NESSUNO PUÒ TENERE
BABY IN UN ANGOLO:
BABY IN UN ANGOLO:
Valerio Malorni porta in scena la vita di Luciano Schiamone, benzinaio, uno che avrebbe potuto fare molte cose. Luciano Schiamone è solo un nome che nasconde sotto la sua maschera un frammento di ognuno di noi.
Valerio Malorni, insieme a Simone Amendola autore del testo, raccontano la vita fallita di un uomo di trentotto anni, che fa un lavoro normale, senza più ambizioni se non quella di amare ed essere amato, ma senza l’audacia necessaria per raggiungere il suo scopo. Un giorno Luciano Schiamone si trova immischiato in un delitto orrendo: una donna è stata crudelmente uccisa e decapitata dietro la sua pompa di benzina. Tutte le prove indiziarie portano a lui. Ma è lui il colpevole? Questa domanda resta senza risposta. Il dubbio sulla sua innocenza permane. Il suo alibi non regge. Le prove lo incastrano. Le sue versioni gradualmente cambiano, si correggono, si approfondiscono e la donna che diceva di non conoscere in realtà è una donna di cui lui si era innamorato. Luciano Schiamone potrebbe essere l’omicida e potrebbe perfino avere un valido movente. La storia portata in scena da Simone Amendola e interpretata da Valerio Malorni non è un giallo, non è fondamentale scoprire l’assassino e il suo movente. Nessuno può tenere baby in un angolo è un viaggio nella coscienza dove la colpa è presente in quanto esseri umani. I nostri fallimenti, l’indifferente volgere le spalle ai drammi dei nostri simili, il perenne impulso a infliggere dolore all’animo altrui, l’incapacità di comunicare i nostri veri sentimenti: tutto complotta perché infiniti delitti vengano commessi, solo meno eclatanti perché feriscono e uccidono lo spirito e non il corpo. La tragedia di Luciano Schiamone si svolge in tre atti in cui l’ultima sera del benzinaio viene rivissuta infinite volte senza giungere a una verità dei fatti. Quel che resta in questo processo alchemico di raffinazione è solo un amore malamente vissuto, senza esser stato veramente dichiarato, il cumulo di fallimenti e umiliazioni che pervadono la vita quotidiana di ognuno di noi, il senso di colpa e il rimpianto. Il testo di Simone Amendola è un flusso di coscienza alla Thomas Bernhard, dove tutto si risolve in un rimasticare gli eventi, nel frantumarli in un ripensamento continuo che si distanzia dal vissuto reale. Avviene tutto nella testa attraverso un ridisegnare la realtà finché non si adegua alla miseria a cui ci proponiamo di aderire. Nessuna verità sorgerà da questo maciullare i fatti fino a ridurli in poltiglia. Resteranno soli i dubbi che le cose sarebbero potute andare diversamente. E non è questo specchio della vita di ognuno di noi? Non avremmo potuto anche noi fare molte cose e invece siamo incastrati nel banale nostro quotidiano che si risolve in vivacchio? E non uccidiamo anche noi le persone che ci sono accanto ferendole nell’animo solo perché il nostro genio della perversione ci spinge e pungola senza tregua? Valerio Malorni interpreta Luciano Schiamone utilizzando pochi e precisi registri espressivi: l’urlo che sorge da un accumulo di rabbia, lo stupore attonito verso la sua condizione di indagato e di possibile autore di un delitto, il senso di colpa che rode senza requie. Questo modulare poche note sviluppa una melodia troppo ripetitiva all’interno di una piece che necessitava un registro emozionale più completo. Benché alcuni episodi siano riusciti ed estremamente toccanti, sul lungo percorso di sviluppo della storia tragica di Luciano Schiamone, tali episodi si intrecciano con altri molto meno indovinati proprio per la ossessiva ripetitività dei toni. Discutibile l’inserto comico dove uno Schiamone in versione spagnoleggiante ripercorre per l’ennesima volta la vicenda, senza altro scopo apparente che quello di far ridere il pubblico ma allontanandolo nello stesso tempo dalla giusta tensione accumulata in precedenza. Un po’ come sgonfiare un soufflé quando si apre il forno anzitempo. Pochi ed essenziali gli oggetti di scena: una grossa sedia che diventa concrezione evidente di un’inquisizione che non si svolge solo al di fuori dell’animo di Schiamone, un manichino, che a tratti risulta più inquietante dell’attore vivo, una sacca appesa e quasi sempre illuminata a ricordare la vittima e la colpa. Nonostante alcuni difetti formali (le lunghe pause tecniche tra un “atto” e l’altro) e interpretative (pochi e ostinati registri espressivi), l’opera di Simone Amendola e Valerio Malorni risulta interessante per l’incisiva indagine del reale e le dinamiche socioeconomiche che attraversano la nostra società. Il teatro in questo caso è indagine sul reale, è sguardo attendo sul mondo. Sulla scena si attivano forze e pensieri che sono nostri, in cui possiamo riconoscerci per quanto non ci piaccia. E questo è l’elemento fondamentale. I difetti formali si possono emendare, le interpretazioni raffinare, ma se manca l’occhio sul mondo manca il fondamento stesso della scena. Nessuno può tenere baby in un angolo di Simone Amendola interpretato da Valerio Malorni è in scena fino al 24 marzo al Caffé della Caduta. Enrico Pastore
Scrivono in PASSPARnous:
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