Assieme ad altri capolavori come Il punto in movimento e altri grandi scritti sul teatro, Lo spazio vuoto, pubblicato nel 1968 è considerato ancor oggi uno dei saggi teorici più importanti della storia del teatro contemporaneo; un grande vuoto ha lasciato nello spazio del teatro mondiale la dipartita del suo autore.
Peter Brook, genio eclettico, ha lasciato un’eredità che va oltre ai limiti imposti dal mercato dell’arte ed entra di diritto nella galassia degli autori magistralmente universali, e non solo in termini di levatura del suo apporto al teatro e alla cultura ma anche per quelli dell’uomo. Io che ho bevuto e praticato secondo le sue ricerche teatrali ricordo con nostalgia l’esperienza dal vivo di un suo spettacolo, alto gradino di un percorso fatto di grandi opere: La Tragédie de Hamlet di Shakespeare, con il quale fece debutto la rassegna della Biennale del 2002, dedicata al bardo inglese. Al Teatro delle Tese di Venezia, Brook propose non solo uno spettacolo magistrale in lingua francese e con un Amleto di colore a rimarcare, ce ne fosse stata la necessità, dell’impegno politico dell’artista, della sua lotta all’apartheid, ma per l’occasione dell’evento Biennale teatro Danza propone anche lezioni di teatro, spiega agli astanti quanto siano importanti la naturalezza e l’immediatezza come caratteristiche imprescindibili dell’attore e molto altro.. Elargisce sapere e conoscenza come solo i grandi vate riescono a fare. Brook fa intendere attraverso il suo sguardo, la possibilità di vedere un secolo teatrale in luce e capire quanto brillante sia la lungimiranza di questo suo sguardo sbrilluccicante. Ha segnato l’evoluzione di importanti studi sociologici, l’adolescenza e di conseguenza la vita, di molti fortunati suoi spettatori con film quali: Mahabharata, Il signore delle mosche, Re Lear, Tell Me Lies, Incontri con uomini straordinari e altri ancora. Quest’ultimo da considerare con un occhio di riguardo, basato sulla vita del mistico Gurdjieff quale omaggio sia al gran divulgatore e rivoluzionatore della via del sufismo, sia sulla scoperta degli insegnamenti del maestro e dei risvolti che questa scoperta avrà negli insegnamenti che impartirà di lì in poi. Insegnamenti che faranno la misura della sua carriera e del suo apporto generale al mondo dell’arte performativa, sia teatrale che cinematografica. Un percorso che culmina nel suo The Tightrope, ultimo film del 2012 definito il suo testamento spirituale. Ha lasciato un’eredità sfaccettata di conoscenze e ispirazioni. Ci ha insegnato cosa sono “Il teatro mortale”, “Il teatro sacro”, “Il teatro rozzo” e “Il teatro immediato” che le fasi più importanti per una buona realizzazione teatrale sono sempre le stesse: la ripetizione, le prove e la rappresentazione. Fasi che però acquisiscono rilevanza e caratura maieutiche se spiegate a dovere e dal suo punto di vista. In buono stile grotowskiano, ha educato molta attenzione alla pulizia e alla essenzialità del gesto, ha depistato ogni possibilità di immedesimazione dello spettatore attraverso la drammaturgia, la scena e il lavoro sui suoi personaggi teatrali, aprendo alle teorie di Brecht, Kantor e a una sua concezione del teatro della crudeltà di Artaud, fino ad attraversare il Terzo teatro e a traslare con somma maestria il movimento dell’attore della scena teatrale nella resa cinematografica del mythos impersonale del movimento dei fotogrammi, mantenendo una linea poetica sempre fine e geniale tra teatro e cinema. Lo hanno ben appreso i vari Pasolini, Bene, Ronconi e altri celebri maestri. Come i più grandi si è abbeverato dai più grandi. Si è confrontato con la loro conoscenza esperita e tramandata al mondo, ma con un occhio sempre molto attento a quello che è possibile apprendere dai ragazzi di vita, nel suo caso in Sud Africa. L’eredità lasciata da Peter Brook, assieme al suo lavoro è enorme e di grande valore umano, politico, sociologico e sociale, come detto, universale. Francesco Panizzo
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