Psychodream Review Rubrica diretta da Viviana Vacca e Francesco Panizzo
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L’araldo a cavallo torna a
proclamare a Firenze il bando di cattura che nel 1513 fu annunciato in 52
luoghi della città, lasciando messer Niccolò Machiavelli senza scampo.
Dal suo esilio di Sant’Andrea
Percussina (San Casciano), Machiavelli cominciò a dedicarsi alla stesura del
trattato politico Il Principe: se ogni pregiudizio conosce un fondo di
autenticità, mai condizione fu più “critica” e “precaria” per le teorizzazioni
sulle doti politiche ideali del capo di governo. “Precario”, “incerto”, “crisi”
(individuale, collettiva) sono le parole esplosive di una costellazione
semantica che, con ritmi cadenzati, attraversa il nostro tempo.
Lo attraverso spesso come una
litania: finiti i tempi di salvifici o messianici cambiamenti, si suona il gong
della riflessione della rassegnazione, dimentica della nostalgia che solo il
futuro riserva (a differenza del passato). Spesso però, la “fine” è
analizzata con intelligenza, sguardo lucido, senza auto- compiacimenti. E
soprattutto partendo da eventi unici, “microeventi” che spezzano la routine
degli inizi e delle fini.
Fausto Paravidino, talento dal
respiro internaziona- le, è uno dei più vitali drammaturghi e uomini di teatro,
capaci di incidere il presente con rinnovata “attualità”.
Da Noccioline a Diario di Mariapia – stenografia sotto det- tatura delle impressioni di una madre che sta per morire e viene condotta a una nuova vitalità da un figlio che scrive – la scrittura tesa, pulita e semplice ha portato Paravidino a organizzare un ciclo di laboratori di scrittura teatrale dal titolo programmatico: Crisi. Il laboratorio si svolge al Teatro Valle Occupato di Roma, l’unico luogo in Italia diretto da giovani e dove si stia cercando di fare del “presente”. In questo labo- ratorio Paravidino mette insieme attori e scrittori, (tre testi da cui partire: il Libro di Giobbe, I due gen- tiluomini di Verona e un testo sulla finanza). |
Crisi
è innanzitutto un’esperienza formativa il cui fine è la formazione in sé: la
creazione teatrale ha un ciclo che necessita della formazione di tutti i
soggetti coinvolti, tale da portare a un teatro vivo. Vivo perché capace di
essere lo spazio delle scritture sceniche contemporanee. La scrittura di Paravidino si fa
vita nelle pieghe della precarietà contemporanea, capace di descrivere scenari
del “pressapoco” e del “quotidiano” con un’insolita grazia e straordinaria
lucidità. Exit è una commedia molto ben scritta, in
prima assoluta al Teatro Stabile di Bolzano. Come tutte le commedie ben scritte, tutto è sfumato e fuori fuoco: accennato. «Le cose non sono mai semplici come minacciano di essere». Accennate, con il rischio di essere minac-ciose, le
cose accadono di notte, secondo un filo che – come racconta l’autore – lega la
sua ultima commedia allo spettacolo E la notte canta di Jon Fosse, norvegese
dagli scenari brillanti e meno ghiacciati delle lame delle Scene da un
matrimonio di Bergman. Se “alcune
coincidenze portano al nord” – direbbe Paravidino – il primo atto della
commedia comincia come le notti norvegesi, che della Casa di Bambola di Ibsen non conservano neanche le mura: un uomo
legge, una donna lo guarda e gli domanda che cosa legge. L’uomo e la donna
sarebbero una coppia, una di quelle a cui manca qualcosa. Qualcosa non funziona
più. Quel qualcosa ha contorni slabbrati tali da comprendere la politica, il
non avere o avere i figli, il sesso e la gelosia. Ma soprattutto – finiti i
tempi del gioco a massacro caro a Bergman – comprende la storia dei calzini. La
coppia implode, l’uomo e la donna escono fuori di casa, forse c’è anche una
resa dei conti. Nessun dramma, nessuna soluzione definita al problema.
Piuttosto la lieve gravità degli incidenti in bilico, in bilico come i calzini.
O come la politica.
Exit si racconta come se lo specchio accennasse di sfuggita la radiografia di una relazione di coppia che collassa, a causa degli elenchi sfiniti e estenuanti di giustificazioni. Il gioco delle coppie che conosce poco le logiche dell’azzardo a favore di quelle più concilianti del possesso vive tra sviamenti, elusioni, menzogne. E imbarazzi. Imbarazzanti sono i calzini, regalo sorprendente di un terzo atto che scivola sulla défaillance di un compleanno dimenticato. E sul finire – la fine è sempre una decisione, un prendere posizione – si esce. Verso nuovi rapporti, interscambi che diventano sempre di più rinnovate occasioni per ricominciare, con banalità, a sentirsi goffi, inadeguati, mal compresi. Dei calzini a righe. Corrono veloci le notti di Fausto Paravidino, perché così corre la vita, la politica, i figli.
In tempi di crisi, quando la crisi si chiamava anche rottura e cambiamento, le scene erano sempre due: prima scena dolce, seconda malvagia. Un frammento, non più che un torso, senza braccia e senza gambe, come nella Solitudine dei campi di cotone di Koltès “mi dica la cosa che desidera e io gliela darò con calma, con rispetto, forse con affetto.”
Nelle notti di Paravidino, machiavellico drammaturgo, le scene si compongono come si compongono i trattati: in fuga, delineando, accennando.
Exit si racconta come se lo specchio accennasse di sfuggita la radiografia di una relazione di coppia che collassa, a causa degli elenchi sfiniti e estenuanti di giustificazioni. Il gioco delle coppie che conosce poco le logiche dell’azzardo a favore di quelle più concilianti del possesso vive tra sviamenti, elusioni, menzogne. E imbarazzi. Imbarazzanti sono i calzini, regalo sorprendente di un terzo atto che scivola sulla défaillance di un compleanno dimenticato. E sul finire – la fine è sempre una decisione, un prendere posizione – si esce. Verso nuovi rapporti, interscambi che diventano sempre di più rinnovate occasioni per ricominciare, con banalità, a sentirsi goffi, inadeguati, mal compresi. Dei calzini a righe. Corrono veloci le notti di Fausto Paravidino, perché così corre la vita, la politica, i figli.
In tempi di crisi, quando la crisi si chiamava anche rottura e cambiamento, le scene erano sempre due: prima scena dolce, seconda malvagia. Un frammento, non più che un torso, senza braccia e senza gambe, come nella Solitudine dei campi di cotone di Koltès “mi dica la cosa che desidera e io gliela darò con calma, con rispetto, forse con affetto.”
Nelle notti di Paravidino, machiavellico drammaturgo, le scene si compongono come si compongono i trattati: in fuga, delineando, accennando.
Viviana Vacca
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