Leggendo nel 2014 il primo capitolo1 di Non sono che un critico di Morando Morandini si possono avere sensazioni e formulare pensieri quantomeno contrastanti. Da una parte, infatti, si prova una sorta di bonaria invidia nel venire a sapere che uno dei più importanti critici cinematografici italiani, fin dall’inizio degli anni Quaranta, poco più che ventenne, ha cominciato a vivere quasi unicamente del lavoro di critico2 su quotidiani, mestiere che svolge tutt’oggi. Dall’altra, invece, colpisce notare come, sempre nelle stesse pagine, già vent’anni fa (il libro3 è stato scritto nel 1994) egli stesso si chiedeva se la “figura” del critico sarebbe arrivata integra al 2000: «Non so se ne esisteranno ancora, almeno dopo la fine di questo secolo, dal momento che dagli anni Ottanta stiamo assistendo a una radicale trasformazione del cinema inteso come spettacolo, come istituzione globale». Egli, inoltre, poco più avanti, si lamenta della scarsità di spazio per la critica sui giornali, del parziale disinteresse dei direttori e dei caporedattori per ciò che nel cinema e nello spettacolo in generale non fa notizia. Cosa dunque dovremmo pensare noi oggi, in anni in cui la stampa riserva sicuramente ancora minore spazio allo spettacolo inteso come cultura rispetto al 1994, per non parlare dei decenni ancora precedenti? Quali riflessioni siamo indotti a fare in tempi che denudano ferocemente la cultura di fondi, che vedono la sempre più massiccia presenza – di certo non sempre benefica e vantaggiosa – di Internet a discapito della carta stampata? Domande complesse e importanti che a volte, paradossalmente, danno vita a risposte tanto semplici quanto tristemente, realisticamente secche e dirette: che il mestiere di critico di spettacolo e cultura (che si tratti di musica, pittura, danza, letteratura, teatro, cinema, televisione) oggi non è più autonomo, non può certo costituire una forma di lavoro minimamente soddisfacente dal punto di vista economico. Pensare, insomma, di poter vivere di recensioni assomiglia in maniera drastica a una forma di utopia, ridicola o che fa tenerezza a seconda dei punti di vista. Dunque, il titolo4 del saggio di Morandini, alla luce di ciò che si è detto finora e dei tempi odierni, può con amara ironia e sarcasmo essere così rovesciato: un giovane che affermi oggi di “non essere che un critico” si produce in una sorta di dichiarazione di disoccupazione. La (possibile, auspicabile) soluzione quale potrebbe perciò essere? Vedere il mestiere della critica come la casella di un mosaico molto vasto e sicuramente eterogeneo. Al giorno d’oggi, infatti, in particolar modo il giovane critico, alla sua specializzazione di autore di recensioni deve affiancare, ad esempio, il lavoro di giornalista, di addetto ufficio stampa, di organizzatore di festival ed eventi culturali, o semplicemente svolgere mansioni che apparterrebbero in realtà al lavoro di segreteria. Questa “nuova” figura si definisce “critico impuro”, ossia una persona che “si sporca le mani” rinunciando a rinserrarsi nella torre d’avorio che la sua formazione di critico gli aveva fatto ipotizzare. Il critico impuro, infatti, lavora sia su supporto cartaceo che – soprattutto – sulla Rete.
A tal proposito, proviamo a paragonare tale delicata questione a uno degli aspetti più noti e importanti della poetica del primo Ejzenstejn5: in estrema sintesi, per il grande regista russo l’inquadratura singola all’interno di un film non ha valore di per sé, ma lo assume soltanto una volta che viene messa in relazione con quelle che la precedono e la seguono. Le inquadrature così unite, in maniera creativa e originale, danno luogo a un risultato (definito dal regista “prodotto”) di insieme nuovo, efficace e utile. Allo stesso modo, il singolo, autonomo mestiere del critico (il vecchio “critico puro”) non sembra avere oggi particolare valore di per sé (soprattutto da un punto di vista lavorativo, economico) se non è inserito nel corpo delle attività sopracitate o non faccia del cinema autonomamente in quanto produttore di operati filmici, agevolando così sia la propria produzione che l’autorevolezza delle proprie recensioni. Daniel Montigiani
Scrivono in PASSPARnous: k
Aldo Pardi, Claudia Landolfi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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