Latini incontra Testori Teatro Palladium, Roma, domenica 13 ottobre 2019
Articolo di Bruna Monaco
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Nel 1988 debuttava a Milano uno spettacolo che destò scandalo non solo per i temi che trattava, ma anche per il suo linguaggio sofisticato, tagliente, a volte persino triviale, blasfemo. Era In exitu di Giovanni Testori, un drammaturgo abituato agli scandali: alla sua Arialda, negli anni ‘60, fu addirittura impedito dalla censura di andare in scena.
L’ambientazione e le tematiche di In exitu non sono lontane da quelle dell’Arialda e, nonostante fossero trascorsi più di vent’anni, nonostante ci fosse stato il ‘68 e la liberazione dei costumi, si gridò ancora allo scandalo. Gino Riboldi, protagonista del monologo di In exitu che Testori stesso ha adattato dal suo romanzo omonimo, vive nella Milano proletaria delle periferie; è un giovane tossicodipendente omosessuale, un marchettaro e, negli ultimi momenti della sua vita, ricorda e bestemmia il proprio passato, inveisce contro le violenze subite e compiute, urla in faccia al pubblico la propria miseria. Ora sono passati altri vent’anni da quel 1988 e, al teatro Palladium di Roma, Roberto Latini dà nuova vita e nuova voce a quel reietto di Gino Riboldi. Latini sceglie una scena astratta, simbolica: non la stazione centrale di Milano, dove effettivamente si svolge l’azione, ma un luogo indefinibile, delimitato da lenzuola candide che cadono morbide dall’alto e sembrano evocare il biancore dell’eroina. Fra i materassi matrimoniali collocati al suolo che intralciano il suo incedere, Latini si sposta come zoppicando: in mano ha un microfono con asta ma senza base, sorta di bastone su cui l’attore indugia nei momenti di debolezza, che brandisce in quelli di rabbia. Le musiche, come sempre di Gianluca Misiti e come sempre presentissime, immettono da subito in un ambiente sonoro che sottolinea la violenza e la disperazione del protagonista. L’impressione del dolore e dell’incombenza di una catastrofe colgono lo spettatore dai primi minuti dello spettacolo. Tutto resta però, per lungo tempo, nella sfera del percepito. Il testo di Giovanni Testori, già così complesso, frammentario, una partitura linguistica ibrida che mischia latinismi e italiano regionale lombardo, una lingua che è quasi più pensata che parlata, più simile al linguaggio endofasico che a quello colloquiale, ulteriormente distorto dalla lettura espressionista di Latini risulta quasi inintelligibile. Ed è un peccato, perché in altri spettacoli (dal vecchio Caligola al più recente I giganti della montagna) il vigore interpretativo di Latini, la sua capacità di attraversare i registri vocali, la sua presenza scenica avevano dato forza espressiva ai testi facendone emergere in modo poetico i sentimenti più profondi. Bruna Monaco
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