Superiamo le barriere spazio-temporali e catapultiamoci a gennaio 2017 nella regione indiana del Punjab, ai confini col Pakistan. Il villaggio in cui mi trovo è Arjawar, nelle vicinanze della città Patiala. Nomi e luoghi sconosciuti fino al momento in cui, ancora nel 2016, in visita al Gurudwara di Roma, incontro il caro ragazzo Baljeet con il quale ho mantenuto i contatti nonostante non ci fossimo visti sino al mio arrivo in India. La serie di fortunati eventi che mi ha permesso di vivere quest’esperienza coincide precisamente con un invito, ma non un invito qualunque, bensì l’invito al matrimonio del fratello di questo mio, ora posso dirlo, amico.
La curiosità per la cultura indiana, per la compresenza di differenti religioni e per il mistero che avvolge lo sguardo ingenuo di un occidentale medio come me nei confronti di una cultura con tante analogie quante diversità, ha spinto il mio interesse verso la necessità di concretizzazione. Questo per dire che il 2016 è stato l’anno in cui ho cercato di visitare, esplorare e avvicinarmi al mondo indiano direttamente in Italia, poiché, come ben sappiamo, sono molteplici le realtà dell’India esistenti nel nostro territorio. Si va dalle realtà induiste sino a quelle della religione Sikh, il cui luogo sacro per l’appunto è proprio il Gurudwara e la cui terra natia è proprio la regione del Punjab.
Una volta confermata la mia partenza per l’India ho accettato con entusiasmo quest’invito per concedermi uno dei momenti più importanti, a livello sia antropologico in termini di riti che esistenziale in termini di vita, della realtà sikhista. La mia povera immaginazione aveva però sottovalutato la magnificenza che un rito del genere potesse offrire. Innanzitutto la festa è durata per ben tre giorni. Nel mio caso ho assistito al pre-durante e post festa nunziale. Il tutto seguendo passo-passo quelle che sono le usanze della famiglia del futuro e neo-sposo. Il villaggio il giorno prima delle nozze è in festa, e quando parlo di villaggio intendo quello proprio che vedete nei documentari: strade sterrate, campi immensi (i sikh sono dei grandi agricoltori) costellati di piccole capanne coniche al cui interno viene conservato lo sterco di mucca essiccato, essenziale per la combustione del fuoco. I tetti sono rasi quanto la terra e colmi di cavi per stendere la biancheria e brandine dove si usa dormire durante la stagione più calda (sì, dormono proprio all’aperto sui tetti!).
Il giorno che precede lo sposalizio, dunque, ha inizio con un risveglio albeggiante: la casa, ormai già popolata da tutti i parenti da qualche giorno, rumoreggia tra una doccia e un sali-scendi per le scale. Per sfatare ogni mito: i sikh la notte dormono senza turbante e non si fanno alcun problema nel mostrare i loro lunghissimi capelli corvini all’occhio straniero. L’osservare il loro modo di prepararsi, di pettinarsi, di arrotolare metro su metro i coloratissimi turbanti, e, per le donne, l’indossare il prezioso oro indiano in tutte le salse, è qualcosa di meraviglioso. L’armonia, lo spirito di festa e di allegria tinge l’aria lungo le stradine di Arjawar e la musica, i balli, il cibo e l’incontro già alle 10 di mattina ravvivano la quotidianità speciale di questo giorno. Ciò che colpisce è l’energia e l’instancabilità che questi personaggi mondani riescono a tirar fuori nei giorni sacri. Il ballo scorre lungo le vene e rende il sangue in grado di circolare in modo tale da regalare spettacoli, danze e sorrisi fino a notte inoltrata. io ero in minoranza: l’unica bianca del villaggio, la special-guest, a detta loro. Per qualcuno sono apparsa davvero “special” poiché non avevano mai visto una persona di diverso colore, tanto che alcuni bambini alla mia vista sono scoppiati in un pianto di panico che solo dopo lunghi minuti è mutato in coccole e baci.
L’accoglienza che questo popolo è riuscita a darmi, assieme al fatto di esser in grado di farmi sentire più che a casa, sono stati elementi che profondamente segnano il mio pellegrinaggio in questa terra asiatica. Piedi e mani sono parti del corpo che il futuro sposo, in coerenza con la tradizione, deve cospargere di henné, tanto da esser costretto a dormire in una posizione tale da evitare di rovinare questa sorta di tatuaggio permanente. Seduti a terra tutti assieme contempliamo con gioia questo rito atavico e condividiamo del riso per cena. Il giorno seguente, il “fatidico” giorno, il mio ventre, gola, ossa, cranio, insomma, il mio corpo, decide di rifiutare la salute per accogliere disfunzioni intestinali, vomito e febbre.
Nonostante questo la mia determinazione, le mie braccia decorate dal mehndi (tatuaggio temporaneo tipico decorativo per la donna, obbligatorio per i matrimoni) sono riuscite a darmi quell’entusiasmo analgesico che mi ha concesso una partecipazione, anche se non attivissima, al rito tanto bramato. Cavalli principeschi, vestiti da favola, trucco e gioielli impreziosiscono i partecipanti. Lo sposo sul cavallo bianco, un abito e turbante incantevoli illuminano gli occhi di chiunque vi posi lo sguardo. Il giro del villaggio è d’obbligo, gli spettacoli con musica e danze altrettanto. Gli innumerevoli taxi e il mercedes bianco attendono invitati e sposo per raggiungere il palazzo maestoso che ospiterà il rito e la festa nunziale. Tappeto rosso, decorazioni sfavillanti, musica, tavoli e cibo ovunque accolgono le centinaia di persone che hanno accettato, come me, l’invito.
Lo scambio di doti tra le famiglie apre la celebrazione, il bacio sopra un altare colorato e le foto di famiglia e parenti la concludono. La sposa attende in una stanza l’arrivo dello sposo e prima di incontrarlo riceve la visita di noi fanciulle, ansiose di conoscerla e ammirarne la bellezza. L’esplosione di musica, spettacoli, foto e balli rende bene l’eccesso (in positivo) con il quale gli indiani sono in grado di celebrare i matrimoni. Una ventina di volte sono stata costretta a render visita non solo alla sposa, ma anche ai bagni del palazzo, con tanto di compassione e apprensione da parte di chiunque mi vedesse.
Una volta salita sul taxi crollo in un sonno che poi mi accompagnerà fino la mattina seguente, primo giorno in cui anche la sposa è al villaggio con noi ed è formalmente e fisicamente parte della grande famiglia. L’accoglienza per questa meravigliosa ragazza di 25 anni è dolce e calorosa, la sua timidezza e innocenza sono un binomio inevitabile per una neo-sposina in un luogo non conosciuto.
Queste infinite tre giornate di festa sono state precedute e susseguite dalla coincidenza di altre due feste: una concernente le donne del villaggio, che, tutte riunite vanno casa per casa a danzare e cantare raccogliendo denaro da spartire poi tra le ragazze più giovani (ho partecipato anch’io e mi hanno liberamente costretta ad accettare una manciata di rupie, pena l’offesa da parte di tutte); l’altra è la festa della fertilità e del ringraziamento per il buon raccolto agli elementi naturali come l’acqua, il vento e il fuoco: il Lohri festival.
Namasté
La curiosità per la cultura indiana, per la compresenza di differenti religioni e per il mistero che avvolge lo sguardo ingenuo di un occidentale medio come me nei confronti di una cultura con tante analogie quante diversità, ha spinto il mio interesse verso la necessità di concretizzazione. Questo per dire che il 2016 è stato l’anno in cui ho cercato di visitare, esplorare e avvicinarmi al mondo indiano direttamente in Italia, poiché, come ben sappiamo, sono molteplici le realtà dell’India esistenti nel nostro territorio. Si va dalle realtà induiste sino a quelle della religione Sikh, il cui luogo sacro per l’appunto è proprio il Gurudwara e la cui terra natia è proprio la regione del Punjab.
Una volta confermata la mia partenza per l’India ho accettato con entusiasmo quest’invito per concedermi uno dei momenti più importanti, a livello sia antropologico in termini di riti che esistenziale in termini di vita, della realtà sikhista. La mia povera immaginazione aveva però sottovalutato la magnificenza che un rito del genere potesse offrire. Innanzitutto la festa è durata per ben tre giorni. Nel mio caso ho assistito al pre-durante e post festa nunziale. Il tutto seguendo passo-passo quelle che sono le usanze della famiglia del futuro e neo-sposo. Il villaggio il giorno prima delle nozze è in festa, e quando parlo di villaggio intendo quello proprio che vedete nei documentari: strade sterrate, campi immensi (i sikh sono dei grandi agricoltori) costellati di piccole capanne coniche al cui interno viene conservato lo sterco di mucca essiccato, essenziale per la combustione del fuoco. I tetti sono rasi quanto la terra e colmi di cavi per stendere la biancheria e brandine dove si usa dormire durante la stagione più calda (sì, dormono proprio all’aperto sui tetti!).
Il giorno che precede lo sposalizio, dunque, ha inizio con un risveglio albeggiante: la casa, ormai già popolata da tutti i parenti da qualche giorno, rumoreggia tra una doccia e un sali-scendi per le scale. Per sfatare ogni mito: i sikh la notte dormono senza turbante e non si fanno alcun problema nel mostrare i loro lunghissimi capelli corvini all’occhio straniero. L’osservare il loro modo di prepararsi, di pettinarsi, di arrotolare metro su metro i coloratissimi turbanti, e, per le donne, l’indossare il prezioso oro indiano in tutte le salse, è qualcosa di meraviglioso. L’armonia, lo spirito di festa e di allegria tinge l’aria lungo le stradine di Arjawar e la musica, i balli, il cibo e l’incontro già alle 10 di mattina ravvivano la quotidianità speciale di questo giorno. Ciò che colpisce è l’energia e l’instancabilità che questi personaggi mondani riescono a tirar fuori nei giorni sacri. Il ballo scorre lungo le vene e rende il sangue in grado di circolare in modo tale da regalare spettacoli, danze e sorrisi fino a notte inoltrata. io ero in minoranza: l’unica bianca del villaggio, la special-guest, a detta loro. Per qualcuno sono apparsa davvero “special” poiché non avevano mai visto una persona di diverso colore, tanto che alcuni bambini alla mia vista sono scoppiati in un pianto di panico che solo dopo lunghi minuti è mutato in coccole e baci.
L’accoglienza che questo popolo è riuscita a darmi, assieme al fatto di esser in grado di farmi sentire più che a casa, sono stati elementi che profondamente segnano il mio pellegrinaggio in questa terra asiatica. Piedi e mani sono parti del corpo che il futuro sposo, in coerenza con la tradizione, deve cospargere di henné, tanto da esser costretto a dormire in una posizione tale da evitare di rovinare questa sorta di tatuaggio permanente. Seduti a terra tutti assieme contempliamo con gioia questo rito atavico e condividiamo del riso per cena. Il giorno seguente, il “fatidico” giorno, il mio ventre, gola, ossa, cranio, insomma, il mio corpo, decide di rifiutare la salute per accogliere disfunzioni intestinali, vomito e febbre.
Nonostante questo la mia determinazione, le mie braccia decorate dal mehndi (tatuaggio temporaneo tipico decorativo per la donna, obbligatorio per i matrimoni) sono riuscite a darmi quell’entusiasmo analgesico che mi ha concesso una partecipazione, anche se non attivissima, al rito tanto bramato. Cavalli principeschi, vestiti da favola, trucco e gioielli impreziosiscono i partecipanti. Lo sposo sul cavallo bianco, un abito e turbante incantevoli illuminano gli occhi di chiunque vi posi lo sguardo. Il giro del villaggio è d’obbligo, gli spettacoli con musica e danze altrettanto. Gli innumerevoli taxi e il mercedes bianco attendono invitati e sposo per raggiungere il palazzo maestoso che ospiterà il rito e la festa nunziale. Tappeto rosso, decorazioni sfavillanti, musica, tavoli e cibo ovunque accolgono le centinaia di persone che hanno accettato, come me, l’invito.
Lo scambio di doti tra le famiglie apre la celebrazione, il bacio sopra un altare colorato e le foto di famiglia e parenti la concludono. La sposa attende in una stanza l’arrivo dello sposo e prima di incontrarlo riceve la visita di noi fanciulle, ansiose di conoscerla e ammirarne la bellezza. L’esplosione di musica, spettacoli, foto e balli rende bene l’eccesso (in positivo) con il quale gli indiani sono in grado di celebrare i matrimoni. Una ventina di volte sono stata costretta a render visita non solo alla sposa, ma anche ai bagni del palazzo, con tanto di compassione e apprensione da parte di chiunque mi vedesse.
Una volta salita sul taxi crollo in un sonno che poi mi accompagnerà fino la mattina seguente, primo giorno in cui anche la sposa è al villaggio con noi ed è formalmente e fisicamente parte della grande famiglia. L’accoglienza per questa meravigliosa ragazza di 25 anni è dolce e calorosa, la sua timidezza e innocenza sono un binomio inevitabile per una neo-sposina in un luogo non conosciuto.
Queste infinite tre giornate di festa sono state precedute e susseguite dalla coincidenza di altre due feste: una concernente le donne del villaggio, che, tutte riunite vanno casa per casa a danzare e cantare raccogliendo denaro da spartire poi tra le ragazze più giovani (ho partecipato anch’io e mi hanno liberamente costretta ad accettare una manciata di rupie, pena l’offesa da parte di tutte); l’altra è la festa della fertilità e del ringraziamento per il buon raccolto agli elementi naturali come l’acqua, il vento e il fuoco: il Lohri festival.
Namasté
Giulia Vencato
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Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Aldo Pardi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Marco Maurizi, Gianluca De Fazio, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Mirjana Nardelli, Giovanni Ferrazzi, Francesco Ferrazzi, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Francesco Panizzo.
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