Revue Cinema rubrica diretta da Daniel Montigiani
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Furyo Un film di Nagisa Oshima |
Il recente compleanno di David Bowie, che ha compiuto 66 anni, e l’inaspettata quanto gradita notizia del suo ritorno con un nuovo disco il prossimo marzo possono essere delle golose scuse per parlare di Furyo, sicuramente il film più rilevante interpretato dal Duca Bianco e, inoltre, ulteriore testimonianza della sua capacità di spargere il proprio carisma non soltanto all’interno del mondo della musica ma anche in quello del cinema.
A Giava, nel 1942, il maggiore britannico Jack Celliers (David Bowie) arriva in un campo di concentramento giapponese comandato dal capitano Yonoi (Ryuichi Sakamoto). Quest’ultimo, giovane, maniacalmente attaccato ai princìpi della disciplina e dell’onore, è inaspettatamente sconvolto dall’interesse che sfocia immediatamente in desiderio che da subito prova nei confronti di Celliers; viene così a instaurarsi una sorta di relazione basata spesso su un perverso e ambiguo non detto e su ragnatele di sguardi eloquenti che, progressivamente, porterà a un esito a dir poco eccessivo.
Quello che risulta essere da subito come il tema principale di questa pellicola – la guerra in un mo- mento storico preciso e geograficamente e tempo-ralmente collocato unito allo scontro fra due culture diverse (quella giapponese e quella britannica) – può in realtà costituire anche una fertile e suggestiva piat- taforma per mettere in campo soprattutto la storia del desiderio del severo e autoritario capitano Yonoi nei confronti del tanto eccentrico quanto affascinante soldato prigioniero Jack Celliers: il forte interesse che sfocia in contrastato e pulsante desiderio del capitano Yonoi verso Celliers è perlopiù combattuto, tenuto rigidamente in silenzio (seppur più di una volta tras- paia egregiamente da alcuni suoi sguardi e da alcune sue particolari attenzioni).
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E, uno degli aspetti più rilevanti di questa pellicola riguarda proprio la capacità di Oshima, tramite accorgimenti stilistici presenti in più scene e sequenze, di rappresentare con dolorosa evidenza tale contrastata e combattuta attrazione del desiderio omosessuale del capitano Yonoi nei confronti del biondo Celliers.
La scena in cui il capitano e Celliers si incontrano per la prima volta costituisce un emblema- tico e alto esempio di come la macchina da presa e la messa in scena indichino e intensifichino l’attrazione nascosta e dolorosa del primo nei confronti del secondo. I due si trovano all’interno di un piccolo tribunale militare dove Celliers sta per essere processato. Attraverso un freddo campo totale, Oshima fa convivere per la prima volta i due uomini all’interno della stessa inquadratura: Celliers è di spalle rispetto alla macchina da presa, quasi al centro del quadro, mentre Yonoi, seduto, si trova dalla parte opposta, quasi di fronte a lui, sulla sinistra.
La scena in cui il capitano e Celliers si incontrano per la prima volta costituisce un emblema- tico e alto esempio di come la macchina da presa e la messa in scena indichino e intensifichino l’attrazione nascosta e dolorosa del primo nei confronti del secondo. I due si trovano all’interno di un piccolo tribunale militare dove Celliers sta per essere processato. Attraverso un freddo campo totale, Oshima fa convivere per la prima volta i due uomini all’interno della stessa inquadratura: Celliers è di spalle rispetto alla macchina da presa, quasi al centro del quadro, mentre Yonoi, seduto, si trova dalla parte opposta, quasi di fronte a lui, sulla sinistra.
Il processo ha inizio, ed ecco subito che un sinuoso movimento della macchina da presa tra- duce con spietata delicatezza le sensazioni che il capitano Yonoi prova nei confronti del prigioniero inglese: la macchina, infatti, comincia a muoversi verso sinistra, lasciando così fuori campo Celliers, per poi proseguire con un movimento intensivo in avanti fino a raggiungere Yonoi, ora in campo me-
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dio, il quale, immobile, sta subendo con spaventato stupore il suo fascino. Tale progressivo movimento di macchina dunque esprime perfettamente l’altrettanto progressivo desiderio che Yonoi sta cominciando a provare nei confronti di Celliers.
Assolutamente significativo, inoltre, il fatto che Yonoi si accorga di provare interesse e attrazione per Celliers proprio mentre quest’ultimo si trova temporaneamente fuori campo: l’assenza di quest’ultimo dall’inquadratura in questo preciso momento, infatti, sembra esprimere stilisticamente anche il desiderio di Yonoi di reprimere questo suo interesse verso l’inglese.
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Ovvero, insomma, il desiderio di Yonoi di tenere questo Celliers per lui così attraente fuori dal campo della propria mente. Sempre in questa scena, Oshima riesce a trasmettere i contrastati sentimenti dell’ufficiale giapponese anche attraverso elementi del profilmico, presenti nell’inquadratura: le ferite sulla schiena che con naturale sensualità Celliers mostra nel corso del processo non possono che rappresentare (anche) le ferite metaforiche che Yonoi prova sul proprio corpo a causa del continuo tentativo di repressione dei propri desideri omoerotici. Un altro importante momento in cui viene emblematicamente evidenziato attraverso il filmico il contrastato mosaico di sentimenti di Yonoi è rappresentato dalla celebre scena in cui Celliers, costretto insieme ad altri prigionieri inglesi ad assistere a un’esecuzione, raggiunge inas- pettatamente Yonoi per dargli con tenera provocazione un bacio sulla guancia, sconvolgendolo e provocandone, ovviamente, l’ira. L’inquadratura che mostra Yonoi in primo piano mentre riceve con scioccata sorpresa il bacio sulla guancia da parte di Celliers è movimentata, traballante, dai tratti sfocati e, pur non essendo, ovviamente, una soggettiva del capitano, esprime con sintetica perfezione la terremotante e sconvolgente emozione provata dall’uomo.
Ma con questo film Oshima sembra anche far emergere con forza una continua mes- colanza di bellezza, perversione, crudeltà e violenza, sia fisica che, più sottilmente, psi- cologica; un alternarsi a scacchiera tanto sublime quanto doloroso e destabilizzante di momenti di alta bellezza e altri di crudeltà. |
Vi è, ad esempio, la bellezza irregolare, aliena e carismatica di Celliers che più volte viene aggredita dalla violenza dei soldati giapponesi; la bellezza del volto di Yonoi che viene espressionisticamente deformato dal suo tentativo di repressione dei desideri omoerotici.
Tutte le rievocazioni di Celliers attraverso flashback di alcuni episodi di infanzia con il fratello più giovane maltrattato rappresentano un altro momento in cui l’assoluta bellezza figurativa convive fermamente con una notevole violenza sia fisica che psicologica. Attraverso una fotografia di una bellezza così alta da risultare quasi vergognosa (capace talvolta di ricordare i migliori momenti elegantemente allucinati dei film di Mario Bava) che esalta talvolta una natura quasi idilliaca, assistiamo, ad esempio, ai traumatici abusi subìti dal fratello del protagonista. Del resto, la capacità quasi perversa di Oshima di far convivere più volte la bellezza con la crudeltà e la violenza è ben visibile anche nel rapporto che viene da subito a instaurarsi tra le memorabili musiche extradiegetiche di Sakamoto e i vari ambienti mostrati. Tali delicate musiche, infatti, se talvolta risultano perfettamente coerenti con la bellezza esotica e incontaminata dei paesaggi, in altre occasioni, si impongono sopra scene dai tratti insostenibili.
Una sorta, insomma, di indiretto trattato per immagini sulla tortuosità della bellezza, sulla naturale capacità di quest’ultima di alzarsi, imporsi e mostrarsi anche all’interno di contesti estremi.
Tutte le rievocazioni di Celliers attraverso flashback di alcuni episodi di infanzia con il fratello più giovane maltrattato rappresentano un altro momento in cui l’assoluta bellezza figurativa convive fermamente con una notevole violenza sia fisica che psicologica. Attraverso una fotografia di una bellezza così alta da risultare quasi vergognosa (capace talvolta di ricordare i migliori momenti elegantemente allucinati dei film di Mario Bava) che esalta talvolta una natura quasi idilliaca, assistiamo, ad esempio, ai traumatici abusi subìti dal fratello del protagonista. Del resto, la capacità quasi perversa di Oshima di far convivere più volte la bellezza con la crudeltà e la violenza è ben visibile anche nel rapporto che viene da subito a instaurarsi tra le memorabili musiche extradiegetiche di Sakamoto e i vari ambienti mostrati. Tali delicate musiche, infatti, se talvolta risultano perfettamente coerenti con la bellezza esotica e incontaminata dei paesaggi, in altre occasioni, si impongono sopra scene dai tratti insostenibili.
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Daniel Montigiani
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