Apparizioni rubrica diretta da Francesco Panizzo
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La conta delle lentiggini
di Flavia Ganzenua Ci sono scritture che si rintanano nelle fessure, per scavare all’interno.
Lo scopo è quello di sviscerare la carne dell’uomo, os- servarla da un altro punto di vista. Flavia Ganzenua, l’autrice de La conta delle lentiggini (Caratteri Mobili 2013), propone una raccolta di “cicatrici e vertigini”. Non possiamo parlare di veri e propri racconti, ma di “stratificazione di cose”. L'autrice non accompagna con mano il lettore, ma lo abbandona, ai propri demoni carnali. Tra queste pagine non si leggono storie, siamo di fronte a corpi che si raccontano e si lacerano. La parola diventa, così, un’esigenza primordiale, un bisogno fisiologico. |
Corpi tormentati, straziati, che si cercano per perdersi. Corpi che sprofondano, rinascono, si dissolvono del tutto: Sono un buco. Qualcosa che non torna, che non va come deve andare. La conta delle lentiggini può essere letto come un diario di corpi. Non c’è un io che parla, ma una pelle che desidera conoscersi attraverso le esperienze fisiche. Questa visione dell’autrice non coinvolge soltanto la voce narrante, ma anche il mondo circostante. I paesi si sbriciolano, le cascine si sventrano, le voci si sfilacciano. Il mondo è in continua decomposizione. Tutto è frammento, briciola, pulviscolo. I sentimenti vengono espressi attraverso una fisicità esplorata fino al limite. La possessione dell’altro, come l’amore, non è fatto di parole, ma di ossessione, di coinvolgimento fisico che arriva all’esasperazione. La conseguenza è il rigetto. Il vomito, metafora del veleno d’amore, avverte la necessità di farsi solido, di mostrarsi nella sua immediata materialità: “Mi vomito addosso, sulla maglia, sulle mani, batto fuori tutto: ti vomito. Soltanto adesso il fuori esiste, ed è solido”.
In contrapposizione a questa forza corporea, ritroviamo momenti in cui la materia si li- quefa: “La stanza è immersa in un liquido caldo. Galleggiamo sulla superficie, rattrappiti”. Con i loro continui dolori, i corpi non possono avere certezze. Si disfano, si sfibrano, muoiono. Sprofondano in un abisso, fatto solo di sensazioni. Impossibile capire o analizzare: “Silvia chiude gli occhi e cola giù, a picco, in quel qualcosa di caldo che ancora non capisce”. Le storie di Flavia sono favole dell’irreale, che mescolano dolcezza e crudeltà. Nei momenti in cui la scrittura sembra respirare, e cede alla bellezza, arriva netta la prima ferita. Condividiamo cicatrici, sogni, perdizione. Flavia Ganzenua ci regala, dunque, flussi in continuo movimento, che scuotono e fanno male. Non sono prevedibili e non hanno fine.
Continuano a vagare, per giorni, nella stanza del lettore, come bolle di sapone, che galleggiano, sospese nell’aria, come se volessero restare, per sempre.
Continuano a vagare, per giorni, nella stanza del lettore, come bolle di sapone, che galleggiano, sospese nell’aria, come se volessero restare, per sempre.
Mariella Soldo
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