The White
Room Articolo di Enrico Ratti
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Come parlare di video? E come avviene la scrittura delle immagini videomatiche, le immagini del terzo millennio? In The white room (Premio “Special off” al Roma Fringe Festival 2013 e visibile su Youtube), di Caterina Kokoro Gramaglia, il video si scrive procedendo dalla favola. Da una favola estranea alla pedagogia dei racconti fiabeschi intesi come luogo del lirismo, dei buoni sentimenti e del dramma. In questo video ciò che subito risulta evidente è l’immagine e la sua anatomia. Un’immagine che risulta anzitutto semovente e altra, quindi elettronica. L’immagine elettronica è l’immagine senza anima per eccellenza e per definizione. Senza animazione e senza animalità mitologica e fiabesca, cioè. Sicché, in questo video, solo immagini che si accostano a altre immagini in una concatenazione insignificabile e astratta. Queste altre immagini che intervengono sono controimmagini, sono cioè un rilancio verso un’altra scena indelimitabile e inappartenente a causa del suo sconfinamento verso la realtà virtuale.
Qui sta la novità del nuovo linguaggio dell’immagine virtuale, dell’immagine frattale: un’immagine che si rivolge verso il tempo attuale e verso il suo ritmo estremo. Un tempo assolutamente condensato e essenziale. Questo miracolo può avvenire perché l’immagine udendosi si divide da sé e dividendosi, ossia trasformandosi, diviene scrittura dell’ultramodernità. Così, in The white room, la forza delle immagini trae l’accumulo di piume a scriversi quasi come fossero onde sonore che vanno e che poi ritornano. Videomatica delle piume, The white room, e delle loro leggerezza. Videomatica della loro inconsistenza e instabilità. Ma anche scrittura di un accumulo improbabile: quello dell’aria. Nell’aria della stanza bianca solo i gesti di un corpo femminile che si rannicchia in una nicchia e si drizza di scatto avvolto in una veste da sposa. Come lievita e come fluttua questa veste nell’aria? Come variano le sue pieghe? E ancora: quale il ritmo di questo corpo che si rannicchia e che poi rimbalza in piedi avvolto nella sua veste nuziale? Quale la luce che lo riguarda? E poi: come misurare il flusso del suo va e vieni nella stanza bianca? E come intendere i modi di accorciamento e di incurvatura di queste immagini fratte? E l’elasticità del corpo preso nella luce di una lampada come si scrive? E la luce e le immagini frattali come si narrano? Ebbene, qui, in queste domande che non cercano una risposta sta tutta la forza di questa scrittura videomatica. E poi il suono. Da dove vengono i suoni che scandiscono il ritmo di questo video? E come e perché appena prodotto ciascuno di questi suoni si dilegua nell’aria richiamandone immediatamente un altro solo apparentemente uguale al precedente? Insomma The white room è un video che narra la parabola della luce, della leggerezza dell’aria, dell’insostanzialità del corpo e del ritmo dell’onda sonora. Eccola quindi la videomatica, la lingua del terzo millennio, l’altra lingua dell’arte e della cultura planetaria. Una lingua insignificabile e non convenzionale, quindi astratta per eccellenza. Enrico Ratti
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