FLORENTIA
Racconto di Carlo Menzinger
Nell’anno del primo consolato di Caio Giulio Cesare e di Marco Calpurnio Bibulo, Cesare, allora poco più che quarantenne, aveva dato disposizione che fosse costruito sulle rive dell’Arno un villaggio da destinare ai veterani di guerra. Gli diede nome Florentia, augurandogli così di divenire un centro fiorente e florido. Sebbene l’iniziativa potesse essere fatta rientrare nella ridistribuzione di appezzamenti di ager publicus ai veterani di Pompeo - con il quale condivideva il triumvirato assieme a Crasso - e nella creazione di nuove colonie in Italia, con la fondazione di Florentia il suo obiettivo specifico era tenere sotto controllo Fiesole, uno dei più vivaci centri ancora in mano ai Catilinari, i seguaci di Lucio Sergio Catilina.
Pochi anni prima Cesare era stato accusato di essere tra i congiurati assieme allo stesso Catilina e aveva difeso in senato i compagni Lentulo e Cetego. Fallita la congiura, Cesare si era discostato da Catilina e aveva preso una sua strada, cercando di far dimenticare quelle simpatie. |
Catilina era stato una spina nel fianco di Crasso, l’altro triumviro, e Marco Tulllio Cicerone era riuscito più di una volta a impedirne l’ascesa al consolato; infine, Catilina era morto in battaglia a Pistoia. Cesare doveva mantenerne le distanze, da lui e dai suoi compagni di un tempo. Come Catilina, ricercava l’appoggio della plebe e non poteva permettersi dei concorrenti diretti. Simpatizzanti dei Catilinari si nascondevano in varie città della penisola, molti a Fiesole, dove Catilina aveva posto la sua base; Cesare sospettava che cercassero di riorganizzarsi lì, ma attaccare apertamente Fiesole era fuori discussione.
Scampato alla battaglia di Pistoia e alle epurazioni, tra i Catilinari a Fiesole si rifugiava anche Aulo, che tra loro andava assumendo un ruolo preminente. Durante uno dei loro incontri segreti nella villa di Marcia Lentulo, Aulo dichiarò per l’ennesima volta i suoi sospetti. «Amici, sono ormai quattro anni che Cesare ha fatto edificare questa Florentia alle porte della nostra città e che l’ha riempita di soldati. Lo definisce un villaggio ma, lo vedete bene, è un accampamento militare. Non capite i suoi propositi?» «Aulo, vedi più congiure di Cicerone!» lo schernì Decimo. «Quelli che tu chiami soldati sono solo vecchi veterani. Che male potrebbero farci?» «Vecchi, tu dici? Veterani sì, ma mica tanto vecchi. Sono soldati esperti, e per giunta ancora fedeli a Pompeo e ora grati a Cesare. Questo sono, soldati,» ribatté Aulo. «Cesare vuole tenerci sotto controllo. Lui che un tempo era dalla nostra parte. Ci teme ancora. Non gli è bastato che un avversario del suo triumvirato come Marco Petreio sconfiggesse Lucio Sergio Catilina a Pistoia, non gli è bastato lasciarlo infamare da Cicerone, non gli è bastato sbarrargli la via al consolato che certo avrebbe meritato più di altri. Era nostro amico Cesare? Non riesco più a crederlo. Catilina, per il grande Cesare, era troppo vicino alla plebe, con le sue idee rivoluzionarie di remissione dei debiti, ridistribuzione al popolo delle terre demaniali e delle prede di guerra. Gli schiavi e la plebe romana lo adoravano e i ricchi patrizi, Crasso per primo, lo temevano. Il traditore è Cesare. È lui a essersi asservito a Pompeo e Crasso, abbandonato il popolo. Catilina ha denunciato il Senato, con il suo potere ereditario, la sua collusione con i proprietari terrieri patrizi…» «…ma non credeva neppure nell’elettorato, servo delle clientele, con i cittadini più poveri tenuti lontani dal voto per l’onerosità di recarsi a Roma per esprimere la propria scelta,» lo interruppe Decimo. «Catilina non credeva nel potere del voto popolare, ma credeva nel potere della plebe romana. Credeva nella sua forza. Per questo tentò la congiura,» disse Gaio. «Anche Cesare crede in questo. Io non penso che si debba considerare nostro nemico, né che la fondazione di Florentia sia una dichiarazione di guerra contro noi Catilinari.» «Catilina è morto, la congiura smascherata e sconfitta, ma Cesare, i patrizi e il Senato lo temono ancora. Temono che noi possiamo coinvolgere la plebe. Ci temono. Temono Fiesole, perché sanno che a Fiesole gli ideali di Catilina sono ancora forti. Florentia è una minaccia per queste idee, è una minaccia per Fiesole, è una minaccia per la memoria di Catilina, che Cicerone e Sallustio hanno già sufficientemente infangato,» spiegò Aulo. «E allora? Che cosa vorresti fare, dunque, Aulo?» chiese Gaio. «Cosa? Non è evidente? Dobbiamo liberarci di Florentia, una volta per tutte. Prima che il villaggio cresca, prima che il castrum si trasformi in una vera città, magari fortificata.» «Cesare non ci perdonerà,» ribatté Gaio. «Non abbiamo bisogno del suo perdono. Se sarà così sciocco da farci guerra, che la faccia. Si renderà conto di chi era Catilina. È morto, ma il popolo lo ama ancora. Se il popolo capirà che combattiamo per i suoi ideali, che combattiamo per loro, sarà con noi, e il Senato non oserà toccarci. I Tribuni della Plebe sono con noi.» «Per quel che contano! sbuffò Decimo. «Sempre che sia davvero ancora così,» osservò Gaio. «Comunque, non è necessario che sappiano che saremo stati noi a distruggere Florentia. Potremo agire di notte. Darla alle fiamme e fuggire. Sospetteranno certo di noi, ma negheremo. Troveremo degli alibi. Non potranno dimostrare che sia stata opera nostra. Dobbiamo farlo per Catilina. Per la sua memoria profanata.» «Dovremmo piuttosto bruciare la casa di Cicerone, allora!» inveì Gaio. «“Fino a quando, Cicerone, abuserai della pazienza nostra?” Se non ci fossero stati i brogli elettorali di Cicerone, non sarebbe stata necessaria alcuna congiura e Catilina sarebbe diventato console, per il bene di Roma.» «Lascia stare Cicerone, Gaio,» riprese Aulo. «Sai che è ben protetto. Non si risolverebbe comunque nulla. Cesare sarebbe sempre Cesare e Catilina sarebbe sempre morto. Pensiamo a noi, ora, a questa minaccia che incombe su di noi, a questa Florentia che minaccia la nostra Fiesole, la nostra ultima roccaforte. Spazziamola via finché ancora si sente l’odore della terra smossa delle fondamenta. Non lasciamo che ci cresca la serpe in seno. Schiacciamo l’uovo prima che si apra.» «Ci basterà poco,» lo sostenne Decimo. «Qualche torcia e un po’ d’olio combustibile da spargere sull’accampamento. La cosa può esser fatta già tra un paio di giorni. La luna è quasi nuova. Il momento di agire è questo, con la protezione delle tenebre.» «E quando il fuoco si sarà placato, faremo come con Cartagine: passeremo l’aratro sulle rovine e getteremo sale nei solchi, affinché nulla più vi sorga,» concluse Aulo. La sera Aulo riferì i loro propositi alla moglie Porzia, che lo fissò esterrefatta. «Ti rendi conto, Aulo? Catilina è morto e con lui il suo progetto. Fiesole è solo un piccolo centro, troppo vicino a Roma perché i patrizi e il Senato possano lasciare che faccia il suo comodo e distrugga un insediamento voluto dallo stesso Cesare. Mi hai detto tu stesso quanto Cesare stia diventando importante. Le sue campagne di Gallia e il triumvirato che ha stretto con Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso l’hanno reso uno degli uomini più potenti di Roma. Florentia è una sua creatura. Non si uccide un cucciolo tra le zampe di una fiera: la sua vendetta non tarderà e sarà rovente.» «Ti preoccupi troppo, Porzia. Ci muoveremo con attenzione. Florentia è solo un piccolo insediamento. Cesare non rischierà una guerra con Fiesole per così poco.» «Non è poco, Aulo. È un affronto degli amici del suo grande nemico al suo potere. Lasciando uccidere Catilina pensa di aver schiacciato la testa del serpente, ma se lo vedrà ancora muoversi sarà implacabile e ne farà a pezzi anche il corpo.» Quelle della moglie non erano farneticazioni. Anche se aveva ragione, non poteva permettere che quella città sorgesse così vicino a Fiesole. Avrebbe creato in ogni caso danni ai catilinari e a Fiesole stessa. Organizzarsi non fu così facile. Fu presto chiaro che per avere successo non bastavano pochi uomini armati di torce, Florentia era già ben popolata e non mancava di armi. Occorreva una vera azione militare: Fiesole avrebbe dovuto esporsi e mandare il suo esercito. Qualcuno temeva che ciò avrebbe provocato ritorsioni, ma Aulo li convinse che Fiesole ne avrebbe guadagnato in rispetto e importanza. Dovettero aspettare che la luna facesse un altro giro per avere il favore delle tenebre, ma al novilunio successivo erano pronti per l’attacco. L’impresa fu facile. I pochi uomini male armati che vivevano a Florentia, colti nel sonno, non riuscirono a organizzarsi, e i fiesolani dilagarono lungo le vie che la attraversavano perpendicolarmente, sette da nord a sud e cinque da est a ovest, dando fuoco a tutto ciò che trovavano e uccidendo chi veniva loro incontro. Un cerchio di uomini sistemato intorno al villaggio eliminò chi provava a fuggirne. Fu una strage. Aulo e gli altri catilinari esultarono e cantarono vittoria, pur sapendo che la partita con Cesare era appena cominciata. Giulio Cesare lo considerò un affronto. Marco Licinio Crasso e Gneo Pompeo Magno erano consoli per la seconda volta. Crasso convinse gli altri due triumviri della minaccia rappresentata da Fiesole. A Cesare stesso fu affidata la guida della legione, già stanziata in Etruria, che avrebbe punito l’onta. Non c’erano prove sui mandanti dell’attacco, ma nemmeno dubbi. Cesare lanciò il suo ultimatum alla città: tutti i catilinari dovevano essergli consegnati e Fiesole doveva giurare fedeltà assoluta a Roma, pagando una tassa speciale per la sua insubordinazione. I catilinari considerarono quelle intimidazioni inaccettabili e nessun altro in città osò opporsi alla loro decisione. Il messaggero fu rimandato da Cesare con un rifiuto. La legione strinse d’assedio Fiesole per cinquantaquattro giorni. Aulo continuava a ripetere: «Il popolo di Roma ci verrà in aiuto. L’Etruria insorgerà.» La moglie Porzia lo ascoltava senza parlare. Di quale Etruria parlava? Non vedeva che tutta la regione era sotto il controllo dell’Urbe? Avrebbe voluto gridare “Te l’avevo detto!” ma a cosa sarebbe servito? Solo a far innervosire il marito e magari a farsi picchiare per la frustrazione. Aulo ce l’aveva con Cesare, non era solo una questione politica: per lui era una questione personale e Porzia lo sapeva. Il tempo passava e nessun aiuto arrivava a Fiesole, sempre più stremata. La città non osava dar battaglia. Lo stesso Aulo era certo che non fosse prudente scendere in campo aperto. Il loro vantaggio stava tutto nella fortificazione della città. Se Cesare avesse attaccato, lo avrebbero respinto. Ma Cesare non attaccava. Si limitava ad aspettare e a impedire ai fiesolani di uscire o ricevere rifornimenti dall’esterno. Non si sprecò neppure a guidare l’assedio di persona e fece ritorno a Roma. Al cinquantacinquesimo giorno di assedio alcuni fiesolani, in cambio della loro vita e quella delle loro famiglie, aprirono le porte alla legione romana, che entrò, annientando le truppe fiaccate di Fiesole. I catilinari furono crocifissi in piazza e le loro proprietà sequestrate. Aulo, indicato come il capo della campagna contro Florentia, ebbe una croce al centro del teatro che era stato costruito al tempo di Silla. Per tre giorni consecutivi, Cesare trascorse del tempo seduto sui gradoni del teatro con gli occhi fissi su di lui, che moriva lentamente. Il primo giorno l’imperatore guardò senza parlare il piccolo uomo che aveva osato sfidarlo. Aulo lo riconobbe e a sua volta non disse nulla. Il secondo giorno, seduto nello stesso posto del giorno precedente, gli chiese: «Ebbene, Aulo, ancora non muori?» Aulo, digrignando i denti per il dolore, rispose: «Ebbene, Cesare, ancora non muori neanche tu?» Il terzo giorno Aulo era disidratato, sentiva le sue membra come morte. Nessuno aveva tentato di salvarlo, né gli dei avevano oscurato il cielo o scosso la terra per manifestare la loro indignazione. Cesare si sedette e ripeté la sua domanda. «Allora, Aulo, cosa aspetti a morire? Voglio tornare a Roma, dove ho altre faccende da sbrigare, ma prima vorrei vedere la tua fine.» «Ti capisco, Cesare,» rispose a fatica Aulo. «Devi aver fretta di tornare nell’Urbe, dove i tuoi amici stanno certo preparandoti un letto irto di pugnali su cui non vedrai l’ora di giacere.» «Non ti preoccupare per me, Aulo, ma sbrigati a porre fine al tuo supplizio.» «Gli Dei ancora non mi vogliono innalzare tra loro. Forse sentono la tua presenza e questo li disturba. Il mio solo rimpianto è di non poter essere tra coloro che ti uccideranno. Non solo per Catilina, per Fiesole, ma anche per quello che hai fatto a mio fratello.» «Tuo fratello? Ancora quella vecchia storia. Non fu colpa mia se morì. Mi dispiace che ti ostini con quest’assurdità. Visto che non ti decidi a raggiungerlo, vorrà dire che ti darò una mano. Ci sono 430.000 Usipeti e Tencteri ammassati sul Reno, che minacciano dalla Germania le province galliche. Bisogna che io parta per Roma e mi organizzi per andare a combatterli. Questa tua agonia mi sta facendo perder tempo, tuttavia vorrei andar via vedendoti morto.» Detto ciò, fece un cenno a un legionario e quello trapassò il cuore di Aulo con la sua lancia. Tutti i fiesolani in età da combattimento furono uccisi negli scontri o giustiziati subito dopo. Cesare fu tentato di dar fuoco a Fiesole come Fiesole aveva dato fuoco a Florentia, ma i consoli gli mandarono a dire di usare clemenza, e la sua ira, ormai sfogata con la morte di Aulo, si placò. Ripartì e presto si dimenticò di Florentia: soggiogata Fiesole e annientati i catilinari, non ne aveva più bisogno. Era stata solo una piccola città dalla breve vita. Racconto tratto dall’antologia “Apocalissi fiorentine“ (tabula Fati, 2019) di Carlo Menzinger di Preussenthal (www.menzinger.it) Carlo Menzinger
Note:
L’attacco di Fiesole contro la neonata Firenze è un’invenzione dell’autore (divergenza ucronica).
Scrivono in PASSPARnous:
Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Aldo Pardi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Marco Maurizi, Gianluca De Fazio, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Nicola Candreva, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Maria D’Ugo, Giovanni Ferrazzi, Francesco Ferrazzi, Luigi Prestinenza Puglisi, Maurizio Oliviero, Francis kay, Bruna Monaco, Laureano Lopez Martinez, Nicola Bianchi, Caterina Perrone, Francesco Panizzo. |
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