Racconto di Carlo Menzinger
I pirati giunsero a Firenze con i loro sommergibili a remi in una notte tempestosa. Il vento tormentava l’Arno in tumulto con raffiche sferzanti di pioggia. Omar il Devastatore fece lanciare gli arpioni su Ponte Vecchio e i suoi uomini si arrampicarono come ragni sulle funi oscillanti nel vento, incuranti della doccia violenta e acida che li investiva. Di guardia c’erano solo pochi armigeri di Re Leopoldo, che si accorsero di loro quando ormai avevano preso il ponte. Accorsero invano a ostacolarli ma furono respinti da quella torma urlante con le sciabole al plasma sguainate. I loro moschetti lanciafiamme, umidi di pioggia, poco poterono contro quella carica forsennata.
Quando il ponte fu del tutto in mano loro, Omar il Devastatore fece issare le colubrine a ioni e le piazzò sotto le arcate. Abdourahim e gli altri pirati sfondarono le porte dei negozi, intascando manciate di gioielli al passaggio, ma rimandando il saccheggio. Il ragazzo non aveva mai visto tanti gioielli in vita sua. Piazzare le colubrine alle finestre era la loro priorità e quella del corsaro guercio che li comandava. Contravvenirne la volontà non era una buona idea e questo lo sapevano tutti. Troppi uomini avevano visto torturare, menomare, rinchiudere nelle camere di deprivazione o uccidere solo per alcune parole di traverso. Una volta Abdourahim aveva osato attardarsi durante un abbordaggio ed era stato buttato in mare. Lo ripescarono quando ormai stava per affogare. Questa volta si limitò a ficcarsi una manciata di braccialetti e collane in tasca mentre spingeva nel negozio la colubrina. Con quel tempo infernale Re Leopoldo non poté far uscire dal porto i velieri fluviali. A fronteggiare i sommergibili pirati inviò solo alcune triremi a getto. Anche i palloni aerofluttuanti non erano in grado di levarsi in volo. La fanteria assalì il ponte da Via Por Santa Maria, attraversando Lungarno Leopoldo, e da via De’ Guicciardini, dalla parte opposta del fiume, ma quando arrivò al ponte, Omar Il Devastatore aveva già fatto barricare i due accessi con cavalletti rotoseganti e la fanteria poté attaccare solo con piccoli contingenti per volta. I proiettili al napalm dei pirati fecero strage di fanti. Il re non rinunciò all’assedio, ma i pirati ebbero mano libera per il saccheggio. Abdourahim avrebbe voluto unirsi ai compagni ma doveva assistere il cannoniere alla colubrina. Bastarono pochi pirati a tenere a bada la fanteria. Il vecchio corsaro guercio fece calare nei sommergili saccate d’oro. Svuotarono le oreficerie di Ponte Vecchio in un baleno e si calarono di nuovo nelle loro imbarcazioni subacquee. I pochi valorosi rimasti a proteggere la ritirata furono difesi dall’artiglieria dei sommergibili mentre si calavano a loro volta e persino alcuni di loro riuscirono a salvarsi, tanto era fiacca la resistenza dei militari del Regno dell’Alto Tirreno. Risalire l’Arno in tempesta era stata un’impresa titanica, remando contro corrente. Ridiscenderlo poteva forse sembrare più semplice, dato che il fluire del fiume era a loro favore, ma la corrente in quel giorno di tempesta era impetuosa e rendeva difficile governare i microscopici sommergibili. Inoltre, dovevano tenersi pericolosamente vicini al fondale per non farsi scorgere dai cecchini lungo le rive. Per loro fortuna la pioggia non calò d’intensità celandoli alla vista. Il viaggio fino a Pisa sarebbe stato tutt’altro che facile e breve. Di attraversare con i sommergibili la città fortificata non se ne parlava nemmeno. Omar lo aveva ben chiaro. Ormai non avevano più alcun fattore sorpresa a loro vantaggio. Questo Il Devastatore lo aveva previsto sin dall’inizio. Anche il passaggio di Pontedera, con le sue torri d’avvistamento lungo il fiume, era qualcosa che voleva evitare e si era organizzato in tal senso. Poco prima del Ponte alla Navetta lo attendevano i suoi carri. Fece tirare a riva i sommergibili e li caricò sopra. Le diligenze erano corazzate e armate di colubrine e archibugi rotanti. I sinto-cavalli indossavano armature di berillio con riflessi di xenon azzurro. La carovana non poteva non poteva muoversi velocemente ma non sarebbe stata un osso facile da spolpare. Abdourahim era di nuovo a supporto del cannoniere. Era il suo primo saccheggio, ma per tutti era comunque la prima volta che assalivano la capitale del Regno. Omar si era guadagnato la sua fama di Devastatore assalendo le coste. Mai aveva osato spingersi tanto all’interno. Certo, il mare, con lo scioglimento dei ghiacci, ormai arrivava fin quasi a Pontedera, ma Pisa e Lucca, sebbene sotto il livello del mare, resistevano, protette dalle alte mura che erano al contempo difesa dai nemici e dighe per proteggersi dal crescere delle acque. Arrivare a Firenze significava fronteggiare prima le loro guarnigioni. Omar era sgusciato sotto i loro occhi grazie ai piccoli sommergibili. L’esercito reale ora li attendeva a Pontedera, certo che avrebbero tentato di forzarne la difesa per gettarsi subito in mare. Invece, non c’era più nessuno nell’Arno e la carovana, la prese larga puntando verso sud. Il Tirreno giungeva ormai sino alle pendici di San Gimignano e Volterra e aveva allagato Ponsacco. Era lì che li attendeva la loro piccola flotta. In meno di due ore furono al mare. Fu mentre trasbordavano l’oro dai carri alle navi che Abdourahim commise la sua follia. Una sacca piena d’oro era rimasta tra le colubrine. Non era troppo grande, ma conteneva tanto oro quanto non ne avrebbe guadagnato in tre anni. La nascose sotto la giubba, bloccandola con la cintura. Il problema era come tenerla nascosto a bordo. Dormivano in camerate comuni o dove capitava. Non aveva certo uno spazio suo e non c’erano nascondigli. Dopo quel gesto improvviso e non ragionato il ragazzo si fece prendere dall’ansia. Perché aveva preso quel sacco d’oro? Come poteva pensare di farla franca? Certo i pirati non si erano messi a contare i sacchi mentre li portavano via, ma non avendo un posto per nasconderlo, come avrebbe potuto giustificarne il possesso? Avrebbe potuto nasconderlo in qualche luogo anonimo della nave: chiunque potrebbe averlo lasciato lì. Come sarebbero potuti risalire a lui? Chiunque, però, avrebbe potuto trovarlo e lui avrebbe perso tutto. Si sentiva combattuto tra la paura e l’avidità. Non si considerava, però, avido. Di quell’oro aveva bisogno. Non possedeva nulla e fare il pirata era mestiere troppo pericoloso per il suo carattere. Con quei gioielli avrebbe potuto cambiar vita. Almeno per un po’. Una volta in mare non avrebbe avuto scelta. Le navi corsare erano ancora alla fonda. I carri corazzati stavano per andarsene. Alleggeriti avrebbero viaggiato veloci e contavano di trovare presto rifugio. Abdourahim pensò che se fosse stato sui carri avrebbe potuto trovare un modo per allontanarsi con l’oro. Avrebbe potuto anche tentare la fuga da lì, ma avrebbero subito notato la sua assenza e gli sarebbero stati alle calcagna. Doveva trovare una scusa per farsi assegnare ai carri. Chi viaggiava per terra correva più rischi. Forse qualcuno gli avrebbe ceduto il posto. La pioggia era cessata e il sole si stava alzando all’orizzonte. Il tempo li stringeva d’assedio. Si avvicinò a Osama. Il ragazzo non era dei più intrepidi e lo sapevano tutti. «Beato tu che viaggi per terra» gli disse, ad alta voce, in modo che altri lo sentissero «l’idea di tornare a star chiuso nella nave proprio non mi alletta.» «Fai presto a parlare tu,» lo apostrofò Osama «tanto siamo noi a rischiare la vita in queste paludi. Vorrei vederti al posto mio.» «Pensi forse che non farei a scambio, se potessi?» lo rimbeccò Abdourahim. «Certo che no! Te la faresti sotto.» Erano proprio queste le parole che Abdourahim sperava di tirargli fuori. «Avete sentito tutti? Osama mi ha sfidato. Accetto la sfida. Chiedo di sostituirlo nel carro.» Abbas, che guidava i carri, lo sentì. Non conosceva bene Abdourahim ma poco gli piaceva Osama, per cui disse: «Piantatela di cianciare. Non abbiamo tempo da perdere. Le guardie reali tra poco ci saranno addosso e la Tana è lontana. Fate questo scambio e non rompete i coglioni.» Osama tentò un accenno di protesta, ma lo sguardo di fuoco di Abbas lo fulminò. Scese furente dal carro e si diresse verso le scialuppe che stavano per partire. Abdourahim cercò di non sembrare troppo soddisfatto. Non voleva creare troppi sospetti. Aveva già rischiato grosso. Ci mancava solo che lo perquisissero. Sarebbe stato ammazzato all’istante. Avevano tutti fretta, però, e nessuno lo toccò. I sinto-cavalli partirono al galoppo. San Gimignano era una roccaforte del Regno. I soldati sarebbero partiti da lì per andare presidiare l’Arno. I pirati però non potevano escludere pattuglie in perlustrazione nelle paludi. Oltre tutto le strade che le attraversavano, opportunamente fatte rialzare da Re Leopoldo e dal suo predecessore quando il mare aveva invaso la pianura, erano poche. Se avessero incrociato una pattuglia, o peggio, sarebbe stata battaglia. I tre carri erano ben attrezzati ma molte armi erano state riportate sulle navi e gli uomini erano solo sei. I confini del Regno dell’Alto Tirreno erano, però, vicini. La Repubblica Socialista di Siena arrivava fino a Corazzano e al Golfo di Capannoli. La loro “Tana” era subito oltre il confine. La Repubblica fingeva di ostacolare la pirateria, ma chiunque desse fastidio ai monarchici di Firenze aveva il loro appoggio, per quanto, come in questo caso, segreto. Che i pirati avessero una base nei boschi oltre le paludi i senesi fingevano di non saperlo. Era l’anno 2222. Erano passati ormai vent’anni dalla Guerra Toscana, che aveva deciso l’attuale assetto del territorio, ma tra Firenze e Siena continuava a non scorrere buon sangue, quasi che dopo i Tre Cataclismi si fosse tornati ai tempi della battaglia di Monteaperti del 1260. I carri sferragliavano sulla strada acciottolata, il sole era sempre più alto, le nuvole formavano una cappa umida e i cavalli sudavano. Del resto, non c’erano più gli inverni di una volta e il sole era sempre cocente. Presto l’aria si sarebbe fatta troppo calda. Abdourahim sedeva a cassetta accanto a Rashid, tormentandosi su cosa fare del suo oro e di se stesso. Forse gli conveniva aspettare di raggiungere la Tana. Una volta lì, avrebbe potuto trovare un posto per nasconderlo e svignarsela. Se durante una pausa o un rallentamento fosse saltato giù dal carro e si fosse infilato nelle paludi, chissà se Abbas avrebbe voluto perder tempo a inseguirlo, con il rischio di veder arrivare i fiorentini. Nelle paludi, però, che cosa avrebbe potuto fare? Rischiava di affondarci o di farsi prendere dai militari o di farsi derubare da qualche brigante. Decise di non far nulla e aspettare. Erano tutti troppo presi dalla fuga. Al momento non correva il rischio di esser scoperto. «Il bosco!» esclamò Rashid «Ce l’abbiamo quasi fatta.» Abdourahim stava per rispondergli ma le parole gli morirono in gola. Quattro uomini erano usciti all’improvviso dalla vegetazione. Non erano soldati di Re Leopoldo. Peggio. Erano briganti. Non potevano esserci dubbi. Non tanto per le pistole a canna lunga o per i tipici mantelli, ma per il loro atteggiamento. Avevano bloccato la strada. Altri quattro emersero alle loro spalle dalle paludi. Era un agguato. Abbas sollevò la sparachiodi ma non fece a tempo ad azionarla che un proiettile di lantanio gli trapassò un occhio buttandolo sul fondo del carro. Rashid e Abdourahim erano bloccati sul carro centrale. Anche il compagno di Abbas su quello davanti fece la stessa fine. Il ragazzo non perse tempo a chiedersi chi avessero colpito e si gettò verso le paludi, stringendo il suo malloppo. I briganti si aspettavano mosse simili e gli spararono in petto una pallottola. L’oro gli fece da scudo salvandogli la vita e permettendogli di fare i cinque passi che gli mancavano per l’acqua. Ci si tuffò. Con quella fanghiglia limacciosa che gli arrivava oltre lo stomaco era difficile avanzare. Di nuotare non se ne parlava. Il ragazzo cercò di aiutarsi annaspando con le braccia per dare un po’ di spinta in più ai piedi. Lo avrebbero preso. Sentiva già l’arrivo di qualche pallottola o magari di una freccia ben scoccata. Invece, no. Invece, a salvargli il culo furono i fiorentini da cui scappavano. Un drappello di guardie confinarie emerse al trotto dal bosco. I briganti spararono alcuni colpi verso di loro e se la diedero a gambe. Abdourahim riuscì ad allontanarsi abbastanza da nascondersi nella vegetazione acquatica. I militari non sapevano della sua fuga e non si curarono di cercarlo. Controllarono invece i carri e visto che ormai gli occupanti erano tutti morti, se li portarono via. Anche loro avevano avuto il loro bottino. Gli ci volle un po’ a far tutta la manovra. Abdourahim rimase acquattato per tutto il tempo, non osando muoversi. Il sole, però, continuava ad alzarsi e presto sarebbe stato troppo caldo. Le guardie lo sapevano e si affrettarono a ripararsi tra gli alberi. Finché il ragazzo restava nel fango, il sole non sarebbe stato un pericolo. Se voleva andarsene, però, non poteva restarci tutto il giorno e alla sera chissà quali altri pericoli avrebbe dovuto affrontare. Decise di nascondere l’oro nel bosco e di raggiungere a piedi la Tana. Non avrebbe avuto altri posti in cui andare. Avanzò cautamente nella palude sino al limitare della foresta e si issò sulla riva. Non conosceva quei luoghi e doveva esser certo di lasciare il suo tesoro in un posto che avrebbe saputo riconoscere. Avanzò tra le piante alla ricerca del posto adatto. Gli sembrava tutto uguale. Finalmente scorse una roccia con una forma particolare. Somigliava a qualcosa? No, ma se l’avesse vista l’avrebbe riconosciuta. L’avrebbe ritrovata? Avrebbe segnato il percorso. Aveva solo la sua sciabola al plasma. Meglio che niente. Forse si sarebbe rovinata, ma si mise a scavare con quella. A cinque passi dalla roccia, verso est. Riuscì a fare una buca sufficientemente profonda. Vi depose il sacco e lo ricoprì di terra e poi di fogliame. Osservò l’opera. Non sembrava che nessuno vi avesse scavato. Bene. Non era sicuro di riuscire a trovare la strada per la Tana, ma la direzione la conosceva. Proseguì in quel verso, facendo delle croci sulla corteccia degli alberi man mano che procedeva. Dopo mezz’ora che camminava volle tornare indietro a vedere se ritrovava il percorso. Ci riuscì. Bene. Ripercorse tutto il cammino. Incrociò una strada. Sarebbe stato il suo secondo riferimento. Segnò il punto in cui addentrarsi nel bosco. Poteva anche procedere per la via. Non aveva oro e nessuno poteva accusarlo di essere un pirata. Trovò un cartello che indicava la via per Corazzano. Segnò anche quello. Da Corazzano avrebbe trovato la Tana. Stava andando tutto bene. Si sentiva felice. Prese a fantasticare su quello che avrebbe potuto fare con il suo oro, l’oro di Ponte Vecchio. Sarebbe partito per il nord. Si sarebbe comprato una casetta in campagna con un po’ di terra da coltivare. Assieme a una bella ragazza. Aveva ancora il sorriso impresso in volto quando una pallottola trapassò la sua testa da sinistra a destra. Cadde senza neppure rendersi conto di essere morto. Il vecchio Lapo lo perquisì. La cosa più interessante che trovò furono la sciabola al plasma e la pistola sparachiodi. Prese entrambe e se ne andò per la sua strada, lasciando il cadavere di Abdourahim sul ciglio della via e l’oro di Ponte Vecchio in una buca nel bosco. Così andava la vita in Toscana, nell’anno 2222. Carlo Menzinger
Carlo Menzinger di Preussenthal
Nato a Roma il 3 gennaio 1964, vive a Firenze, dove lavora nel project finance. Ha pubblicato varie opere tra cui l’antologia di racconti distopici Apocalissi fiorentine, i romanzi ucronici della saga Via da Sparta (Il sogno del ragno, Il regno del ragno e La figlia del ragno), Il Colombo divergente, Giovanna e l’angelo, i thriller La bambina dei sogni e Ansia assassina, i romanzi di fantascienza del ciclo Jacopo Flammer e i Guardiani dell’Ucronia e il romanzo di fantascienza gotica – gallery novel Il Settimo Plenilunio. Ha curato alcune antologie, tra cui Gente di Dante, Sparta ovunque e Ucronie per il terzo millennio. Massimo Acciai Baggiani ha pubblicato la sua biografia dal titolo Il sognatore divergente. Assieme stanno per pubblicare il romanzo di fantascienza Psicosfera. Ha pubblicato numerosi racconti, recensioni, altri articoli e poesie su antologie, riviste e siti web. Il suo blog è https://carlomenzinger.wordpress.com/. Il suo sito è www.menzinger.it (https://sites.google.com/site/carlomenzinger/).
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