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L’impressionistico
mondo della sofferenza nelle opere di Hasui Kawase Una domanda ci poniamo necessariamente e inevitabilmente davanti la pittura e l’arte che ci pro- vengono dall’Estremo Oriente: quanto di questa poetica l’Occidente ha tratto insegnamento e, soprattutto, quali sono i ponti di connessione concettuale ed estetica tra due mondi culturali e sociali che rappresentano due concezioni diametralmente opposte della vita.
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Hasui Kawase, pittore giapponese nato nel 1883 e operante a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, ha reso questo dialogo possibile grazie la sua caratteristica di essere artista fuori da condizionamenti dottrinali accademici, assumendo una propria autonomia compositiva.
Parliamo dell’occidentale impressionismo, quel gioco di luci e di colori intensi che portano a renderci consapevolmente coinvolti dalle sensazioni e dalle emozioni che i paesaggi all’aperto, o i ritratti che diventano parti integranti di questi ultimi, ci esprimono nella loro autenticità. Kawase nasce e si forma nella scuola di Kiyokata Kaburagi, molto importante in Giappone, dove la shin-Roa, le nuove stampe in movimento, erano espressioni che portavano a compimento quella corrente che l’autore apprenderà già dai primi anni della sua attività: ukiyo-e.
Paesaggi, ritratti, volti di personaggi famosi, lottatori di sumo, scene di vita quotidiana sono i soggetti ripetuti di illustrazioni nella prima parte della loro esistenza dedicate a completare le pubblicazioni editoriali narranti storie e fiabe nipponiche. Siamo negli ultimi anni del periodo Meiji e all’inizio del periodo Taisho. Momento in cui si espande la xilografia fatta su legno naturale, a volte su carta increspata, con colori vivaci: questa forma d’arte è nata prima solo attraverso l’inchiostro, per giungere, con il passare del tempo, a essere dipinta e rifinita con pennelli e acquarello.
L’autore giapponese ha lavorato molto con l’acquarello, per passare alle xilografie, ai dipinti a olio, ai paraventi e, infine, alle consuete pergamene pensili, iniziando a lavorare con l’editore Shozaburo Watanabe e ponendosi con Hiroshi Yoshida quale uno dei maggiori rappresentanti artistici del Shin-Hanga, stile che si connatura principalmente con le stampe di paesaggi.
Parliamo dell’occidentale impressionismo, quel gioco di luci e di colori intensi che portano a renderci consapevolmente coinvolti dalle sensazioni e dalle emozioni che i paesaggi all’aperto, o i ritratti che diventano parti integranti di questi ultimi, ci esprimono nella loro autenticità. Kawase nasce e si forma nella scuola di Kiyokata Kaburagi, molto importante in Giappone, dove la shin-Roa, le nuove stampe in movimento, erano espressioni che portavano a compimento quella corrente che l’autore apprenderà già dai primi anni della sua attività: ukiyo-e.
Paesaggi, ritratti, volti di personaggi famosi, lottatori di sumo, scene di vita quotidiana sono i soggetti ripetuti di illustrazioni nella prima parte della loro esistenza dedicate a completare le pubblicazioni editoriali narranti storie e fiabe nipponiche. Siamo negli ultimi anni del periodo Meiji e all’inizio del periodo Taisho. Momento in cui si espande la xilografia fatta su legno naturale, a volte su carta increspata, con colori vivaci: questa forma d’arte è nata prima solo attraverso l’inchiostro, per giungere, con il passare del tempo, a essere dipinta e rifinita con pennelli e acquarello.
L’autore giapponese ha lavorato molto con l’acquarello, per passare alle xilografie, ai dipinti a olio, ai paraventi e, infine, alle consuete pergamene pensili, iniziando a lavorare con l’editore Shozaburo Watanabe e ponendosi con Hiroshi Yoshida quale uno dei maggiori rappresentanti artistici del Shin-Hanga, stile che si connatura principalmente con le stampe di paesaggi.
Kawase va oltre all’impatto popolare e alla ricerca di quel consenso a
cui molti suo contemporanei e predecessori hanno teso nell’elaborare le
proprie opere: non più, solamente, quei paesaggi urbani rassicuranti e
familiari, quelle icone, magari attoriali, di uno spettacolo molto
frequentato quale il teatro giapponese, non più, quindi, solamente scene
di vita quoti-diana, riportate e narrate quasi fossero figure e immagini
di un diario. In Kawase vediamo affiorare concetti artistici tali per cui l’opera riprende con una certa ironia e un certo cinismo quella dimensione della sofferenza nel paesaggio e nella vita, che il buddismo ha sempre voluto esorcizzare con il ciclo e riciclo della vita. Nelle sue opere non vediamo, pertanto, solamente immerse quelle immagini di luoghi popolari e conosciuti, i Meisho, ma si propongono spazi urbani inventati, cupi e oscuri.
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I colori rendono effetti che
si propongono in un quadro prospettico che configura una certa
plasticità e corporeità alla rappresentazione: il “mondo fluttuante”,
“Ukiyo”, si fa “mondo della sofferenza”, quasi percorso di un’espiazione attraverso la consapevolezza della propria condizione umana espressa attraverso la forma estetica e concettuale. Un terremoto di immane portata nel 1923 ha distrutto molte opere di Kawase, riconosciuto per il suo valore e per il suo merito artistico come “tesoro nazionale vivente” del Giappone. In Occidente Kawase fa breccia e interviene sulla scena artistica grazie al rapporto che l’artista tiene con l’intenditore artistico americano Robert O. Muller (1911-2003), quasi mecenate di Kawase nella terra dove si posa il sole. La tranquillità e l’aurea di mistero sono elementi che affascinano fortemente il pubblico occidentale e rendono l’artista nipponico un punto di riferimento che va ad alimentare e diversificare quell’offerta che l’impressionismo, il dipingere en plein air, offre da qualche anno. E sono gli attori, le donne, gli uccelli, i fiori, gli spazi urbani nipponici che rientrano in un panorama che diventa, costruito su una certa dose di realismo impressionista occidentale, espressione di stati d’animo individuali attraverso il gioco raffinato e consapevole della luce naturalistica, delle linee colorate, della tridimensionalità vera, della profondità tale da vedere nelle ombre un inserimento spaziale tangibile.
In questa cornice si pongono gli animi umani nella loro complessità e nelle proprie contraddizioni: Kawase ha reso concreta e possibile quella trasformazione degli Ukiyo-e da prodotto di massa quale è sempre stato a opera artistica autonoma concettuale e iperrealista nella sua connotazione, tanto da prevedere un lavoro che definisce il cambio storico ed epocale tra due periodi che segnano l’arte nipponica: da una visione solitaria nella composizione a una collaborativa che vede nell’hanmoto quel sistema in cui vive una vera e propria sinergia creativa ed esecutiva tra autore, ideatore, scultore, incisore, stampatore, facendo uscire dalla torre d’avorio l’artista.
In questa cornice si pongono gli animi umani nella loro complessità e nelle proprie contraddizioni: Kawase ha reso concreta e possibile quella trasformazione degli Ukiyo-e da prodotto di massa quale è sempre stato a opera artistica autonoma concettuale e iperrealista nella sua connotazione, tanto da prevedere un lavoro che definisce il cambio storico ed epocale tra due periodi che segnano l’arte nipponica: da una visione solitaria nella composizione a una collaborativa che vede nell’hanmoto quel sistema in cui vive una vera e propria sinergia creativa ed esecutiva tra autore, ideatore, scultore, incisore, stampatore, facendo uscire dalla torre d’avorio l’artista.
L’arte
di Kawase si distacca fortemente dal concetto di esaltazione
dell’urbanizzazione che ha costellato tutta la produzione dell’ukiyo-e:
un fenomeno sociale che veniva decantato ma, soprattutto, ripreso
come fenomeno sociale, quindi narrato, soprattutto dal tardo XVI secolo e che cambiò i rapporti interclassisti in cui una nuova categoria, quale quella dei commercianti e degli artigia- ni, sopravanzava su quella contadina. L’arte di Kawase si discosta, infine, dalla riproposizione, quasi fosse arte secon- daria e funzionale, delle storie che venivano pubblicate in libri per cui l’immagine risultava la didascalia di quanto veniva ripreso nel testo. Gli ukiyo-e in Kawase sono autonomia creativa e concettuale, grazie a un incrocio di poetiche e di liriche che vedono estetiche compositive e contenuti sostanziali totalmente innovativi e rinnovati, indi- pendenti, spesso prodotti e stampati su singoli fogli, altre volte in versione cartolina, altre ancora scenografie di spettacoli teatrali kabuki. Gli ukiyo-e diventano quasi guida di una città: ma una guida che riporta tutto il valore e la forza di quel realismo impressionista che ci porta a imma- ginare dati e luoghi che vanno oltre al dato tangibile per decifrare messaggi e contenuti metempirici seppure dall’empirico partano, sono emozioni che vengono indotte dalla visione del- l’opera, indagando nelle pieghe contraddittoria della società e dell’animo umano.
La complessità dell’arte di Kawase ci porta a dare rilevanza a una figura che ancora oggi esplica i suoi effetti su nuove correnti creative: il connubio e la contaminazione con l’Occidente e con l’impres-sionismo che qui si poneva hanno dato forza e vigore a quello studio raffinato delle ombre e delle luci in passaggi chiaroscurali che danno concretezza viva all’immagine.
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In un
contesto si armonizza il tutto rendendo le figure parti integranti del
paesaggio in cui si inseriscono e si stagliano, non dando, quindi,
impressione di una rottura ma di una sintonia estetica e contenutistica
forte e reale, convincente.
Il tratto è deciso pur lasciando una visione più ombreggiante che crea quella visione onirica utile a introdurci in una dimensione che va oltre al dato empirico visibile e riconducibile a un esistente a noi familiare. Le sensazioni dell’autore sono, così, fissate dal deciso suo procedere nel delineare la produzione dell’opera: la complementarietà delle ombre e il suo intercedere e intrecciarsi con le luci e la luminosità naturali sono quelle particolari accortezze che danno al colore un’impronta protagonista rivoluzionaria rispetto al percorso segnato dai suoi maestri. Le sfumature di colori più cupi, poi, danno la dimensione di quell’angoscia e di quella solitudine che Kawase voleva imprimere nei suoi paesaggi della sofferenza e, quindi, della possibilità di espiazione trovando soluzioni future, seppure in contesti non reali, ma letti e interpretati partendo dal dato contingente.
Il tratto è deciso pur lasciando una visione più ombreggiante che crea quella visione onirica utile a introdurci in una dimensione che va oltre al dato empirico visibile e riconducibile a un esistente a noi familiare. Le sensazioni dell’autore sono, così, fissate dal deciso suo procedere nel delineare la produzione dell’opera: la complementarietà delle ombre e il suo intercedere e intrecciarsi con le luci e la luminosità naturali sono quelle particolari accortezze che danno al colore un’impronta protagonista rivoluzionaria rispetto al percorso segnato dai suoi maestri. Le sfumature di colori più cupi, poi, danno la dimensione di quell’angoscia e di quella solitudine che Kawase voleva imprimere nei suoi paesaggi della sofferenza e, quindi, della possibilità di espiazione trovando soluzioni future, seppure in contesti non reali, ma letti e interpretati partendo dal dato contingente.
Alessandro Rizzo
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