Un surrealismo del dettaglio nella trasformazione dell’oggetto di Massimo Caccia È un piacere notare come l’influsso orientale di un concetto di arte che si dissocia, o che possiamo definire fortemente alternativo, da quello occidentale possa esercitarsi anche in Italia e nella cultura mediterranea, fatta, più volte, di un pervadere quasi classico e canonico di una letteratura artistica più incline al realismo e alla celebrazione della materialità. |
È un piacere presentare e illustrare la poetica quasi lirica con accenni onirici che ci suggerisce la produzione di Massimo Caccia, giovane artista nato a Desio nel 1970, diplomatosi in pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, pittore e illustratore, tanto da aver creato diverse campagne pubblicitarie per notorie reti televisive, come Tele Più, autore di animazioni e di scenografie, di cortometraggi e di graphic novel. Sarà lo spirito del fumettismo che molto condivide con la cultura nipponica che apportano in Caccia una passione e una dedizione per la trasformazione quasi dinamica e plastica di oggetti presenti nella nostra quotidianità in soggetti viventi e animati, dalle sedie ai tavoli, dai divani alle poltrone, scoprendone quella vitalità ed energia che promanano da uno statico e immobile oggetto, privo di significato nell’ottica e nello sguardo alienato del comune spettatore giornaliero. Parlavamo in Caccia della presenza estetico significativa dell’elemento orientale, filosofia oltre che contenuto di un’arte originale e innovativa, spesso minoritaria nella nostra cultura occidentale. Il nostro occhio, pur non essendo abituato a una visione parziale, quasi accennata ma completa dell’oggetto animato, che si staglia di fronte alla nostra attenzione, stimolando emozioni e sensazioni nuove, apprezza l’evoluzione animistica della produzione dell’autore. La probabilità degli animali irreali, direi quasi surreali, di certo fantastici che Caccia crea nelle proprie tele è la porta che ci conduce e addentra in un mondo onirico, non pervenuto, sconosciuto, prodromico per indurci a riflettere su noi stessi, staccandoci da un dato assillante e ossessivo quale quello temporale e astraendoci da una contemporaneità destinata a terminare e finire, quindi limitativa e limitante.
Lo stesso autore parla di “tilt concettuali e narrativi”: una sospensione dal vissuto vivente per condurci verso un panorama che è irreale, pur ispirandosi al reale, quasi fosse un conduttore verso una dimensione che non ha nessuna caratteristica del presente tangibile e materico, pur celebrandone alcuni elementi oggettivistici che procedono da quest’ultimo, e che ci coinvolge grazie alla sua verisimiglianza fantastica in una misura immaginaria e immaginifica. Il colore nella sua interezza pervade l’opera, quasi ricoprendola: tecnica sublime e geniale in quanto ci porta a dare risalto alla creatura surreale e improbabile che ci viene proposta, un vero e proprio inganno che ci induce in modo voluto e doloso a celebrare forme e superfici altre, presenti nel nostro immaginario collettivo o nel nostro inconscio, celebrazione di un’intimità che diventa espressiva, sfrontatamente pervasiva, sfacciatamente reale. Qualcuno definirà Caccia come, appunto, pittore haiku data la semplicità, nitidezza, sobrietà, delicatezza, essenzialità del suo tratto che rende la figura rappresentata centrale nella tela nel suo complesso. Il minimalismo di Caccia risalta ogni dettaglio, rendendolo parte protagonista principale di un’arte attenta al particolare senza tralasciare il generale, in un continuo compromesso estetico e narrativo che si risolve in una congiunzione virtuosa e vitale. |
Noi percepiamo lo smarrimento, in quanto immersi nella realtà materiale, nel fantastico mondo rappresentato nelle opere di Caccia, sospeso trapassato che sembra esserci, che noi vogliamo trovare e reperire e da cui risulta difficile affrancarsene, un presente visibile nella sua conformazione piatta, molto stratificata, superficiale per la tecnica apposta, e un futuro verso cui la lettura metatestuale iperrealistica e oltre il dato tangibile ci conduce.
Possiamo parlare di surrealismo nella visione onirica della pittura e dell’arte di Caccia solamente se concepiamo questa cultura come origine di opere che partono da oggetti reali definiti in una loro e propria dimensione fantastica, onirica e metempirica, tale da renderla atemporale, quindi infinita ed eterna, e decontestualizzata, quindi universale e onnipresente. Tutto questo destruttura la nostra logicità e la nostra induzione, in noi quasi connaturata, a prefigurare gli scenari, prevedendoli, prevenendoli, preparandoli, quasi come fosse un filtro che ci rende nascosti gli scenari possibili di un’intelligenza creativa e induttiva, non semplicemente deduttiva: un percorso conoscitivo tale da dare peso e rilevanza a quella parte immaginifica che promana da ogni oggetto, dove si fondono e si confondono dettagli, misure, livelli proponendo quel messaggio estetico che è pregno di significato poetico e lirico.
Alessandro Rizzo
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