Rivista d'arte
diretta da F. Panizzo |
Uno dei concetti politico-filosofici che maggiormente potrebbe ancora influenzare un compositore nel suo intento di scrivere musica “impegnata” potrebbe, però, essere quello ereditato dalla filosofia della prassi di natura gramsciana con particolare riferimento alla relazione tra struttura e sovrastruttura. Partendo da un'attenta analisi della Critica dell’economia politica di Marx, Gramsci arrivò a considerare la relazione tra struttura e sovrastrutture come un rapporto assolutamente interrelato e reciproco. Scrive Gramsci in proposito: “Se gli uomini acquistano coscienza del- la loro posizione sociale e dei loro compiti nel terreno delle superstrutture, ciò significa che tra struttura e super-struttura esiste un nesso necessario e vitale”. Da un punto di vista estetico l’interazione fra questi due momenti com- porta per Gramsci il fatto che l’espressione artistica, in quanto appartenente alle sovrastrutture, non è né autonoma e distaccata da quello che è l’aspetto pratico-economico dell’uomo, né è solo un meccanico rispecchiamento di esso.
iL’arte, attraverso la sua facoltà comunicativa, deve acuire la coscienza
dell’essere umano, ossia deve cercare di mediare a partire dalle sue
intrinseche strutture este- tiche un contenuto di consapevolezza critica, una
pre- messa di sovversione politica. Scrive ancora Gramsci: “In- tanto si può dire che mentre l’ossessione politico-econo- mica (pratica, didascalica) distrugge l’arte, la morale, la filosofia, invece queste attività sono anche ‘politica’. Cioè la passione economico-politica è distruttiva quando è esteriore, imposta con la forza, secondo un piano presta- bilito [...] ma può diventare implicita nell’arte ecc. quan- quammmmmmmmmmndo
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do il processo è normale, non violento, quando tra struttura e
superstrutture c’è omogeneità [...]”.
In quanto sovrastruttura, anche la musica deve essere quindi considerata gramscianamente un terreno in cui determinati gruppi sociali prendono coscienza del proprio essere sociale, della propria forza, dei propri compiti, del proprio divenire. Proprio in questa direzione si deve forse intendere il concetto di assoluta identità fra musica e politica che ha spinto negli sessanta il compositore veneziano Luigi Nono alla provocatoria asserzione: “Ho capito che non c’è differenza se scrivo una partitura o se organizzo uno sciopero. Sono solo due aspetti di un’unica cosa. Per me non c’è più differenza tra musica o politica”.
Tali parole, intese come semplice rapporto di causa-effetto, risultano essere evidentemente infondate, come del resto ne era più che cosciente lo stesso Nono, il quale infatti, in numerose circostanze, disse che “sicuramente una partitura può dare vita a una rivoluzione tanto poco quanto un quadro, una poesia o un libro”. Se quella dichiarazione viene però interpretata nel senso di un rapporto di reciprocità o di omogeneità fra struttura e sovrastruttura, ossia della possibile capacità di consapevolizzare le persone da parte dell’arte, ad essa possiamo allora attribuire un ben altro significato. Per quanto pronunciata in termini critici, si tratta infatti di una posizione che è generata dal concetto gramsciano di ‘filosofia della prassi’, un pensiero volto a oltrepassare la separazione fra la dimensione teorica e la dimensione pratica dell’essere umano. L’unione di struttura e sovrastrutture, di teoria e prassi non deve essere cioè presa in considerazione come confusa identità di una dimensione spirituale ed una materiale, ma come l’influenza reciproca tra due ambiti distinti i quali, al tempo stesso, non sono da contrapporre gerar-chicamente.
In quanto sovrastruttura, anche la musica deve essere quindi considerata gramscianamente un terreno in cui determinati gruppi sociali prendono coscienza del proprio essere sociale, della propria forza, dei propri compiti, del proprio divenire. Proprio in questa direzione si deve forse intendere il concetto di assoluta identità fra musica e politica che ha spinto negli sessanta il compositore veneziano Luigi Nono alla provocatoria asserzione: “Ho capito che non c’è differenza se scrivo una partitura o se organizzo uno sciopero. Sono solo due aspetti di un’unica cosa. Per me non c’è più differenza tra musica o politica”.
Tali parole, intese come semplice rapporto di causa-effetto, risultano essere evidentemente infondate, come del resto ne era più che cosciente lo stesso Nono, il quale infatti, in numerose circostanze, disse che “sicuramente una partitura può dare vita a una rivoluzione tanto poco quanto un quadro, una poesia o un libro”. Se quella dichiarazione viene però interpretata nel senso di un rapporto di reciprocità o di omogeneità fra struttura e sovrastruttura, ossia della possibile capacità di consapevolizzare le persone da parte dell’arte, ad essa possiamo allora attribuire un ben altro significato. Per quanto pronunciata in termini critici, si tratta infatti di una posizione che è generata dal concetto gramsciano di ‘filosofia della prassi’, un pensiero volto a oltrepassare la separazione fra la dimensione teorica e la dimensione pratica dell’essere umano. L’unione di struttura e sovrastrutture, di teoria e prassi non deve essere cioè presa in considerazione come confusa identità di una dimensione spirituale ed una materiale, ma come l’influenza reciproca tra due ambiti distinti i quali, al tempo stesso, non sono da contrapporre gerar-chicamente.
Nella Filosofia della musica mo- derna Adorno sosteneva la politicità del rapporto fra compositore e mate- riale: “la lotta dialettica del composi- tore con il materiale è anche lotta con la società, proprio nella misura in cui quest’ultima ha migrato nel- l’opera e non sta più di fronte alla ccccccccc |
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produzione artistica come un fat- tore puramente esteriore o etero-nomo”. Non è infatti azzardato scrivere che Adorno abbia estrat- to e distillato dalla prassi compo-sitiva il suo principio filosofica- mente più cogente, ovvero quello di dialettica negativa. Roberto Zanata
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