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Moonrise Kingdom Un film di Wes Anderson Nel 1965, su un’isola delle coste del New England, Sam e Suzy sono due eccentrici dodicenni dai modi abbastanza asociali che, dopo essersi conosciuti e innamorati, decidono di fuggire insieme.
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Dunque, gli abitanti del posto – in particolar modo i genitori di Suzy e le autorità – danno inizio a una sorta di caccia frenetica in ogni dove scompigliando e disordinando qualsiasi punto delle città; un delirante e giocoso mosaico di azioni che, da subito, porterà a delle altrettante frenetiche conseguenze.
Wes Anderson ha da sempre fatto (quasi) di tutto per riempire il tessuto dei propri film di una bizzarria che rasenta l’ansia, e, già di fronte a una simile trama, si arriva ben presto a capire che questa sua settima opera non fa eccezione.
Con Moonrise Kingdom, infatti, Anderson conferma la sua inclinazione per lo stralunato, l’eccentrico, l’insolito, non soltanto dal punto di vista della narrazione e della descrizione dei personaggi e dei loro comportamenti, ma anche da quello filmico e stilistico e della distribuzione degli elementi e dei colori all’interno dell’inquadratura.
Wes Anderson ha da sempre fatto (quasi) di tutto per riempire il tessuto dei propri film di una bizzarria che rasenta l’ansia, e, già di fronte a una simile trama, si arriva ben presto a capire che questa sua settima opera non fa eccezione.
Con Moonrise Kingdom, infatti, Anderson conferma la sua inclinazione per lo stralunato, l’eccentrico, l’insolito, non soltanto dal punto di vista della narrazione e della descrizione dei personaggi e dei loro comportamenti, ma anche da quello filmico e stilistico e della distribuzione degli elementi e dei colori all’interno dell’inquadratura.
A tal proposito, la prima sequenza, oltre a poter essere quasi sicuramente considerata il momento più alto del film dal punto di vista prettamente tecnico, sembra anche riassumere nel giro di quasi dieci minuti buona parte della filosofia stilistica e morale di Anderson. Tale sequenza, infatti, che si incarica essenzialmente, dal punto di vista narrativo, di mostrare la piccola protagonista Suzy e i membri della sua famiglia all’interno della loro grande casa, racchiude tutta l’eccentricità sia stilistica che diegetica che caratterizza la vita dell’intero film: vorticosi e movimentati piani sequenza quasi come se la macchina da presa si muovesse sinuosamente come un elastico; i colori caldi e accesi della casa e talvolta degli esterni che fanno pensare a una sorta di Ken Russell addolcito e che danno l’impressione a momenti di condurre lo spettatore attraverso una piccola galleria di quadri;
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un senso spiccato per atmosfere da fumetto; la presenza di una sorta di metacinema, di breve riflessione sullo sguardo rappresentata da Suzy che si rivolge verso la macchina da presa guardando direttamente lo spettatore attraverso un cannocchiale.
Da subito, insomma, veniamo inseriti in una strana dimensione di complessità movimentata, ansiosa, ma anche giocosa, spesso ricca di metalinguaggio. Ma il gusto naturale per il bizzarro e l’eccentrico risulta rilevante anche e soprattutto perché non è mai autocompiaciuto, non gira mai intorno a se stesso, non sembra essere mai senza un fine ben preciso.
Difatti, il film risulta lodevole, come si può già evincere dalla trama, anche per l’abile commistione di bizzarria e sentimento.
Da subito, insomma, veniamo inseriti in una strana dimensione di complessità movimentata, ansiosa, ma anche giocosa, spesso ricca di metalinguaggio. Ma il gusto naturale per il bizzarro e l’eccentrico risulta rilevante anche e soprattutto perché non è mai autocompiaciuto, non gira mai intorno a se stesso, non sembra essere mai senza un fine ben preciso.
Difatti, il film risulta lodevole, come si può già evincere dalla trama, anche per l’abile commistione di bizzarria e sentimento.
Le due caratteristiche principali, infatti, che vanno perfettamente a costituire l’organismo di questo film possono proprio essere considerate, appunto, il debordante gusto per l’eccentrico, ma anche la peculiare storia d’amore di questa coppia (eccentrica, appunto) di ragazzini così “diversi”: un amore, insomma, eccentrico, “larger than life”. E già il titolo del film può essere significativo a tal proposito.
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Moonrise kingdom, infatti è in primis indicativo dal punto di vista della narrazione, poiché si riferisce al luogo in cui la coppia si nasconde subito dopo la fuga; ma, allo stesso tempo, questo “regno della luna che sorge” può anche rappresentare un’efficace metafora non solo della spinta lunarità di quest’opera di Anderson, ma anche, come già accennato poco fa, dell’eccentricità dell’amore di questa coppia; ovvero una coppia che, per la sua bizzarra diversità, sembra appartenere più alla dimensione lunare e insolita dell’esistenza, che non a quella solare, ovvero a quella più ordinaria (e poco poetica) degli altri abitanti del film. Una sorta di “orgoglio lunare”, in somma, sia dello stile che della narrazione.
Daniel Montigiani
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