Rivista d'arte
diretta da F. Panizzo |
Maurits Cornelis Escher L’irreale razionale dei mondi paralleli Sono di patrimonio pubblico certe litografie, xilografie in cui
due mani si disegnano l’una con l’altra, Mani che disegnano (1948),
oppure dove viviamo una trasformazione graduale, quasi fossimo su una scala
evolutiva, in cui pesci diventano uccelli che si librano nel cielo, Cielo
e acqua (1938); oppure, infine, il ciclo infinito, senza soluzione,
quasi vizioso, per- petuo quanto dinamico, di mondi paralleli di persone che
salgono e che scendono una scala chiusa senza incontrarsi, quasi assorti in una
loro autoreferenzialità incomunicante, Salita e discesa (1960).
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Stiamo parlando di alcune delle migliaia di opere del noto grafico artista M.
C. Escher e abbiamo cercato di reinterpretare in modo sommario, con questa
presentazione, che è prefazione, ciò che lui stesso definiva essere non
interpretabile o, comunque, una volta l’opera sia stata presentata al pubblico,
suscettibile di varie interpretazioni e considerazioni. Hanno un significato i lavori di Escher? È una domanda che ritorna forte e determinata, quasi incalzante, quando alle composizioni decisamente astratte, seppure fondate su nozioni di matematica molto attente e puntuali, quindi elementi scientifici, quasi oggettivi, universali, si vogliono attribuire dei significati reconditi, quasi nascosti: messaggi che appartengono a un linguaggio indefinito, onirico, evanescente, psicologico, intimo, recondito.
La produzione di Escher si basa su un inganno: il gioco delle forme, degli spazi, delle coperture dei piani, della loro confusione pur nella loro linearità, creano delle vere e proprie illusioni non facilmente inquadrabili con un banale gioco di luci e di ombre ma, bensì, con uno studio particolare e minuzioso delle geometrie, elementi protagonisti principali dell’intera opera. Eschersurrealisti o come uno dei fondatori dell’Optical Art, concedendo alla produzione un’aurea quasi onirica, astratta, confusa, impercettibile e introspettiva. L’artista olandese ha due srumenti di lavoro con cui ama relazionarsi e confrontarsi ogni volta che si accinge a realizzare la propria opera: la prospettiva diffusa su una visione stranita della percezione. Oggetti impossibili si incontrano e si confrontano come nel Triangolo di Penrose; o, semplicemente, illusioni ottiche, affascinanti percezioni che scavano nel nostro animo, proiettandoci in qualcosa di non tangibile, magari inquietante, ci conducono verso una visione che tocca le nostre ossessioni più nascoste, proprio perchè raffiguranti oggetti indefinibili e non categorizzabili. non è definibile come artista: qualcuno ha cercato, magari preso dalla solita vena critica, verso cui l’artista ha sempre espresso una certa diffidenza, di includerlo tra la scuola dei surrealisti o come uno dei fondatori dell’Optical Art, concedendo alla produzione un’aurea quasi onirica, astratta, confusa, impercettibile e introspettiva. L’artista olandese ha due srumenti di lavoro con cui ama relazionarsi e confrontarsi ogni volta che si accinge a realizzare la propria opera: la prospettiva diffusa su una visione stranita della percezione. Oggetti impossibili si incontrano e si confrontano come nel Triangolo di Penrose; o, semplicemente, illusioni ottiche, affascinanti percezioni che scavano nel nostro animo, proiettandoci in qualcosa di non tangibile, magari inquietante, ci conducono verso una visione che tocca le nostre ossessioni più nascoste, proprio perchè raffiguranti oggetti indefinibili e non categorizzabili. Ci riferiamo, così, al Cubo di Necker, o al dodecaedro stellato fatto da teste di rettili che spuntano violentemente nel celeberrimo dipinto Gravità.
La produzione di Escher si basa su un inganno: il gioco delle forme, degli spazi, delle coperture dei piani, della loro confusione pur nella loro linearità, creano delle vere e proprie illusioni non facilmente inquadrabili con un banale gioco di luci e di ombre ma, bensì, con uno studio particolare e minuzioso delle geometrie, elementi protagonisti principali dell’intera opera. Eschersurrealisti o come uno dei fondatori dell’Optical Art, concedendo alla produzione un’aurea quasi onirica, astratta, confusa, impercettibile e introspettiva. L’artista olandese ha due srumenti di lavoro con cui ama relazionarsi e confrontarsi ogni volta che si accinge a realizzare la propria opera: la prospettiva diffusa su una visione stranita della percezione. Oggetti impossibili si incontrano e si confrontano come nel Triangolo di Penrose; o, semplicemente, illusioni ottiche, affascinanti percezioni che scavano nel nostro animo, proiettandoci in qualcosa di non tangibile, magari inquietante, ci conducono verso una visione che tocca le nostre ossessioni più nascoste, proprio perchè raffiguranti oggetti indefinibili e non categorizzabili. non è definibile come artista: qualcuno ha cercato, magari preso dalla solita vena critica, verso cui l’artista ha sempre espresso una certa diffidenza, di includerlo tra la scuola dei surrealisti o come uno dei fondatori dell’Optical Art, concedendo alla produzione un’aurea quasi onirica, astratta, confusa, impercettibile e introspettiva. L’artista olandese ha due srumenti di lavoro con cui ama relazionarsi e confrontarsi ogni volta che si accinge a realizzare la propria opera: la prospettiva diffusa su una visione stranita della percezione. Oggetti impossibili si incontrano e si confrontano come nel Triangolo di Penrose; o, semplicemente, illusioni ottiche, affascinanti percezioni che scavano nel nostro animo, proiettandoci in qualcosa di non tangibile, magari inquietante, ci conducono verso una visione che tocca le nostre ossessioni più nascoste, proprio perchè raffiguranti oggetti indefinibili e non categorizzabili. Ci riferiamo, così, al Cubo di Necker, o al dodecaedro stellato fatto da teste di rettili che spuntano violentemente nel celeberrimo dipinto Gravità.
Diverse sono state le fasi che hanno ricoperto l’evo-luzione poetica e stilistico compositiva dell’artista: l’Italia ha dato molti spunti di ispirazione per alcune sue opere, in una fase di superamento della fase giovanile, quella più decorativa tipica della scuola di Architettura e Arti Decorative di Haarlem, frequentata sotto l’egida di Samuel Jesserum de Mesquita, che lo seguì nella sua formazione fino al 1944, anno in cui figlio e moglie di quest’ultimo furono deportati nei campi di sterminio sot- to l’infernale regime sanguinario nazifascista.
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Abile incisore su materiale ligneo, Escher visiterà l’Italia, quindi, e la Spagna, dove sarà letteralmente colpito dai particolari arabeschi di Granada, cercando di riproporre quegli schemi quasi seriali di geometrie e forme che si ripetono in modo calibrato ed equilibrato, costruendo disegni inventati e reinventati, definiti nella loro dinamicità e nella loro ispirazione ottica, attraente e coinvolgente. In Italia Escher troverà forte ispirazione da un “paese fantasma” calabrese, atmosfera di indefinitezza e di atemporalità, utile a dare risalto alla ricerca matematica della composizione tecnica della sua produzione: parliamo di Pentedattilo, la cui suggestione naturale porterà Escher a definire nuove incisioni con un approfondimento dei dettagli prospettici quasi architettonici. Nella produzione dell’artista olandese l’influenza architettonica porta a definire strutture complesse, che portano in viaggi paralleli su atmosfere e galassie dove la gravità, elemento fisico, non sussiste o, comunque, sussiste con norme comportamentali totalmente differenti. Motivi grafici si ripetono nelle tassellazioni di Escher fino a delineare una poetica com- positiva e stilistico estetica che si calibra su cinque architrave interpretativi. La genialità artistica porta l’autore a fare assaporare quel legame superficialmente derubricabile come impossibile tra l’arte e la matematica: si registra, così, un contesto di surrealismo, seppure l’autore non sia canonicamente classificabile come artista surreale, soprattutto nella fase ultima della sua produzione, quella in cui si troverà dover fare ritorno in Olanda, riprendendo i paesaggi foschi e grigi, freddi e invernali del proprio paese. Un senso di infinito, di continuativo, di forte spiralità e, infine, di autoreferenzialità si registrano nelle opere di Escher tanto da individuare una convergenza tra logicità, presupposto quasi fondante la sua arte stilistica, e irrazionalità, tipica della creatività estrosa dell’autore. Si passa, così, come soggettistica dalle forme naturali, ripercorse nelle prime produzioni della fase espressionista tedesca perseguita dal giovane Escher, alle forme che si intersecano nel loro essere finite e infinite, possibili e impossibili, definite e indefinite, quasi concependo una tela in cui si incontrano e confrontano, con una conseguente illusione ottica senza precedenti, elementi reali con elementi inventati, totalmente metareali, quasi fantastici possiamo dire, spesso posti nell’opera in una posizione che copre una vicina superficie, tanto da scavare spazi nuovi di indefinitezza e di nuove ricerche estetico contenutistica. Dimensioni che sono coperte, risultano celate e nascoste, e dimensioni che si costruiscono attraverso l’immaginazione in un gioco prospettico nuovo e dirompente in un passaggio di scala che vedono un ridimensionamento delle figure e una loro riproposizione inducente a una riflessione su un significante che diventa significato.
La dimestichezza con la materia architettonica è talmente elevata in Escher da indurlo a progettare sce- nari e scenografie illusioniste, im- possibili, irreali, insussistenti in quanto improbabili, arrivando a da- re rilievo a quegli effetti ottici, che solo una costruzione autorevole e sa- piente di una formazione a tutto- tondo artistica può rilevare, facendo leva su una sovrapposizione e su ri- petizioni di diversi piani composi- tivi.
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tivi Escher non fa segretezza della componente scientifica delle sue o- pere: si sente più prossimo ai mate- matici rispetto ai suoi colleghi.
Chiarezza e definitezza del segno e del tratto sono le parti strutturanti di una tecnica che si alimenta di lo- gicità, rilevando, ed è qui la con- traddizione poetica che crea l’arte incommensurabile di Escher, un’es- tetica che si fonda su alcuni equivoci, ossia la linearità della figura rappre- ssssss |
sentata in un contesto rappresentativo geometrico-formale, funzionale per rilevare la recondita bellezza del lavoro.
L’illusione dovuta agli effetti ottici è lo strumento propedeutico a dare rilievo all’opera nella sua unicità. Ci domandavamo chi fossero i “maestri” o, semplicemente, “riferimenti” a cui Escher si è ispirato. Si parla di un’affinità a volte lampante con Magritte o con Albers e Vasarely nel cui solco si segna la già citata Optical Art. Escher non appartenerà a nessun codice estetico prestabilito o di “bandiera”, perchè risulta non essere accademico, seppure spesso ingiustamente licenziato come virtuoso e non artista universale. Ernst, Dalì, Mirò e Calder non saranno altro che elementi che si troveranno nelle opere dell’artista olandese, come fossero rimandi non voluti né ponderati ma, bensì, dovuti a una semplice e casuale riproposizione. La specularità e la rivisitazione di strumenti che deformano e formano nuove visioni oggettivistiche sono in Escher gli indici di un’ambientazione non identificabile, che riporta alla memoria gli antesignani di questa tecnica che diventa estetica, Hieronymous Bosch e Van Ejck ne I coniugi Arnolfini, dove la rappresentazione totale della coppia viene ripresa come rispecchiata in uno specchio tondeggiante, leggermente convesso. Escher amerà la Scuola fiamminga, così come il Gotico di scuola toscana, fino a giungere a ridefinire figure del calibro de Il Parmigianino, Velazquez, Piranesi e de L’Arcimboldo, con i suoi giochi illusionistici di composite forme naturali.
L’illusione dovuta agli effetti ottici è lo strumento propedeutico a dare rilievo all’opera nella sua unicità. Ci domandavamo chi fossero i “maestri” o, semplicemente, “riferimenti” a cui Escher si è ispirato. Si parla di un’affinità a volte lampante con Magritte o con Albers e Vasarely nel cui solco si segna la già citata Optical Art. Escher non appartenerà a nessun codice estetico prestabilito o di “bandiera”, perchè risulta non essere accademico, seppure spesso ingiustamente licenziato come virtuoso e non artista universale. Ernst, Dalì, Mirò e Calder non saranno altro che elementi che si troveranno nelle opere dell’artista olandese, come fossero rimandi non voluti né ponderati ma, bensì, dovuti a una semplice e casuale riproposizione. La specularità e la rivisitazione di strumenti che deformano e formano nuove visioni oggettivistiche sono in Escher gli indici di un’ambientazione non identificabile, che riporta alla memoria gli antesignani di questa tecnica che diventa estetica, Hieronymous Bosch e Van Ejck ne I coniugi Arnolfini, dove la rappresentazione totale della coppia viene ripresa come rispecchiata in uno specchio tondeggiante, leggermente convesso. Escher amerà la Scuola fiamminga, così come il Gotico di scuola toscana, fino a giungere a ridefinire figure del calibro de Il Parmigianino, Velazquez, Piranesi e de L’Arcimboldo, con i suoi giochi illusionistici di composite forme naturali.
Possiamo trovare in Escher anche riferi- menti vivi di un Caravaggio, senza esage- rare nella comparazione, oppure di un Se- urat, così come di un Cezanne, di un Piero della Francesca, di un Paolo Uc- cello, di un Bosch, così come di contem-poranei del calibro di Malevic e Mon- drian. La ripetitività di alcune forme ge- ometriche che portano a concepire il lavoro di rereere
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di definizione dell’opera come un puzzle compositivo e composito è in Escher talmente viva, che riporta la valenza estetica di una geometria pura e di una ricerca matematica razionale, presupposti per un irrazionalità generale. Le xilografie e le tassellazioni sono i supporti che rendono più vivo questo effetto tanto da essere palesi in opere quali Sempre più piccolo (xilografia) del 1959 e Limite del cerchio III (xilografia), dove si gioca sulla geometria del piano, rilevando una certa dimestichezza dell’autore con i suoi strumenti di lavoro, intrapresi con un certo senso di leggiadria e di leggerezza, tali da rendere non appesantito il risultato estetico compositivo finale. Oltre alla serialità si può apprezzare nei lavori di Escher la trasformazione della figura da iniziale a finale, come già annunciato: un mo- vimento che rende dinamica la composizione in un effetto evolutivo che è quasi suggestivo del divenire nello spazio, ricelebrando la portata quasi oggettiva e materica di quest’ultimo. Siamo, così, approdati in Metamorfosi, xilogra- fia del 1967-1968 che ci introduce nella dimensione dei mondi paralleli, delle vite parallele, delle esistenze paral- lele.
In Relatività si
celebra appunto la contraddizione di figure che non si sovrappongono ma che
agiscono parallelamente, in modo quasi contiguo, senza scadere nell’incertezza
del tratto compositivo ma, bensì, ricalcando quella doppiezza e quella
ripetizione, appunto, di movimenti dinamici e matematicamente
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calibrati,
scanditi. La litografia di Escher porterà quasi anatomicamente a sug- gerire nuovi equilibri seriali, in uno scandire sempre uguale ma non banale e
scontato dell’incedere dei soggetti, do- ve l’alzata, si dice, è uguale alla pedata: elementi, questi, comportamentali di un andamento che nella naturalezza reale risulta essere |
risulta essere differenziato tra soggetto e soggetto. L’improbabilità della composizione nella sua generalità porta, quindi, a ingannare lo spettatore, intrappolato dalle maglie dell’illogico logico, dell’irrazionale razionale, dell’impossibile possibile, di un
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metafisico verosimile, in
cui le immagini sono quasi semplificate, sobrie nella loro portanza, in
un contesto che risulta essere pros- pettico ma, allo stesso tempo, sobrio e semplice. Lo stile di Escher ha suggerito nuove ispirazioni per fumettisti posteri- |
ori, senza scadere in un effetto riduttivo della portata dell’artista ma, bensì, dandogli un nuovo tributo e rico- noscimento autorevole. L’arte di Escher rappresenta, pur giocando sull’illogicità e l’impossibilità dell’ambiente e del soggetto narrati nelle proprie tele, un mondo improbabile pur vivendo di oggetti realmente esistenti. Il pubblico rimane estasiato a contemplare, come fosse davanti a uno spettacolo di creatività prestigiosa, il lavoro di un artista che ha voluto rilevare, con i paradossi intrapresi dalla matematica e dalla scienza, le basi fondanti della propria produzione in una continua evoluzione. Non si creano dubbi o non si vuole indurre lo spettatore in ricerche filo- logiche esistenziali, quasi cerebrali, ma, semplicemente, divertirlo e intrattenerlo in una visione parossistica vivace che parte dalla logicità oggettiva della geometria per giungere a una confusione voluta e consapevole dei soggetti del reale, in una loro proposizione autoreferenziale, seriale, ripetitiva e sovrapposta. In questo si gusta l’irreale razionale di un surrealismo particolare dell’autore olandese: a ciascuno la sua interpretazione dell’opera di Escher, è con- sentito dallo stesso celeberrimo artista.
Alessandro Rizzo
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