Quando il ragionier Amedeo Ludovisi si trovò di fronte il fantasma del cavaliere del lavoro Lorenzo Melucci, la sera del 14 Novembre, per poco non cadde vittima di un colpo apoplettico. Erano da poco passate le undici e l’uomo, sfinito dopo una giornata di rendicontazioni e fastidi vari, aveva indossato il suo pigiama blu e grigio, si era coricato e stava per spegnere la luce per godere di quel riposo tanto atteso. Non appena si voltò verso la porta, tuttavia, notò uno strano bagliore, come di brillantina cosparsa sui mobili e sul muro. Si stropicciò gli occhi, li chiuse, li riaprì, ma quello strano effetto era sempre presente, come uno sciame di lucciole in un prato d’estate.
Essendo troppo stanco per indagare, fece un gesto con la mano quasi a voler cacciar via quella distrazione e pressò l’interruttore dell’abat-jour. Il buio mise fine anche al luccichio e il Ludovisi, pensando di aver avuto le traveggole, si passò una mano sulla fronte e mormorò: “Sono proprio ridotto male!” Fu proprio mentre affondava la testa nel cuscino che per poco non rischiò la pelle: una figura intera, ben vestita, con le fattezze aristocratiche del suo ex-socio Melucci, apparve di fronte a lui, proprio come se fosse stata in carne e ossa. Il ragioniere fece un sobbalzo urtando contro la testiera del letto e sentì il cuore iniziare a palpitare all’impazzata: “Ma… Ma…”, cominciò a balbettare, “Non può… No… No…”, dopo di che, senza emettere altri suoni, cadde svenuto e trascorse privo di coscienza l’intera nottata. Quando si svegliò, l’indomani mattina, si sentiva intontito come dopo un’ubriacatura e, poggiando i piedi per terra, fu colpito da un violento capogiro: “Deve essere stato un brutto incubo” - disse sottovoce “Sto proprio messo male…” Indossò la sua vestaglia di flanella e andò lentamente in cucina a prepararsi il caffè. Mentre entrava nella stanza, dirigendosi verso i fornelli, notò un foglio ripiegato e poggiato sul tavolo. “Io non l’ho lasciato lì ieri sera…”, pensò perplesso con la vista che ancora gli si annebbiava. In effetti quel foglio di carta spessa e leggermente ambrata, non solo non lo aveva posato lui, ma non l’aveva neanche mai avuto sottomano. Lo prese osservando il braccio tremargli e la pelle d’oca comparire come un’irritazione improvvisa. Era scritto di pugno, in bella calligrafia, e riportava la seguente lettera: “Carissimo Amedeo, da quando quell’infarto mi ha tolto i giorni, un peso grava sulla mia coscienza: l’unica traccia d’umanità che ancora persiste di me. Avrei dovuto confessarti prima la mia colpa ma mi è stata data licenza di farlo adesso… Perdonami per ieri, so di averti terrorizzato; per questo ho preferito lasciarti questo foglio, affinché tu sappia che provo solo sdegno per i miei errori. Lo confesso: ho rubato soldi dalla nostra società. Riuscivo a farlo tramite commesse false e diavolerie finanziarie, ma sappi che sono arrivato a tale indecenza solo per necessità, per pagare debiti che vivono ancora, seppur io sia morto e sepolto. Adesso è tutto in mano tua e sono certo che saprai gestire al meglio un’attività che, in fin dei conti, avevi ideato tu e che quindi meriti di dirigere senza ingerenze. Ti auguro sinceramente salute e fortuna, il tuo (spero ancora) amico Lorenzo.” Il foglio gli cadde di mano appena in tempo per permettergli di appoggiarsi a una sedia. Tutto iniziò a girare attorno a lui e la paura fece di nuovo correre il suo cuore come un cavallo imbizzarrito. Riuscì a muoversi lentamente fino a raggiungere una bottiglia d’acqua. Ne mandò giù diversi sorsi bagnandosi tutta la vestaglia. Poi si lasciò andare sul tavolo e chiuse gli occhi per non vedere più quel vorticoso succedersi di immagini e suoni. Rimase immobile per una decina di minuti, incapace di pensare razionalmente. “Non è possibile… No… Non è…”, ripeteva come un giradischi inceppato, “No…”. Alle otto, la donna che lo aiutava nei lavori domestici suonò, puntuale come sempre, alla sua porta. “Devo aprire ad Angelina” pensò ritornando eretto “Altrimenti penserà che sto male…” Si alzò e barcollando andò all’ingresso, girò la chiave con difficoltà e abbassò la maniglia. Non ebbe la forza di fare altro. Restò immobile ad attendere che fosse lei a spingere per entrare. “Ragionier Ludovisi!”, esclamò la donna non appena lo vide cereo e impalato come una statua di cera, “Ma si sente bene? Vuole che le chiami subito un dottore?” “No, non si preoccupi…”, balbettò l’uomo che temeva i dottori più della peste, “Sbrighi pure le sue faccende” e lentamente, con un respiro affannoso, si diresse nel suo studiolo. La donna lo guardò camminare trascinando i piedi come se le gambe gli pesassero più del suo intero corpo e non riuscì a trattenersi dal ripetere: “Ragioniere, a me non sembra che lei stia bene… Comunque, per qualsiasi problema, mi chiami…” - e iniziò a rimettere in ordine le poche cose lasciate fuori posto nel soggiorno. Nel frattempo l’uomo era entrato nella stanzetta adibita a studio e camminava avanti e indietro facendo un rumore di carta calpestata. Angelina, donna poco istruita dalla scuola ma resa saggia da una vita di sacrifici, sentendo quello scalpiccio tanto inusuale, si affacciò alla porta e vide il ragionier Ludovisi in piedi di fronte al vetro della porta finestra, circondato da decine di fogli appallottolati e gettati in terra. “Mamma mia, che disordine!”, esclamò vedendo la camera in quello stato. Ludovisi neanche si voltò, come se non avesse udito quelle parole: “Sbrighi pure le sue faccende Angelina, io sto bene”. “Lo sto facendo ragioniere…”, rispose iniziando a raccogliere tutti i fogli abbandonati per terra. “Ma qui non c’è nulla da fare… Mi riassetti la camera da letto. Penso che mi stenderò un po’ per riposare i nervi”. Angelina guardò quella figura in contrasto con la luce del giorno e le parve quasi eterea, luminescente come i bagliori che l’uomo aveva visto la notte precedente. “Secondo me lei non sta bene”- aggiunse - “Comunque, mi lasci raccogliere tutta quest’immondizia e poi le preparerò la camera”. Iniziò a raccattare i fogli e a riporli in un risvolto del suo grembiule. Non era una donna curiosa, ma la tentazione fu ben più forte di lei: ne aprì un paio a caso e notò che erano identici. Si trattava della bozza, forse mai ultimata, di una lettera scritta a mano con la calligrafia del Ludovisi. Iniziò a leggerla strizzando gli occhi: “Caro Lorenzo, la tua scomparsa è stata un duro colpo per me. Non soltanto perché ho perso un amico fedele, ma soprattutto a causa della repentinità che non mi ha permesso di mettermi in pari con la tua buona fede. Purtroppo, come tu sai, ho perso un ingente fortuna al gioco e, senza neanche rendermene pienamente conto, sono finito nelle mani di uno strozzino (che tu conosci…), il quale pretende un versamento ogni settimana. Ero disperato, Lorenzo. Disperato. Solo per questa ragione, e approfittando della tua fiducia, ho truccato parecchi conti e sottratto capitale liquido alla società. Dopo il tuo infarto, è stato come se fossi morto anch’io… Forse era giusto che morissi io, invece che tu, che magari mi ammazzasse quella carogna a cui devo ancora molto più denaro di quanto me ne ha prestato… Mi dispiace, carissimo amico. Mi dispiace…” Al termine della lettura, Angelina emise un leggero borbottio, come se ciò che aveva appena compreso fosse a lei molto più tristemente familiare che al ragionier Ludovisi. “Non si tormenti”, disse avvicinandosi all’uomo, “Se non sbagliassimo, non saremmo neanche esseri umani!” Amedeo si voltò lentamente, come una marionetta azionata da un meccanismo automatico. I suoi occhi erano vitrei, profondi come caverne senza luce. “Ho visto un fantasma”, sussurrò come se gli mancasse l’aria, “E mi ha lasciato pure una lettera… Ho visto un fantasma, Angelina…” La signora lo prese delicatamente per un braccio: “Ragioniere, lei è confuso e non si sente bene. Vada a riposarsi in camera. La riordinerò nel pomeriggio.” L’uomo, che sembrava invecchiare a vista d’occhio, non rispose. Era immobile, paralizzato da una paura che risaliva dal vuoto del suo essere. Guardò Angelina, e con un filo di voce le chiese: “Ha letto anche lei la lettera nel soggiorno?”. “Non c’è nulla nel soggiorno… Ho sbirciato le brutte copie che sono qui…”, rispose pudicamente la donna. “Ma cosa dice? Non esistono brutte copie! Mi vuole prendere in giro, Angelina?” - esclamò leggermente accigliato il ragioniere - “È di là… Melucci l’ha scritta stanotte… Riconosco la forma delle sue lettere…”. “Melucci?”, esclamò Angelina, “Ma non è morto?” - “Appunto…”, sospirò l’uomo. “Nel soggiorno non c’è nulla, ragioniere… Penso che lei sia confuso e tutti questi fogli lo dimostrano… Si vada a stendere, mi occuperò io di riordinare.” - “Di là… Di là… Angelina”, ripeté meccanicamente Ludovisi. Poi, voltandosi di nuovo verso il suo pallido riflesso sul vetro striato di polvere e pioggerillina, aggiunse mormorando: “Non si preoccupi per me. Torni pure a sbrigare le sue faccende…” Giuseppe Bonaccorso
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