla è più spaventoso e sinistro della mnemotecnica, se la formazione della memoria (e la capacità di promettere responsabilmente) è stata efficace e non si è prodotta senza sangue, crudeltà, martiri, sacrifici, dovremmo pensare le mnemotecniche contemporanee sulla base di una memoria corta[4], a partire dalla crudeltà come immediatezza mediata dalle tracce lasciate dagli esercizi sulla pelle e dentro i corpi. La memoria corta non è sottomessa, al contrario di quel che può venire in mente, da un’immediatezza rispetto all’oggetto. Può tornare ad una certa distanza temporale, ma rimane comunque corta: ciò che si ricorda con la memoria corta non è la stessa cosa che si riporta alla mente con la memoria lunga (famiglia, razza, società, civiltà). Infatti «la memoria corta comprende il processo della dimenticanza, non si confonde con l’istante, ma con il rizoma collettivo, temporale e nervoso». Il rapporto con il passato è segnato qui da un processo di dimenticanza che è sinonimo di continuità alternativa virtuale ma reale, come nel caso della memoria involontaria in Proust. La responsabilità di un’individualità sta in Proust nel cercare di «ridescriversi nel confronto con la fitta trama degli “io passati”»[5], laddove Benjamin trasponendo molti dispositivi tematici di Proust all’interno del suo ambito di indagine filosofica, considera il passato non più come personale bensì come passato collettivo. Memoria lunga e memoria corta non sono due modi temporali di percezione della stessa cosa, non è la stessa cosa, lo stesso ricordo, non è neppure la stessa idea che colgono.
L’istanza etica sta nel rapportarsi al passato non come se il passato fosse di fronte a noi (noi che siamo rivolti all’indietro), ma come fosse dentro di noi, nella variazione continua dei raccordi, degli orientamenti che ci legano al passato collettivo. “Dentro di noi” nel senso che la visione del passato è «ravvicinata», presa in uno spazio tattile o prensivo[6]. Perdersi nel campo di grano che si sta dipingendo, dipingere il quadro da vicino era la legge del buon pittore secondo Cézanne.
Quando un bambino nella sua crudele onnipotenza[7] dice “sei cattivo/a” (qui il bambino segue la legge fondamentale dell’aggressività[8], per cui il negativo è conclusione di premesse positive, è prodotto dell’attività; il bambino è qui colui che agisce anche se dice “tu sei cattivo” perché la reazione continua ad essere agita[9]; la forza attiva non si è ancora rivolta contro se stessa, il dolore non ancora interiorizzato, la responsabilità non è ancora colpa) hanno in quel momento un tipico rapporto da memoria corta col passato: si sente che il passato dell’azione evocata a cui il bambino si sta riferendo è ancora in gioco, aperta a diversi orientamenti: i raccordi con il passato sono presi in una variazione continua. Ciò che viene tenuto in gioco dal bambino nella sua innocente perversità sono le condizioni genetiche del disporsi di un passato e di un futuro. È questa la rilevanza etica delle crudeli mnemotecniche contemporanee, tutte da creare in base alla memoria corta prospettata da Deleuze.
Note:
[1] F. Nietzsche, Genealogia della morale, Milano, Adelphi 2010, pp. 53-54. [2] F. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 65. [3] F. Nietzsche, Nascita della tragedia, Torino, Einaudi 2009, p. 171. [4] G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2010, p.60. [5] U. Fadini, Tra Benjamin e Deleuze. Un passaggio attraverso Proust in La Condizione transmoderna. Tecnologia, sapere, arte, Aracne 2010, pp. 130-131. [6] G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, cit., p. 582. [7] Si prenda come esempio la sadica Alice in Pinocchio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza (1999); riduzione e adattamento da Carlo Collodi di Carmelo Bene; regia e interprete principale C. B., musiche G. Giani Luporini; scene e maschere T. Fario; costumi L. Viglietti; direttore della fotografia G. Caporali; montaggio F. Lolli; altri interpreti: S. Bergamasco. [8] G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Einaudi, Torino 2002, p. 181. [9] «Possiamo immaginare una disfunzione della facoltà dell’oblio come solidificarsi della cera della coscienza, per cui lo stimolo tenderà a confondersi con la sua traccia nell’inconscio mentre, per contro, la reazione alle tracce affluirà alla coscienza invadendola. Nel medesimo istante, dunque, la reazione alle tracce diventa sensibile e la reazione allo stimolo cessa di essere agita. Le conseguenze sono enormi: non potendo più agire una reazione, le forze attive si ritrovano private delle condizioni materiali in cui potersi esercitare, non hanno più occasione di esplicare la loro attività, sono separate da ciò che è in loro potere» in G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p. 171. |
Silverio Zanobetti
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Le Rubriche di Alphaville
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DIFFERENTI RIPETIZIONI
Discussione tra F. Treppiedi e S. Zanobetti Articolo di Silverio Zanobetti Sistemica
Articolo di Viviana Vacca Artificiale/Naturale
Articolo di Silverio Zanobetti |
La crudeltà innocente
come potenza di affermare Articolo di Silverio Zanobetti Elogio della stanchezza
Articolo di Viviana Vacca Le declinazioni locali
del sistema capitalistico Articolo di Marco Bachini |
EVENTO ECOSOFIA
Articolo di presentazione dell’Evento Ecosofia di Silverio Zanobetti |
Scrivono nella rivista: .
Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Silverio Zanobetti, Fabio Treppiedi, Roberto Zanata, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Francesco Panizzo.
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