Revue Cinema rubrica diretta da Daniel Montigiani
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La migliore offerta Un film di Giuseppe Tornatore |
Virgil (Geoffrey Rush) uomo maturo, affascinante, di cultura e amante della solitudine, svolge con calma, maniacale cura il mestiere di esperto di arte, occupandosi soprattutto di aste. La sua vita dai tratti ripetitivi e monotoni viene improvvisamente e inaspettatamente cambiata e sconvolta dalla giovane Claire (Sylvia Hoeks), che lo contatta per una cessione dell’ingente patrimonio artistico di una villa.
Ispirandosi dunque proprio al titolo di questo film, ci si potrebbe domandare: che tipo di offer- ta compie Tornatore con quest’opera, soprattutto nei confronti dello spettatore, quali sono le sensazioni visive e narrative che il regista cercherebbe di voler trasmettere? La risposta, in questo caso, sembra abbastanza facile a causa della sua evidenza: è da subito ben chiaro come dalle atmosfere sprigionate dai contenuti delle inquadrature, dagli accadimenti e dai personaggi, nasca e si sviluppi un diffuso senso di grigio e di densa, pesante oscurità.
Sin dalle primissime
scene, infatti, il film invade immediatamente gli occhi con una sentita
presenza di grigio, di oscuro, emanata da vari elementi del profilmico
come la stessa presenza del protagonista (carico di un volto
dall’espressione seria, severa, schiva, evitan- te, quasi minacciosa), il
tempo atmosferico (più volte attraversato da nuvole e pioggia) e
l’inquietante eleganza della villa in cui si trova la donna della quale,
progressivamente, il protagonista si innamorerà fatalmente.
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E, dal punto di vista prettamente filmico ed estetico, che tipo di “offerta” allo spettatore riesce a dare Tornatore?
Si potrebbe rispondere dicendo che se questo film costituisse veramente “l’offerta migliore” che Tor- natore è capace di dare al pubblico, allora ci sarebbe da preoccuparsi per le sue capacità: sì, perché in questa Migliore offerta, infatti, questo senso di oscurità e di grigio, per quanto onnipresente, non risulta particolarmente significativo, forse in buona parte a causa di una fotografia dai tratti smaccatamen-
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te laccati. Insomma, sembra di trovarsi di fronte a pesanti tracce noir tanto onnipresenti quanto poco rilevanti. Di conseguenza, insomma, tale oscurità noir nel film sembra risultare in realtà inoffensiva, preconfezionata, ba- nale, sterile, televisiva, troppo pulita per risultare veramente forte. Il regista cerca di sparpagliare meticolosamente nelle inquadrature un senso di teso noir e di inquietudine anche attraverso l’aiuto della dimensione sonora con risultati di una banalità talvolta così disarmante da risultare quasi simpatica: le musiche – una sorta di Goblin di periferia –, ad esempio, sembrano fare qualsiasi (vano) sforzo per risultare ossessive e per accompagnare, extra-diegeticamente, i tumulti fobici e/o esistenziali delle atmosfere e dei singoli personaggi.
Le inquadrature in cui viene ripresa integralmente la villa dove abita la problematica coprotagonista possono costituire uno spettacolare esempio delle scelte scontate sia dal punto di vista del visivo che del sonoro: si tratta, infatti, di establishing shots dell’imponente abitazione sopra la quale incombono minacciose nuvole accomp-agnate da altrettanto minacciosi rumori di tuoni, tutti elementi visivi e sonori che sembrano voler anticipare e rappresentare (banalmente, appunto) momenti ed eventi nefasti, soprattutto per il protagonista.
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Inoltre, per la maggiore parte del film Tornatore compie quello che può essere chiamato un tentativo “artistico”, cólto, in genere stucchevole e fallimentare sia mettendo in campo discorsi squisitamente triti sull’arte (soprattutto intesa come pittura) e sul concetto di falso, che attraverso le tanto generose quanto banali carrellate in dissolvenza incrociata della collezione dei quadri del protagonista, visioni solo apparentemente raffinate che sembrano ricordare tristi pubblicità televisive di cataloghi d’arte in vendita in edicola.
Daniel Montigiani
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