Alla Biennale Teatro 2018 va in scena la prima trilogia di lavori dedicata a Vincent Thomasset, costituita da Lettres de non-motivation, Ensemble ensemble e Medail décor.
Vincent Thomasset è un autore, scrittore di monologhi che è divenuto performer e che in seguito si è trasformato in coreografo. I suoi diversi e successivi attraversamenti dei mezzi utilizzati e utilizzabili dalla scena hanno lasciato traccia in lui facendolo divenire altro da un regista. Una figura artistica che ancora non ha una definizione precisa e che per comodità potremmo definire compositore scenico. Vincent Thomasset è un artista che sfugge alle definizioni e ai generi. Nessuno dei tre spettacoli visti alla Biennale Teatro 2018 può definirsi teatro o danza o performance ma riunisce delle tre arti le caratteristiche più importanti. C’è una recitazione che sfugge all’interpretazione di un personaggio ma ne utilizza le sfumature, i toni, le dinamiche a volte umoristicamente, a volte come semplice materiale compositivo; c’è la danza concepita più come movimento coreografico; c’è il performativo come azione significante non narrativa. Questo sfuggire al genere, esserne al di là pur attraversandoli, lo fa divenire, come si diceva più sopra, più un compositore che un regista o un coreografo. Vincent Thomasset è un artista che usa la scena come piattaforma di un pensiero che per esprimersi necessita di elementi vivi, in movimento, parlanti: prassi filosofica per mezzo scenico. Vincent Thomasset gioca negli interstizi del linguaggio, lo mette in crisi laddove crede di essere significante. Faccio alcuni esempi. In Lettres de non-motivation le lettere inviate alle aziende per non candidarsi ai lavori proposti dell’artista Julien Prévieux, vengono fatte detonare proprio per mezzo di una recitazione che assume toni drammatici o ironici, tragici o comici, e in cui queste sfumature non sono un’interpretazione ma un mezzo per farne risaltare il potere eversivo, quasi degli esercizi alla Queneau. In Ensemble ensemble i dialoghi non portano da nessuna parte, benché poetici riflettono costantemente il bisogno dell’altro per definirsi, per acquisire realtà e consistenza. L’altro è necessario al racconto di sé, che sia privato o pubblico. Persino i diari di un’altra persona trovati in soffitta diventano i propri, si trasformano nel proprio racconto che vengono indirizzati all’altro. In Medail Dècor, terzo elemento di una trilogia titolata Serenpidity, quanto viene enunciato è il tentativo di raggiungere un risultato da parte dell’autore-narratore che viene continuamente condotto altrove dall’azione del performer. Autore e performer diventano una coppia che si rispecchia, si duplica, si fronteggia, e linguaggio e azione giocano in contrappunto divergente e convergente. Questi esempi mettono in mostra l’altra caratteristica di Vincent Thomasset: azione e parola sono due linee compositive indipendenti che dialogano, si contraddicono, si rifiutano e si abbracciano. Se si aggiunge a questo luci e suono, si ottiene una vera e propria Teoria del montaggio scenico. Ogni elemento è come uno strumento che suona in un’orchestra che a volte necessita di una dissonanza a volte dell’armonia o dell’unisono. In un certo qual modo Vincent Thomasset conduce un raffinato gioco metateatrale, ma potremmo dire anche metaperformativo, nel senso di Jerome Bel. L’azione proposta allo sguardo riflette su se stessa e si mette in questione il linguaggio utilizzato. Il fare scenico si interroga nel suo prendere forma. Quella di Vincent Thomasset è una forma scenica non rappresentativa. È pensiero in azione, linguaggio che riflette sulla sua efficacia. Non si interpreta, non si finge di essere un personaggio. I performers, siano essi danzatori o attori, usano le tecniche del corpo come materiale di un pensiero che solo la scena può esplicare. Dobbiamo trovare nuove parole per definire questo tipo di arte scenica che si sta formando dall’ibridazione dei tre linguaggi performativi che la ricerca dagli anni ‘50 dello scorso secolo ci ha donato. Live arts potrebbe essere un termine, un’arte dal vivo che necessita di un incontro, di un dialogo con lo spettatore che non è solamente osservatore ma coautore di quanto avviene di fronte a lui. Queste nuove forme, di cui Vincent Thomasset è interprete finissimo, necessitano anche di nuovi contenitori e di nuove politiche. Se avessimo visto i suoi lavori alla Biennale Danza nessuno si sarebbe stupito. Un travalicare i generi che va ben oltre la semplice multimedialità, intesa spesso come accostamento di linguaggi. Nel caso di Vincent Thomasset non c’è accostamento ma vera e propria composizione. Si utilizzano tutti gli strumenti che necessita il pensiero in azione. Se serve la danza la si usa, se serve la recitazione non si ha tema di utilizzarla. Siamo di fronte a una nuova creatura che l’evoluzione del pensiero scenico ci ha consegnato. Ora tocca capire come agevolare le sue future trasformazioni affinché questa nuova specie, a cui in Italia siamo fortemente refrattari, non insterilisca. Tocca a noi darle luce e darle spazio. Enrico Pastore
Scrivono in PASSPARnous:
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