Revue Cinema rubrica diretta da Daniel Montigiani
Il volto di un’altra di Pappi Corsicato Bella (Laura Chiatti) è la conduttrice di una popolare trasmissione televisiva sulla chirurgia plastica i cui a dir poco grotteschi “clienti/ospiti” si fanno operare dal marito-chirurgo della donna (Alessandro Preziosi), titolare di una altrettanto peculiare clinica. Un giorno però, Bella viene improv-visamente licenziata (“il tuo volto ha stancato”, le dicono) e, fra l’ira e lo sconvolgimento, prende la macchina e subisce un tanto bizzarro, quanto grave, incidente: un water, caduto da un camion, sfonda la sua auto fino ad arrivare a sfigurarle il viso, rovinandolo completamente. |
Dopo lo shock iniziale, i due protagonisti – in pessime condizioni finanziarie – capiscono di poter trarre vantaggio (sia di ritorno di immagine che economico) da questa situazione, arrivando così a decidere di spettacolarizzare l’intervento al viso, volendo, cioè, mostrare l’operazione in diretta…
A più di quattro anni di distanza dal suo ultimo film (Il seme della discordia), Pappi Corsicato sembra tornare al cinema (anche e soprattutto) per rovesciare sullo schermo, col suo solito saggio e ironico distacco, la sua inesauribile quantità di kitsch di cui è consapevole, il suo sapiente “trash a bassa voce”, la sua capacità di tatuare assoluti paradossi narrativi (l’incidente di Bella, infatti, almeno secondo le parole del marito di quest’ultima, risulterà essere una “benedizione”), la sua stimabile necessità di innescare dei continui effetti-sorpresa degni di certe incontrollate bizzarrie à la Ken Russell. E, a proposito di effetto-sorpresa, già l’incipit, infatti, sembra far di tutto (seppur con naturalezza) per sorprendere (o almeno spaesare) le aspettative dello spettatore: nella prima sequenza assistiamo a delle inquietanti figure in vestaglia che, con i volti e i crani interamente bendati, si aggirano come zombie per una foresta.
Una breve manciata di inquadrature, questa, che ricorda atmosfere horror addirittura a pochi passi da un’es-plosione gore (potremmo infatti dire che, in questo preciso caso, Corsicato ha optato per una estremizzazione di alcune inquietanti inquadrature iniziali del suo esordio, Libera, dove la figura immobile della protagonista si intreccia con quella di una sorta di statua di fango).
A più di quattro anni di distanza dal suo ultimo film (Il seme della discordia), Pappi Corsicato sembra tornare al cinema (anche e soprattutto) per rovesciare sullo schermo, col suo solito saggio e ironico distacco, la sua inesauribile quantità di kitsch di cui è consapevole, il suo sapiente “trash a bassa voce”, la sua capacità di tatuare assoluti paradossi narrativi (l’incidente di Bella, infatti, almeno secondo le parole del marito di quest’ultima, risulterà essere una “benedizione”), la sua stimabile necessità di innescare dei continui effetti-sorpresa degni di certe incontrollate bizzarrie à la Ken Russell. E, a proposito di effetto-sorpresa, già l’incipit, infatti, sembra far di tutto (seppur con naturalezza) per sorprendere (o almeno spaesare) le aspettative dello spettatore: nella prima sequenza assistiamo a delle inquietanti figure in vestaglia che, con i volti e i crani interamente bendati, si aggirano come zombie per una foresta.
Una breve manciata di inquadrature, questa, che ricorda atmosfere horror addirittura a pochi passi da un’es-plosione gore (potremmo infatti dire che, in questo preciso caso, Corsicato ha optato per una estremizzazione di alcune inquietanti inquadrature iniziali del suo esordio, Libera, dove la figura immobile della protagonista si intreccia con quella di una sorta di statua di fango).
Ma ecco, pochi secondi dopo, arrivare la sorpresa, lo spiazzamento: con un subitaneo cambio di registro, adesso grottescamente ironico, veniamo improvvisamente introdotti nel giardino della villa/clinica chirurgica, dove una suora assai sui generis (Iaia Forte) distribuisce quasi demenzialmente ai pazienti bendati (proprio quelli simili a zombie di poco fa) una “purghette”.
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Nel
giro di pochi secondi, dunque, passiamo da un’atmosfera dai tratti
orrorifici a una quasi più clownesca, che non avrebbe sfigurato in una
pièce di Ionesco. Corsicato, come al solito, da abile postmoderno, dirige con divertita serietà (o con serio, impegnato divertimento) la sua attiva mescolanza di elementi alti e bassi, manda cinematograficamente in onda un sapiente meccanismo che si ripercuote anche sulla scelta quasi maniacale delle citazioni, passando ad esempio dalla storia dell’arte contemporanea (la Venere con cassetti di Salvador Dalì) a squallide seppur divertite atmosfere di pubblicità e assai famosi talk show (mettendo di conseguenza in atto una forte critica, soprattutto verso l’ambito televisivo e la forzata e triste spettacolarizzazione della realtà). Del resto, le citazioni hanno sempre rappresentato una colonna portante del per- corso cinematografico corsicatiano, e in questo caso, sia direttamente che indirettamente, possiamo scovare il Fellini di Otto e mezzo e di Roma, il Ferreri della Casa del sorriso, Psycho di Hitchock, Profondo rosso di Dario Argento, ma anche Il Grande Lebowsky dei Coen e, dal punto di vista della scelta stilistica, la sperimentazione di Godard attraverso l’opzione, in particolar modo in una scena, del bianco e nero con effetto da cinema muto con tanto di didascalie.
E, a proposito di citazioni, Corsicato si mette anche a rincorrere cinematograficamente se stesso, ovvero si auto-cita in più di un’occasione. Ad esempio, il water che cade sulla macchina di Bella distruggendole il volto mentre alla radio si parla del timore della caduta dell’asteroide “Tony” è un chiaro seppur indiretto rimando alla sequenza iniziale del suo film del 1995 I Buchi neri, dove immagini di una galassia in movimento sfociano nel “buco nero” di un poco invitante water.
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In questo caso, inoltre, Corsicato conferma la sua capacità di creare delle relazioni inedite e paradossali fra oggetti; mentre, infatti, alla radio si parla della possibile caduta dell’asteroide Tony, ecco che giunge la caduta del water: una corrispondenza questa, dunque, che unisce un elemento alto o comunque evocativo (l’asteroide che viaggia nell’universo attraverso i pianeti) a uno a dir poco basso (il water che cade da un camion sopra il volto di Bella mentre guida). Chiunque, ovviamente, ha il diritto di non apprezzare particolarmente quest’opera (o l’opera omnia) di Corsicato, ma dovrebbe comunque ammettere e riconoscere la capacità del regista di distinguersi (soprattutto nell’ambito del cinema italiano vivente), di dare luogo a una continua messa in scena di un “dramma del ridicolo”, di saper esprimere contemporaneamente, magari nello spiazzante giro di una breve inquadratura, sentimenti e atmosfere kitsch, trash, grottesche ma anche intime e tenere.
Daniel Montigiani
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