Apparizioni rubrica diretta da Francesco Panizzo
Anoressia intellettuale È interessante constatare come oggi, nell’epoca in cui l’autorità è annullata dal predominio del gregge irreggimentato nella Rete, i picchi di vendita del viagra siano esattamente il corrispettivo dell’anoressia mentale. Più aumenta il viagra più c’è mentalizzazione della società.
Una mentalizzazione che è una signifi-cazione semiologica di un dire senza barra e senza ironia. |
Ossia il pane è pane e il vino è vino. A è uguale ad A. Uno vale uno. La questione dell’impoten- za che, oggi, è argomento di diversi discorsi, è quindi una significazione semiologica dove l’anoressia intellettuale lascia il passo all’anoressia mentale. E, allora, viene allestito tutto un baraccone tragicomico dove l’uomo
che fa cilecca, l’esperto, il tecnico, l’andrologo e il sessuologo
concorrono a istituire il soggetto impotente da curare con una
polverina o con una formula magica. E così, oggi, grazie all’anoressia
mentale, la soggettività risponde alla perfezione all’obbligo sociale
del gregge. Ma, a ben guardare, la questione dell’impotenza (io non
vengo più), è la stessa di chi dice “io non ho più niente da dire” e
poi, magari, prosegue a dire con un fiume di parole. A volte succede,
però, che chi non ha niente da dire si incaponisca a tal punto che,
per esempio, tutta la cena con la moglie la passa convinto di non
avere niente da dire.
Una significazione semiologica che semplifica e banalizza le cose. Quindi se uno dice che non viene o che non ha più un’erezione è proprio così, è pro- prio vero: egli è impotente! L’impotenza è quindi un abito mentale che si ad- dice alla perfezione all’epoca senza autorità in cui viviamo, ma l’impotenza non esiste. Allora quali sono i modi con cui si enuncia l’anoressia intel-lettuale? Uno dei modi con cui si enuncia l’anoressia intellettuale a proposito del pensiero è “io non penso più”. Ma quando si dice “io non penso più” non viene escluso automaticamente “io penso”. Al contrario si evidenzia come a fianco di questo “io non penso più” ci sia anche “io penso”.
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“Io penso” risulta, allora, un enunciato impossibile da prendere in modo realistico come vero o falso perché ha le proprietà dell’ironia. Questa impossibilità di togliere l’anoressia intellettuale dalla proprietà del pensiero è interessantissimo analizzarla anche per quanto riguarda la fede.
L’idea della fede, infatti, non è tolta nel momento stesso in cui si dice “io non ho più fede”, ma, anzi, con questo enunciato si evidenzia ancor più la portata della fede.
L’idea della fede, infatti, non è tolta nel momento stesso in cui si dice “io non ho più fede”, ma, anzi, con questo enunciato si evidenzia ancor più la portata della fede.
Se invece si dice “la mia fede” o “il mio pensiero” si fa un’operazione antropomorfica, ovvero si mettono al pensiero i panni del soggetto e a Dio i panni dell’uomo, dell’antropos. Per spiegare meglio la portata dell’ano-ressia intellettuale come virtù del rilancio narrativo prendiamo come esempio un assicuratore che trovandosi davanti al suo interlocutore si sente dire: “Io non compro niente”. Qual è il venditore, qual è l’assicuratore, che sentendosi dire ”Io non compro niente” piglia baracca e burattini e se ne va con le pive nel sacco? L’assicuratore intende subito la portata anoressica di “Io non compro niente” e capisce che quello è il momento di redigere il con- tratto. A decidere, quindi, non è l’interlocutore dell’assicuratore ma è la virtù del racconto. E la decisione non appartiene né a Dio, né al padre, né al figlio.
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Appartiene al racconto, appartiene al malinteso, alla produzione poetica del fare. Non spero più, non distinguo più, non penso più, non faccio più, non vengo più, sono tutte proprietà della parola originaria come lo sono, appunto, l’anoressia intellettuale e l’ironia della sorte. Sicché da chi esordisce con “non vengo più” c’è da aspettarsi, subito dopo, performances straordinarie.
Enrico Ratti
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