New Delhi, aeroporto Indira Gandhi: chiamare caos quello che mi si è presentato davanti agli occhi sarebbe estremamente riduttivo. Il riflesso di ciò che quotidianamente portiamo dentro, ovvero quel turbine entropico fatto di emozioni, pensiero e così via, prende forma nel vissuto esterno della mondanità nella capitale indiana e non solo.
Nella mattinata del diciassette novembre 2016, come ogni altro giorno, il terminal internazionale dell’aeroporto offre uno spettacolo colorato di rumori assordanti, quello dei clacson incessanti e di una moltitudine di persone provenienti da tutto il mondo, che, tra un centimetro e l’altro, cerca di farsi spazio per procedere verso il centro della città. Nel raggiungerlo, appunto, la folla impetuosa si trova già a far fronte a uno dei dilemmi caratteristici del territorio indiano: la scelta del mezzo di trasporto. Ebbene sì, perché dovete sapere che in India, l’abitudinarietà del trasporto odierno occidentale è una sorta di optional o comunque un qualcosa di ritenuto assolutamente alternativo al cospetto della miriade di varianti con le quali ci si può muovere. L’automobile, difatti, è sì presente nella panoramica delle scelte, ma non è l’unica. L’esemplare più diffuso, celebre icona e simbolo dello spostamento asiatico e in particolare indiano, è invece il Tuktuk ovvero l’equivalente del nostro tre ruote: l’Ape. Il Tuktuk è noto anche come AutoRickshaw, questo per differenziarlo dal Rickshaw, il quale anziché possedere un motore artificiale è carburato da quello umano. Muscoli e ossa al servizio del passeggero, che, con circa 20 rupie (14 centesimi di euro), riesce a spostarsi facilmente tra una location e l’altra della città. Per intenderci: un uomo in bicicletta o a piedi, peraltro nudi, traina i passeggeri seduti sul retro a mo’ di carrozza.
Le alternative non si fermano qui, infatti, per riassaporare tempi meno antichi di quanto si possa immaginare, ci sono anche cammelli, cavalli ed elefanti sui quali salire in groppa. Le particolarità accattivanti, invece, delle linee ferroviarie, costellate di carrozze di diverso tipo e collocate in stazioni altrettanto intriganti per la loro rarità esperienziale, saranno descritte nei prossimi articoli. La città di New Delhi vanta comunque un eccezionale servizio di metro, con una linea vasta ed estesa in tutta la città, sino a spingersi in alcune zone periferiche. Economica, all’avanguardia e pulitissima fa di certo invidia, e parlo per esperienza, ad alcune linee metro italiane e parigine, nonché europee. Descritto lo scenario opzionale, torniamo in aeroporto, in particolare nei pressi dell’uscita. Carica del mio zaino da montagna provo un senso di smarrimento, credo tipico di una persona proveniente dall’iper-civilizzazione europeo-americana. Lo smog, quella baraonda di persone e rumori uniti all’ignoranza sul come siano organizzati gli aeroporti asiatici, mi abbandonano alla sensazione di esser tornata, piuttosto che arrivata.
Uno squisito cocktail di ignoranza e iper-coscienza che rendono tutt’altro che banale ogni minimo respiro e ogni accurata osservazione della vita “in divenire” che non solo mi circonda, ma che mi fluisce dentro. Il fatto di non avere aspettative culla il mio sguardo perdendosi nella meraviglia, nello stupore e nell’incontro. Dal mendicante seminudo e sporco, al businessman in giacca e cravatta, dal sudiciume esterno, alla pulizia maniacale degli interni aeroportuali, dal Tuktuk driver che mastica delle strane gomme rosse che rilasciano segni evidenti su denti e gengive, all’autista distinto, in attesa del proprio passeggero d’élite. Dalla verità, alla menzogna, dal Bene al Male, dalla povertà alla ricchezza. La mappa indiana era già dinanzi al mio occhio stanco, ma curioso. Nessun filtro, nessuna vergogna, nessun apparente velo di maya per coprire una realtà che si vuol nascondere. L’India era già nuda, gli indiani già aperti all’incontro, alla conoscenza, all’unione, quell’unione cosmica che abbraccia ogni essere nel momento in cui lascia che la vita fluisca priva di maschere.
“L’India è vera anche quando è falsa”, questa la frase che martellava il mio cogitare incessante mentre il mio sguardo analizzava, targa per targa, le auto collocate all’esterno, in un ordinato disordine. Il mio intento era quello di scovare quello che sarebbe stato il taxi prenotato da un ragazzo indiano, futuro caro amico, che, conosciuto tramite la piattaforma “salva-vita” Couchsurfing, si era offerto di prenotarmi un Uber per farmi arrivare in centro. Provo a chiedere a destra e sinistra ma, da buon caos che si rispetti, ognuno dava informazioni per non fare brutta figura, pur non avendo la minima idea di cosa io stessi cercando, questa la mia innocente impressione. Dopo alcuni lunghissimi minuti, passati a far slalom tra taxi, tuktuk, uomini dallo sguardo spento e servile, ecco che un piccolo mezzo ammaccato dall’aria vissuta presenta esattamente la targa che io andavo cercando.
L’indirizzo di arrivo? L’appartamento di un ballerino di salsa, amico di una ragazza italiana conosciuta sul gruppo Facebook “Italiani in India”, che assieme alla piattaforma Couchsurfing, il passaparola, la socializzazione con le persone del posto, sono stati quegli strumenti importantissimi che mi hanno permesso di rimanere nel territorio indiano per cinque mesi senza dover ricorrere a prenotazioni, acconti e simili. Coraggio, spensieratezza e un po’ di sana incoscienza sono gli ingredienti segreti per abbandonarsi al flusso e fidarsi acché tutto vada per il meglio, riscoprendo quell’umanità, quelle solidarietà e serenità che ormai sono sepolte da secoli presso l’anima dell’occidentale medio. Leggere, guardare video, partecipare a eventi “alternativi”, seguire documentari e molto altro non mi bastava più: dovevo viverlo.
La verità è frutto dell’esperienza, il mio intento era quello di “costruire” nuove verità, di render concreto quello che vagamente la mia immaginazione costruiva con le informazioni che avevo a disposizione.
E questo, è stato solo l’inizio.
Namasté
Nella mattinata del diciassette novembre 2016, come ogni altro giorno, il terminal internazionale dell’aeroporto offre uno spettacolo colorato di rumori assordanti, quello dei clacson incessanti e di una moltitudine di persone provenienti da tutto il mondo, che, tra un centimetro e l’altro, cerca di farsi spazio per procedere verso il centro della città. Nel raggiungerlo, appunto, la folla impetuosa si trova già a far fronte a uno dei dilemmi caratteristici del territorio indiano: la scelta del mezzo di trasporto. Ebbene sì, perché dovete sapere che in India, l’abitudinarietà del trasporto odierno occidentale è una sorta di optional o comunque un qualcosa di ritenuto assolutamente alternativo al cospetto della miriade di varianti con le quali ci si può muovere. L’automobile, difatti, è sì presente nella panoramica delle scelte, ma non è l’unica. L’esemplare più diffuso, celebre icona e simbolo dello spostamento asiatico e in particolare indiano, è invece il Tuktuk ovvero l’equivalente del nostro tre ruote: l’Ape. Il Tuktuk è noto anche come AutoRickshaw, questo per differenziarlo dal Rickshaw, il quale anziché possedere un motore artificiale è carburato da quello umano. Muscoli e ossa al servizio del passeggero, che, con circa 20 rupie (14 centesimi di euro), riesce a spostarsi facilmente tra una location e l’altra della città. Per intenderci: un uomo in bicicletta o a piedi, peraltro nudi, traina i passeggeri seduti sul retro a mo’ di carrozza.
Le alternative non si fermano qui, infatti, per riassaporare tempi meno antichi di quanto si possa immaginare, ci sono anche cammelli, cavalli ed elefanti sui quali salire in groppa. Le particolarità accattivanti, invece, delle linee ferroviarie, costellate di carrozze di diverso tipo e collocate in stazioni altrettanto intriganti per la loro rarità esperienziale, saranno descritte nei prossimi articoli. La città di New Delhi vanta comunque un eccezionale servizio di metro, con una linea vasta ed estesa in tutta la città, sino a spingersi in alcune zone periferiche. Economica, all’avanguardia e pulitissima fa di certo invidia, e parlo per esperienza, ad alcune linee metro italiane e parigine, nonché europee. Descritto lo scenario opzionale, torniamo in aeroporto, in particolare nei pressi dell’uscita. Carica del mio zaino da montagna provo un senso di smarrimento, credo tipico di una persona proveniente dall’iper-civilizzazione europeo-americana. Lo smog, quella baraonda di persone e rumori uniti all’ignoranza sul come siano organizzati gli aeroporti asiatici, mi abbandonano alla sensazione di esser tornata, piuttosto che arrivata.
Uno squisito cocktail di ignoranza e iper-coscienza che rendono tutt’altro che banale ogni minimo respiro e ogni accurata osservazione della vita “in divenire” che non solo mi circonda, ma che mi fluisce dentro. Il fatto di non avere aspettative culla il mio sguardo perdendosi nella meraviglia, nello stupore e nell’incontro. Dal mendicante seminudo e sporco, al businessman in giacca e cravatta, dal sudiciume esterno, alla pulizia maniacale degli interni aeroportuali, dal Tuktuk driver che mastica delle strane gomme rosse che rilasciano segni evidenti su denti e gengive, all’autista distinto, in attesa del proprio passeggero d’élite. Dalla verità, alla menzogna, dal Bene al Male, dalla povertà alla ricchezza. La mappa indiana era già dinanzi al mio occhio stanco, ma curioso. Nessun filtro, nessuna vergogna, nessun apparente velo di maya per coprire una realtà che si vuol nascondere. L’India era già nuda, gli indiani già aperti all’incontro, alla conoscenza, all’unione, quell’unione cosmica che abbraccia ogni essere nel momento in cui lascia che la vita fluisca priva di maschere.
“L’India è vera anche quando è falsa”, questa la frase che martellava il mio cogitare incessante mentre il mio sguardo analizzava, targa per targa, le auto collocate all’esterno, in un ordinato disordine. Il mio intento era quello di scovare quello che sarebbe stato il taxi prenotato da un ragazzo indiano, futuro caro amico, che, conosciuto tramite la piattaforma “salva-vita” Couchsurfing, si era offerto di prenotarmi un Uber per farmi arrivare in centro. Provo a chiedere a destra e sinistra ma, da buon caos che si rispetti, ognuno dava informazioni per non fare brutta figura, pur non avendo la minima idea di cosa io stessi cercando, questa la mia innocente impressione. Dopo alcuni lunghissimi minuti, passati a far slalom tra taxi, tuktuk, uomini dallo sguardo spento e servile, ecco che un piccolo mezzo ammaccato dall’aria vissuta presenta esattamente la targa che io andavo cercando.
L’indirizzo di arrivo? L’appartamento di un ballerino di salsa, amico di una ragazza italiana conosciuta sul gruppo Facebook “Italiani in India”, che assieme alla piattaforma Couchsurfing, il passaparola, la socializzazione con le persone del posto, sono stati quegli strumenti importantissimi che mi hanno permesso di rimanere nel territorio indiano per cinque mesi senza dover ricorrere a prenotazioni, acconti e simili. Coraggio, spensieratezza e un po’ di sana incoscienza sono gli ingredienti segreti per abbandonarsi al flusso e fidarsi acché tutto vada per il meglio, riscoprendo quell’umanità, quelle solidarietà e serenità che ormai sono sepolte da secoli presso l’anima dell’occidentale medio. Leggere, guardare video, partecipare a eventi “alternativi”, seguire documentari e molto altro non mi bastava più: dovevo viverlo.
La verità è frutto dell’esperienza, il mio intento era quello di “costruire” nuove verità, di render concreto quello che vagamente la mia immaginazione costruiva con le informazioni che avevo a disposizione.
E questo, è stato solo l’inizio.
Namasté
Giulia Vencato
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Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Aldo Pardi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Marco Maurizi, Gianluca De Fazio, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Francesco Panizzo.
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