Bisognava uscire di casa a notte fonda, cercare un trivio o un crocicchio abbastanza isolato e, infine, al riparo da occhi indiscreti, intonare per intero l’invocazione. Tutti motivi sufficienti per farlo desistere, ma Michele Borgia si comportava ormai come se non avesse più nulla da perdere e qualsiasi possibilità, anche la più assurda, si presentava subito come un tronco in mezzo all’oceano. Quindi, nonostante le ritrosie, quella sera non si tirò indietro. Indossò il cappotto più pesante che aveva e si mise in cerca di un luogo adeguato. Lo trovò non molto distante da casa sua, in un’area scarsamente popolata, con diverse strade solitarie, circondate solo da una fitta vegetazione. Si sentiva stupido, ma non se la sentiva di ritornare a casa senza aver almeno provato. Così, scese dall’auto, si guardò intorno e richiuse la portiera. Non si udiva alcun suono: quel luogo era perfetto per il suo scopo.
Raggiunse il centro dell’incrocio e chiuse gli occhi. Bisognava raccogliere le proprie energie e cercare di scacciare ogni pensiero estraneo. Per una frazione di secondo si vide dall’esterno, fermo in mezzo alla strada, ritto come un palo della luce e gli venne da ridere. Si ricompose rimproverandosi per quel comportamento puerile e tornò a fissare un puntino bianco che gli si era impresso sulla retina. Dopo un minuto di silenzio assoluto, iniziò a pronunciare tutte le strane parole della formula. Cercò di intonarle come se fossero le strofe di un canto gregoriano, facendo vibrare la gola e tutta la cassa toracica e, nonostante non ne comprendesse il significato, sentì lo stesso un tremito risalirgli dalla schiena e fermarsi sulla nuca. L’invocazione non era lunga, appena tre righe, che Michele aveva imparato a memoria per poter mantenere la concentrazione. Subito dopo bisognava raccogliersi in silenzio e attendere: il diavolo avrebbe certamente accettato la richiesta del postulante e l’affare poteva dunque essere concluso. Una pratica assurda, completamente priva di fondamento e degna solo della fantasia dei novellieri. Roba per bambini o per schizofrenici alienati che, al contrario di Michele, vivevano in un mondo fantastico, intangibile, dove era sufficiente desiderare qualcosa per vederla realizzata. Sull’altra sponda, inesorabile, s’ergeva invece il profilo minaccioso di una condizione differente, solida come un blocco di cemento armato e comprensibile immediatamente anche dal più ottuso degli esseri umani. Nel giro di poche settimane Michele aveva perso tutto: la famiglia, i risparmi e anche la credibilità. Era rimasto solo, disarmato e privo di energie, pronto a fare qualunque cosa pur di riconquistare anche solo un minimo frammento di ciò che era stato suo. Per questo motivo, quando lesse un articolo che parlava delle meraviglie di Satana e dei suoi seguaci, da principio voltò pagina, ma subito dopo, iniziò ad arrovellarsi. Forse non tutto era perduto e se il prezzo dello scambio era già stato fissato, ebbene, lo avrebbe accettato. Non sapeva neppure cosa fosse l’anima, anche se sospettava che essa giocasse un ruolo fondamentale nella sua sofferenza. Darla via, perciò, non lo impensieriva neppure per un istante: «Se il diavolo sa cosa farci» continuava a ripetersi «Che se la prenda! Basta che in cambio mi ridia la mia vita!» All’incrocio, mentre il vento cominciava a infastidirlo, ripensò a quella frase e provò perfino compassione per se stesso. Riaprì gli occhi di scatto e serrò i pugni: «Maledizione!» urlò fissando le crepe sull’asfalto «È chiaro che non succede nulla! Solo uno sciocco avrebbe potuto crederlo». Imprecò sottovoce e ritornò in macchina. Attorno a lui, l’unica evidenza era la desolazione e il silenzio. Anche la lampada stradale, lontana pochi metri, pareva brillare con meno energia, come se non valesse la pena sprecarsi per dare attenzione a quella pantomima. Era solo e si sentiva ridicolo. Se avesse urlato, non lo avrebbe udito nessuno. Se si fosse sparato un colpo in testa, forse se ne sarebbero accorti per caso solo l’indomani. Era in preda all’indifferenza, come un uomo ormai ridotto, solo apparentemente, allo stato vegetativo. Cercava di attirare l’attenzione, gesticolava, sbraitava, si denudava di fronte a un grande magazzino e, se mai fosse riuscito a sfiorare il volto di un passante, avrebbe ottenuto solo un’occhiataccia e l’invito ad allontanarsi. Mentre ogni frase terminava inesorabilmente al negativo, egli desiderava più d’ogni altra cosa tornare a godere, senza limiti o sbarramenti, pronto a sbagliare e a rialzarsi. Era ormai disposto ad apparire perfino ridicolo pur di attirare l’attenzione su di sé e quella sera non era rimasto deluso dalla mancata riuscita dell’invocazione, ma dal fatto che nessuno l’avesse spiato, anche solo per prendersi gioco della sua follia. Proprio mentre stava mettendo in moto per tornare a casa, si accorse di un’ombra che si muoveva lentamente tra un cespuglio e il ciglio della strada. Mise la sicura, accese i fari e, senza pensarci due volte, iniziò a muoversi. Non era assurdo pensare a un rapinatore o a un tossicodipendente attirato dalla sua voce e, in entrambi i casi, un tale incontro era l’ultima cosa che desiderava fare. Cominciò a svoltare per tornare indietro, ma non appena i fari illuminarono la parte opposta della carreggiata, l’ombra si mosse più velocemente e, in pochi attimi, un uomo di mezz’età, alto e ben vestito comparve alla sua destra. Michele lo fissò con gli occhi sgranati. Nonostante non sembrasse rappresentare un pericolo, si sentì invadere da un tremito e inavvertitamente fece perfino spegnere la macchina. L’uomo, tuttavia, parve non farci caso: con delle movenze compassate, si avvicinò al parabrezza, abbozzò un impercettibile sorriso e gli chiese: «Allora?» «Ho sbagliato strada» rispose ansimando Michele «Stavo facendo inversione per tornare indietro». «Già» disse lui senza scomporsi «Quindi… Tanta fatica per nulla?» Per qualche secondo regnò il silenzio, mentre, in lontananza, una fila di luci si spegneva in sincrono, confondendo ancora di più il limite dell’orizzonte con l’inizio della volta stellata. «Fatica? Non capisco. Di cosa sta parlando?» «Sei stato bravo» continuò l’uomo senza curarsi di quelle domande «Devo ammetterlo: i tuoi gorgheggi mi hanno quasi commosso. Per non parlare degli accenti… Perfetti! Davvero lodevole per un principiante». Michele non rispose. Nella sua mente, le teorie più razionali vorticavano come piccoli uragani: quell’uomo aveva ascoltato la sua invocazione, forse passava da lì per caso, o perché no, magari era stato anch’egli tentato di provare. Oppure… «Oppure…» ripeté lui annuendo col capo. Nella sua testa il tempo sembrò fermarsi. Non sentiva più nemmeno il battito cardiaco accelerato e la temperatura corporea passava vertiginosamente dal calore febbrile al gelo dell’atmosfera esterna. «Quindi tu sei…» L’uomo non lo lasciò finire: «Noi siamo tanti, ma tu puoi chiamarmi Lucifero, il nome che sinceramente preferisco. Colui che porta la luce!». Si interruppe socchiudendo gli occhi, poi, alzando le braccia al cielo, con un tono stentoreo, esclamò: «Lucifer ego sum! Notevole, vero?» Michele annuì in silenzio, in preda al panico. «Il guaio è che la gente, dopo aver letto certi libri, si diverte a nominare le cose… Nomina, nomina, sino a che il vocabolario si esaurisce e, a quel punto, inventa nuovi termini. Ma in verità, io sono e basta». «Tu sei e basta» ripeté Michele come un automa. «No» lo corresse Lucifero «Io sono e tu mi hai chiamato. C’è una bella differenza, non credi?» «Forse…» «Chi mi nomina e basta, mi innervosisce. Perditempo, scansafatiche, pusillanimi! Lungi da me!» tuonò facendo un gesto di stizza con la mano. «Io ti ho chiamato perché non so più cosa fare» balbettò timidamente Michele. «Lo so, lo so…» rispose lui «Faust, Robert Johnson… La storia è piena di fandonie simili! Scambiato per un mercante di anime. Farei meglio a tornare in Paradiso con la coda tra le gambe!» Un nuovo, inusuale senso di sgomento s’impadronì di Michele: «Ma perché, tu non…» Lucifero, senza farsi invitare, entrò in macchina, ripetendo più volte: «No!» Da vicino appariva ancora più affascinante e, nonostante fosse indiscutibilmente un uomo, i suoi tratti nascondevano i più perfetti lineamenti femminili, fusi nell’insieme in modo che anche l’occhio più esperto non sarebbe mai stato in grado di separarli dal resto. Dopo aver tolto alcune pieghe al soprabito, si avvicinò a Michele sussurrandogli all’orecchio: «Voglio confidarti un segreto: delle anime non so proprio cosa farmene». «Ma io…» «Tu…» continuò mentre il riflesso del lampione scintillava nelle pupille «Iniziamo col dire che tu non sai neppure cosa sia un’anima e se ce l’hai davvero. Mi sbaglio?» «Ho un’idea molto vaga» rispose il giovane. Lucifero scosse la testa: «Non basta» asserì con tutta la fermezza di cui era capace «Per servire una causa serve consapevolezza. Io non ho mai avuto schiavi e per questo motivo sono rimasto sempre nell’ombra». «Ma hai provato lo stesso a tentare Gesù!» «Gesù!» borbottò facendo una smorfia «Tutti conoscono quella storia». Michele non rispose e Lucifero rimase con gli occhi puntati sulla strada, mentre i pensieri brulicavano nella sua testa. «Lui sì che era consapevole della sua anima» disse sottovoce senza muovere la testa «Testardo sino all’inverosimile. Un genio in mezzo a una folla inebetita!» «Rifiutò» aggiunse timidamente Michele «Ma io non sono come lui». Lucifero poggiò la mano sulla sua spalla, stringendo leggermente come si fa con un cucciolo che desidera scappare via: «Non baratto anime» rispose «E anche se lo volessi…» Non terminò la frase, lasciando che quelle poche sillabe fluttuassero nell’aria per non lasciare svanire troppo in fretta il significato che trasportavano. Mentre la presa si allentava e quella mano virile iniziava a scivolare lungo il braccio, la delusione iniziò a dipingersi sul volto di Michele: «Speravo che almeno tu potessi aiutarmi» mormorò con la voce spezzata. I due continuarono a guardarsi in silenzio, mentre il vento spingeva un mucchietto di foglie secche sopra il cofano dell’automobile. Un uomo comune accanto al diavolo, ognuno sprofondato nel proprio mondo, come un sasso in uno stagno melmoso. «Mentre leggevo quell’articolo, pensavo che qualcun altro già t’avesse incontrato». Lucifero sospirò: «Milioni di persone si sono rivolte a me quando ormai ogni speranza sembrava persa. Tra di loro c’erano anche gli insensati, affamati di potere, ma la maggior parte era gente misera, fiaccata nel fisico e nello spirito. Derelitti che non erano più in grado neppure di formulare chiaramente le loro richieste». «Il mondo è pieno di derelitti» sussurrò Michele. Il suo interlocutore sorrise sfiorandosi la fronte con la mano. Ogni frammento del suo viso brillava di una strana luce e dava l’impressione di essere l’uomo più sereno della Terra. Al di là di ogni preoccupazione, in un luogo dove ogni pensiero, positivo o negativo, piacevole o spiacevole, svaniva subito come una bolla di sapone. «Lo so» rispose sottovoce. «E tu non fai nulla?» lo incalzò il giovane «Ti limiti a osservare?» Un aereo in fase di atterraggio passò proprio sopra la vettura, facendola vibrare come un grosso macchinario industriale. «Questo mondo appartiene all’uomo. Nel bene e nel male» disse fissando la strada che si perdeva dietro a una curva. Poi, tornando a guardare Michele negli occhi, aggiunse: «Io non posso che osservare». Lentamente aprì lo sportello e scese dall’auto. Una folata gelida invase l’abitacolo, mentre il soprabito di Lucifero pareva immobile, come se fosse stato scolpito nel marmo. «Mi lasci?» chiese Michele. Non si udì alcuna risposta. Solo il cigolio di una vecchia inferriata arrugginita. «Prima ti sei fatto vedere e adesso scappi via?» urlò il giovane picchiando il volante con un pugno. Lucifero si passò una mano tra i capelli, voltò le spalle e iniziò a camminare. «Ma perché?» gridò Michele «Eri la mia ultima speranza!» Cominciò a singhiozzare come un neonato osservando la sagoma dell’uomo confondersi sempre più con la vegetazione. «Per quale motivo sei comparso?» gli chiese con il poco fiato che aveva in gola «Saresti potuto rimanere nell’ombra a goderti il tuo spettacolo!» L’uomo, ormai distante, si girò. Sorrideva un’altra volta, ma i suoi lineamenti sembravano ancora più distesi, quasi eterei. «Sono comparso perché l’uomo, di tanto in tanto, ha bisogno di ricordarsi quant’è difficile essere fatti a immagine di Dio! Caro Michele, gli dei, purtroppo, non hanno nessuno a cui potersi rivolgere. Neppure il loro più acerrimo nemico!» Subito dopo svanì e al suo posto tornò a intravedersi il tronco rinsecchito di un ciliegio, proteso in avanti come un mendicante seduto di fronte a una chiesa. Anche le ultime luci si erano spente e nell’aria si udiva solo il flebile sibilo del vento disperdersi tra i campi neri come petrolio. Giuseppe Bonaccorso
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Aldo Pardi, Claudia Landolfi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo. |
Tra molti fiori selvaggi e pochi fiori rari.
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