Roberto Latini torna a Inequilibrio con: Sei. E perché dunque, si fa meraviglia di noi? Una nuova tappa dell’indagine sul teatro attraverso i suoi classici e un ritorno a Pirandello dopo I Giganti della montagna. Lavoro molto complesso questa riscrittura scenica de I sei personaggi in cerca d’autore, interpretati da un solo performer, il giovane e talentuoso Piergiuseppe Di Tanno: un intricato intreccio vocale, sonoro e fisico nel corpo uno e molteplice dell’unico attore.
Su un’alta pedanina, quasi trespolo, sotto una luce a pioggia, il personaggio indossa la maschera fedele alla didascalia pirandelliana: costruita d’una materia che per il sudore non s’afflosci […]; lavorate e tagliate in modo che lascino liberi gli occhi, le narici e la bocca. A ridosso, dietro il personaggio che è legione, corpo trafitto da molte voci, un telo bianco. Tra una sezione e l’altra di questa prima lunga scena, un vento che viene dal palcoscenico, a smuovere il telo, ad accarezzare il volto del pubblico, una carezza sinistra, come alito di morte. E quella luce bianca, abbacinante, richiesta dal testo pirandelliano. Attraversamento è il termine per questo ultimo lavoro di Roberto Latini, un passare attraverso e nello stesso tempo un farsi trafiggere da parte a parte, dell’unico interprete e del pubblico che viene colpito dalle parole pirandelliane come da frecce, o da coltelli lanciati dal personaggio in maschera. Con le dovute distanze e differenze, I Sei Personaggi di Roberto Latini mi rammentano il Manfred di Carmelo Bene. Multiple voci di unico interprete, una sorta di concerto, non rappresentazione ma teatro come atto di riflessione filosofica, la parola protagonista come suono, le parole nella loro opacità, velate da plurimi significati, oggetto sonoro più che intellettivo. “Vi sono terribili violenze nelle parole […] ma poi la lingua ha avuto paura” così diceva Artaud. In questi Sei personaggi di Roberto Latini il dramma violento è proprio nelle parole che non sono solo proferite, si stagliano sul telo proiettate mentre la musica le accompagna come martello di fabbro sull’incudine della scena. Sei. E perché dunque, si fa meraviglia di noi? Siamo quasi esclusivamente nella terza parte della versione, credo, del 1925, quella più inquietante dell’annegamento della Bambina, del suicidio del Giovinetto, quella parte” che dà un brivido nell’accostarsi” a quelle entità che hanno realtà e verità pur vivendo sul crinale tra vita e teatro. Cos’è vero? Cos’è reale? come cerca di far capire il Padre al Capocomico la scena è più reale di ciò che si crede realtà, che invece è un fluire informe in perenne permutazione senza consistenza: solo le figure dell’arte posseggono una certa qual stabilità data dalla forma sempre possibilmente ripetibile. Persona è la maschera. Nel finale la pedanina diventa la vasca dove annega la Bambina, e da questa si trasforma in fossa scavata dai due becchini (un due che è sempre unico), quelli della tomba di Ofelia, anch’essa annegata. Il prestito amletico è in inglese. Il testo diventa sempre più suono, cima sempre più difficile da scalare. Il linguaggio ha come desiderio di farsi sempre più arcano, più luogo d’evocazione che di significazione Nella vasca/fossa entra il performer seppellito da una valanga di schiuma, come di bagno sbarazzino, come il suicidio del Giovinetto, atto indiscernibile e confitto sul confine tra verità e finzione. Sei. E perchè dunque, si fa meraviglia di noi? di Roberto Latini porta alla ribalta un giovane attore straordinario, versatile, di impressionante presenza e potenza espressiva: Piergiuseppe Di Tanno. La sua esecuzione, non interpretazione più incarnazione o evocazione, rende concrete le forze terribili e inquietanti che pur vengono evocate dal testo pirandelliano (non dimentichiamo che il Capocomico alla fine quasi fugge impaurito dal teatro dove restano solo le ombre dei Personaggi). Una modalità di essere in scena non facile, che necessita di grande tecnica, e di padronanza di sé, la capacità di svanire, come sciamano, sotto il diluvio di voci e presenze che ti attraversano. Sei. E perché dunque, si fa meraviglia di noi? di Roberto Latini è dunque un lavoro intenso e difficile. Un teatro che riflette su stesso con i mezzi suoi propri, un meta-specchio che rimanda infinite immagini di sé tanto da non distinguer più quale sia il riflesso e quale il soggetto. Un labirinto intricato in cui è difficile orientarsi senza fili di Arianna. Forse questo è l’unico difetto in un congegno mirabile: l’esser oggetto d’occhi padroni del linguaggio della scena. Ma il teatro deve proprio esser per tutti? Nell’era dell’audience engagement generalizzato questa domanda merita più di una riflessione. Enrico Pastore
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